I prezzi del gas e dell’elettricità sono diventati canali preponderanti attraverso i quali le decisioni di uno Stato membro influenzano gli altri
Otto mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Unione Europea rimane divisa sulla sua risposta di politica energetica. Al loro ultimo vertice dello scorso 20 e 21 ottobre, i leader degli Stati UE hanno trascorso ore a discutere e, alla fine, hanno emesso un comunicato ufficiale in cui semplicemente riconoscono che “di fronte all’armamento dell’energia da parte della Russia, l’Unione Europea resterà unita per proteggere i suoi cittadini e le sue imprese e prendere le misure necessarie con urgenza”. L’unica decisione significativa che hanno raggiunto, però, è stata aumentare gli acquisti congiunti di gas, e anche questo è arrivato con difficoltà.
Nonostante la variazione dei mix energetici nazionali e della quota di energia sul consumo totale, queste differenze riflettono principalmente reazioni divergenti delle politiche nazionali.
LA MISURA TEDESCA DA 200 MILIONI PER FAMIGLIE E IMPRESE
Con il suo recente annuncio di un pacchetto da 200 miliardi di euro a sostegno delle famiglie e delle aziende nazionali, la Germania ha scioccato i suoi partner. Molti vedono la mossa come un grande passo verso una corsa ai sussidi che solo i tedeschi possono vincere. Queste osservazioni non sono sbagliate. La politica manda il segnale sbagliato al momento sbagliato, perché indica la mancanza di una strategia comune.
La Germania non è sola: secondo Simone Tagliapietra del think tank di Bruegel, i governi UE nell’ultimo anno hanno stanziato una sorprendente somma di 576 miliardi di euro per proteggere le famiglie e le imprese dai prezzi elevati dell’energia. I livelli di sovvenzione, tuttavia, vanno da meno dell’1% del PIL in Svezia ed Estonia ad oltre il 5% in Grecia e Germania. Come negli Anni 70, le risposte politiche dei governi europei sono ampiamente divergenti, poiché riflettono diversi regimi fiscali, diverse politiche e diversi vincoli economici.
LE DIFFERENZE FISCALI TRA I PAESI UE
Anche i regimi fiscali sono molto dissimili: sebbene la maggior parte presenti una combinazione di riduzioni generalizzate dell’energia o dell’Iva e trasferimenti mirati, le proporzioni variano ampiamente. E, mentre la maggior parte degli Stati UE ha adottato controlli sui prezzi, solo alcuni hanno previsto dei sistemi a doppia tariffa, per cui una certa quantità di energia è disponibile ad un prezzo agevolato, con il prezzo di mercato che fa effetto per tutti gli altri consumi. Il risultato è l’incoerenza. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il passaggio dei prezzi del gas all’ingrosso a quello al dettaglio, a partire dalla tarda primavera, variava da meno del 10% ad oltre il 40%.
Insieme, Francia e Germania incarnano questo mancato accordo su uno schema comune. A settembre la Francia ha annunciato una politica per limitare l’aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità per le famiglie e le piccole imprese al 15% nel 2023, e giorni fa il governo ha annunciato un pacchetto meno protettivo, ma comunque significativo per le società. Al contrario, la commissione del gas tedesca ha appena proposto che, a partire da marzo 2023 in poi, l’accesso all’energia sovvenzionata sia limitato all’80% del consumo passato delle famiglie (un regime simile si applicherà alle imprese).
IL PRICE CAP SUL GAS
Francia e Germania sono in disaccordo anche sulla formula del price cap sul gas: mentre la Francia sostiene lo “schema iberico” – con il governo che fissa un tetto al prezzo del gas utilizzato per la produzione di elettricità – la Germania si oppone, sia perché ciò renderebbe il gas più costoso per gli utenti industriali, sia perché creerebbe vincitori e vinti tra i Paesi europei.
Queste risposte disparate meritano critiche non per una questione di principio, ma perché sono palesemente inadeguate di fronte a uno shock comune. Nel giro di pochi mesi l’UE ha perso l’accesso ad un fornitore che in precedenza rappresentava circa il 45% delle sue importazioni totali di gas.
Dato che esiste un mercato europeo del gas in qualche modo unificato, ma non globale, trovare sostituti per il gas russo è una sfida europea comune. Quando si agisce individualmente, il mancato taglio della domanda contribuisce ad un aumento dei prezzi del gas per tutti e un numero limitato di fornitori esterni alternativi è disponibile per i singoli Paesi.
In generale, le interdipendenze dal lato della domanda e quelle finanziarie all’interno dell’UE o la zona euro sminuiscono le interdipendenze dal lato dell’offerta. Sebbene le politiche strutturali come le riforme dei mercati del lavoro e dei prodotti abbiano effetti transfrontalieri, tendono ad essere relativamente piccole e lente. Questa volta però è diverso: i prezzi del gas e dell’elettricità sono diventati canali preponderanti attraverso i quali le decisioni di uno Stato membro influenzano gli altri, e questi effetti sono amplificati dalla stessa risposta della BCE alle crescenti pressioni inflazionistiche.
LA NECESSITÀ DI LINEE GUIDA COMUNI
La mancata definizione di linee guida comuni per le politiche energetiche nazionali risulta quindi estremamente onerosa. Come mostrano Tagliapietra e altri in una recente analisi, i guadagni derivanti dal raggiungimento di una riduzione coordinata della domanda sarebbero significativi. Al contrario, il “nazionalismo energetico” rischia di aumentare ulteriormente i prezzi del gas e dell’elettricità, aggravando la recessione.
Il compromesso non è fuori portata. Al vertice di ottobre, il Consiglio Europeo ha compiuto alcuni progressi verso uno schema che unirebbe opzioni basate sui prezzi e basate sulla regolamentazione. La Germania potrebbe ancora riconoscere che l’eccessiva volatilità dei prezzi è dannosa, e la Francia che gli incentivi per ridurre i consumi sono importanti.
La sfiducia però è pervasiva e, col passare del tempo, la situazione economica peggiora e la finestra per un accordo si sta chiudendo. Sebbene gli stoccaggi siano pieni e il clima caldo abbia abbassato i prezzi del gas, il problema non è scomparso. Il rischio che l’embargo russo sul gas provochi divisioni profonde e sempre più radicate all’interno dell’UE rimane molto serio. La mancata azione congiunta invierebbe un segnale disastroso.