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Per gli Emirati Arabi le rinnovabili sono il nuovo petrolio?

Da nomadi e coltivatori di datteri a leader mondiali nel settore petrolifero. Ora il paese del Golfo è pronto a un nuovo salto. Le risorse sono ingenti ma anche le difficoltà

In passato gli Emirati arabi Uniti hanno ospitato nomadi e coltivatori di datteri fino a quando negli anni ’60 non sfruttarono il loro potenziale petrolifero diventando leader mondiali nella produzione di greggio. Ora i leader del paese del Golfo sono intenzionati ad adattarsi ancora una volta al corso della storia guardando, stavolta, nella direzione di una transizione verso l’energia sostenibile.

A DUBAI SI GUARDA AL FOTOVOLTAICO E AL SOLARE A CONCENTRAZIONE

A sud dalla città di Dubai a Seih Al-Dahal, per esempio, si può incontrare un gruppo di fattorie solari che compongono il Mohammed bin Rashid Al Maktoum Solar Park dove le dune sabbiose del paesaggio cedono il passo ai pannelli solari. Si tratta di un centro di innovazione tecnologica nuovo di zecca all’interno del quale sarà costruita una torre di 260 metri con tecnologia “solare a concentrazione”, che utilizza specchi per focalizzare la luce solare e creare calore.

Per far parte di questo progetto futuro, l’azienda Shuaa Energy che sovrintende alle operazioni del parco insieme ad altre imprese, hanno cercato di trasformare un’area del deserto arabo in un generatore di energia verde. Una volta completato nel 2030, si prevede che l’impianto produrrà 5.000 megawatt utilizzando varie soluzioni solari, anche se ciò rappresenta una piccola frazione del fabbisogno energetico attuale negli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, il parco solare del valore di 13,7 miliardi di dollari, così come molti altri progetti di energia rinnovabile che verranno successivamente, riflettono, di fatto, un cambiamento nel panorama energetico degli Emirati Arabi Uniti. Un tempo dipendevano dal petrolio per uscire dalla povertà, ora il paese scommette sulle energie rinnovabili per la sua prosperità.

INVESTIMENTI MONSTRE NELLE RINNOVABILI: 163 MLD ENTRO IL 2050

Il governo si è impegnato a investire, complessivamente, 163 miliardi di dollari per produrre circa la metà della sua energia elettrica da fonti di energia pulita entro il 2050. Per ora le rinnovabili rappresentano solo l’1% della produzione di energia degli Emirati Arabi Uniti, secondo Zoheir Hamedi, un esperto del Medio Oriente presso l’organizzazione intergovernativa International Renewable Energy Agency (Irena). Tuttavia, Hamedi ha ammesso che l’impegno del paese per la trasformazione energetica “è reale”.

Con una domanda di energia elettrica che nel 2013 ha raggiunto i 105 miliardi di kilowattora, gli Emirati Arabi Uniti sono tra i maggiori consumatori di energia elettrica pro capite al mondo. Come ha spiegato Hamedi, più il petrolio brucia per l’elettricità e meno è destinato all’esportazione, un’attività più redditizia. Anche se importare gas naturale a basso costo ha senso dal punto di vista economico, il compromesso sarebbe quello di garantire anche una certa sicurezza energetica al paese. Le recenti controversie tra gli Emirati arabi uniti e il Qatar hanno infatti sollevato dubbi sulla possibilità che il principale fornitore di gas degli Emirati chiuda i rubinetti dei gasdotti. Inoltre, gli Emirati ricchi di petrolio si trovano di fronte a una domanda scomoda: che cosa faranno una volta esaurito il greggio?

L’ALTERNATIVA È PRONTA

Thani Ahmed Al Zeyoudi, il ministro degli Emirati Arabi Uniti del cambiamento climatico e dell’ambiente, ha detto a “This week in Asia” del South China Morning Post, che il suo paese sta creando un nuovo motore economico da zero, utilizzando la stessa strategia che ha adottato per creare il suo settore petrolifero tradizionale. Negli anni ’30, prima che gli Emirati Arabi Uniti si trasformassero in una nazione, la regione era un vasto deserto abitato da nomadi, coltivatori di perle e datteri. I leader tribali avevano poco know-how tecnico nella produzione di petrolio, per non parlare delle infrastrutture necessarie per le trivellazioni. Per trasformare le riserve in entrate, i governanti di Abu Dhabi concessero i diritti di esplorazione petrolifera a società straniere, che hanno iniziato come sviluppatori unici e sono passate alla coproduzione negli anni ’60. Gli sviluppatori stranieri hanno poi venduto la maggior parte delle loro partecipazioni in tali operazioni alla Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), controllata dal governo, all’inizio degli anni ’70. In rapida crescita fino al 2018, Adnoc è attualmente il 12esimo produttore di petrolio al mondo, con una produzione giornaliera di 3 milioni di barili. E gli Emirati Arabi Uniti, al momento, sono nell’elenco dei paesi più ricchi del mondo.

enelAllo stesso modo di quanto accaduto con il potenziale petrolifero degli Emirati Arabi Uniti che attrasse molte aziende globali decenni fa, “la nostra ambizione di sviluppare energie rinnovabili attrae molte aziende globali di tecnologie pulite”, ha detto Al Zeyoudi. Negli ultimi anni, i produttori di apparecchiature solari come First Solar, con sede in Arizona, e Almaden, in Cina, hanno aperto uffici negli Emirati Arabi Uniti, mettendo a disposizione competenze e investimenti internazionali. Con l’aumento dei posti di lavoro verdi, le università degli Emirati Arabi Uniti che insegnavano trivellazioni petrolifere offrono ora corsi di ingegneria delle energie rinnovabili e stanno “coltivando” una forza lavoro che sosterrà le imprese locali a tecnologia pulita. Sandeep Pillai, senior manager di Environmental Solutions and Consultancy con sede a Sharjah, ha già avvertito la differenza: “Quando abbiamo lanciato il nostro servizio di gestione dell’energia cinque anni fa, abbiamo dovuto coinvolgere talenti provenienti da altri paesi. Ma ora, non dobbiamo più farlo perché ci sono un sacco di talenti locali”.

L’OBIETTIVO È ANCORA UNA VOLTA L’EXPORT

Gli Emirati, naturalmente, mirano anche in questo caso all’esportazione: dai pannelli solari Made-in-UAE all’elettricità generata dall’energia solare. Parlando alla conferenza della Settimana Sostenibile di Abu Dhabi a gennaio, Suhail Mohammed Faraj Al Mazroui, ministro dell’Energia del paese, aveva detto ai partecipanti che anche altri paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, si erano imbarcati in progetti sulle rinnovabili e che la costruzione di una rete elettrica a livello regionale è tutt’ora in corso. Una volta realizzata, “forse potremmo esportare energia rinnovabile fino in Africa, dove l’offerta di energia elettrica non può recuperare il ritardo con la sua crescente domanda”, aveva detto al South China Morning Post.

POLVERE E PERDITA DI POTENZA

Tuttavia, nonostante lo sforzo titanico messo in campo dal paese, non sarà facile per gli Emirati Arabi Uniti diventare “verdi”. Qualsiasi nuova forma di esportazione di energia è un grosso rischio, date le preoccupazioni in materia di sicurezza. Inoltre, gli enormi investimenti necessari per ammodernare le infrastrutture hanno ucciso molti piani di scambio transfrontaliero di energia elettrica in tutto il mondo. Alcuni sviluppatori lamentano le difficoltà nel trovare spazio per l’installazione di pannelli solari in un paese dove i prezzi degli immobili sono altissimi. Altri accusano l’aspro ambiente desertico. Uno studio pubblicato nel 2017 da ricercatori della Duke University e dell’Indian Institute of Technology Gandhinagar ha rilevato che gli Emirati potrebbero perdere fino a un quarto della loro produzione di energia solare a causa della polvere e dell’inquinamento atmosferico da particolato, anche nel caso in cui i pannelli venissero puliti regolarmente una volta al mese.

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