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Berlusconi Putin

Silvio Berlusconi e l’energia: tra la Russia di Putin e la voglia di nucleare

Dai rapporti con Putin sul gas russo alla battaglia per reintrodurre il nucleare in Italia, fino alla costruzione delle “casette” per gli sfollati dopo il terremoto del 2009 a L’Aquila. Le principali tappe del Cavaliere sui temi energetici e ambientali

Scompare all’età di 86 anni Silvio Berlusconi, ex premier, numero uno di Forza Italia, con un passato legato fortemente alle battaglie politiche, anche nel settore energia. Basti pensare al legame con il presidente russo Vladimir Putin, con cui c’è un rapporto di amicizia e di stima reciproca pluriennale. Legame ha permesso e agevolato diversi progetti e collaborazioni tra Italia e Russia, anche sul versante energetico.

I quattro governi Berlusconi, tra il 2001 e il 2011, hanno visto una forte dipendenza dell’Italia dal gas russo, l’assenza di un piano di sicurezza energetica e, fin dagli anni ‘90, Berlusconi ha sempre considerato la Russia come un Paese di promettenti mercati: dagli idrocarburi all’immobiliare, dall’editoria al calcio.

GLI ACCORDI SUL GAS TRA ITALIA E RUSSIA SOTTO I GOVERNI BERLUSCONI

In Russia, come in tutti i Paesi produttori si poteva acquistare gas e petrolio in due modi: direttamente – con l’azienda statale che vende all’azienda statale che importa – o indirettamente, attraverso mediazioni che fanno salire i prezzi e arricchiscono gli intermediari. Uno di questi era l’imprenditore Bruno Mentasti Granelli, ex patron di San Pellegrino e grande amico di Silvio.

Quando, il 30 ottobre 2003, l’allora ad dell’Eni Vittorio Mincato, dopo una cena d’affari milanese ebbe dall’allora vicepresidente di Gazprom Komarov un biglietto con su scritto “Mentasti”, trasalì. Secondo alcune fonti, il russo parlò di “pressioni molto forti dall’alto, dove tutto è già stato deciso”. Mentasti doveva intercettare 3 miliardi di metri cubi di gas che spettavano ad Eni e venderli in Italia. A Vienna, poi, era stata  costituita la holding Centrex, che includeva Mentasti e vari soci schermati in aziende cipriote. Alcuni con prestanomi russi, altri nostrani, ma i nomi non uscirono perché l’affare – che avrebbe garantito ad una società nata con 120 mila euro di capitale ritorni ventennali da circa 50 milioni di euro l’anno – venne bloccato.

Il nuovo ad Eni Paolo Scaroni, scelto nel 2005 sotto il governo Berlusconi Ter, era pronto a firmare l’intesa, nonostante diverse critiche nell’ambiente e sulla stampa. Come ha raccontato Salvatore Carollo, dirigente Eni per molti anni e oggi analista, “dalla sera alla mattina un ad dell’Eni, contrario a firmare certi accordi russi, venne rimosso e sostituito da un altro, che invece firmò. Da quel giorno l’import di gas russo aumentò e la produzione italiana scese notevolmente”. Quell’accordo era infatti uno dei motivi per cui Scaroni venne preferito a Mincato. Dopo i rilievi del cda Eni e dell’antitrust, però, alla fine del 2006 la fornitura fu riformulata e Mentasti perse il suo ruolo da intermediario.

IL (FALLITO) RITORNO AL NUCLEARE, TRA FUKUSHIMA E IL REFERENDUM DEL 2011

Berlusconi fu un grande un sostenitore del nucleare: il 23 febbraio 2009 firmò un accordo con il presidente francese Nicolas Sarkozy per la produzione di energia nucleare, nella fattispecie di tecnologia EPR (European Pressurized Reactor – reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata). Il patto venne firmato a villa Madama e venne accompagnato da due memorandum tra i due gruppi elettrici Enel ed EDF.

Il progetto prevedeva la costruzione a medio termine di 4 reattori in Italia. “Dobbiamo svegliarci dal nostro sonno e adeguarci, il futuro è nell’energia rinnovabile e nel nucleare. Collaboreremo alla realizzazione di altre centrali nucleari in Francia e in altri Paesi e affronteremo la costruzione di centrali nucleari in Italia, con al nostro fianco la Francia, che ci ha messo a disposizione il suo know-how”. Per il Cavaliere si trattava di “una decisione doverosa: il no all’atomo ha comportato per l’Italia un costo del 30% in più dell’energia rispetto ai partner europei e una perdità di competitività. La Francia, con le sue centrali ultrasicure, produce l’85% del proprio fabbisogno, con un costo dell’energia anche del 50% in meno rispetto agli altri Paesi”.

Insomma, nonostante l’opposizione di alcuni partiti (su tutti i Verdi di Angelo Bonelli) e degli ecologisti, per Berlusconi il ritorno al nucleare era inevitabile: “negli Anni 70 avevamo due centrali ed eravamo all’avanguardia, ora siamo rimasti a zero, con gravi rischi di forniture che si possono fermare”.

Ripercorrendo brevemente le tappe, dopo il disastro alla centrale di Chernobyl dell’aprile 1986 l’Italia, con il referendum del 1987, aveva deciso di abbandonare il nucleare. Sotto il governo Berlusconi del 2008-2011 decise di tornarci ma poi, nell’aprile 2011, avvenne il disastro della centrale giapponese di Fukushima e due mesi dopo, ad un nuovo referendum, gli italiani bocciarono il ritorno all’atomo. “Il futuro è nel nucleare, ma il popolo non vuole”, commentò Berlusconi.

BERLUSCONI E L’EMERGENZA RIFIUTI: IL TERMOVALORIZZATORE DI ACERRA

Sulle battaglie energetiche Berlusconi verrà ricordato anche per il termovalorizzatore di Acerra, che ha una storia politica che risale alla prima grande emergenza rifiuti del 1994, da cui nasce un mega piano per 24 inceneritori e 61 discariche. Alla fine, per diverse ragioni, sorgerà solo un impianto.

Nel 2009 Berlusconi torna al governo e taglia il nastro dell’impianto campano. Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile, dichiara il sito di interesse strategico nazionale e il termovalorizzatore di Acerra entra in funzione. La proprietà viene acquisita dalla regione Campania, la gestione affidata per 15 anni ad A2A. L’appalto consiste nella gestione in esclusiva dei rifiuti “che residuano a valle della raccolta differenziata indipendentemente dalla percentuale raggiunta da quest’ultima”. L’affidatario dovrà corrispondere un canone complessivo per l’utilizzazione degli impianti. Inoltre, potrà vendere energia elettrica al gestore di rete nazionale.

Acerra tratta in media 2.000 tonnellate al giorno di rifiuti urbani provenienti dagli impianti di tritovagliatura e imballaggio della Campania, genera ricavi dalla riscossione della tariffa regionale di conferimento e dalla cessione dell’energia elettrica netta. Nel 2010 comincia già a operare al 100% della propria capacità, e l’emergenza rifiuti a Napoli inizia a scemare. Il tmv di Acerra smaltisce gran parte dell’immondizia prodotta dai napoletani e, nell’insieme, la metà dei rifiuti della regione; il resto va a Brescia (dove sorge un altro tmv gestito da A2A) o nel nord Europa, soprattutto in Germania.

Nel dicembre 2021, nel corso di un seminario sull’etica della comunicazione sui temi di emergenza ambientale, il vescovo di Acerra, monsignor Antonio Di Donna, disse che Bassolino e Berlusconi, nell’autorizzare la costruzione del termovalorizzatore di Acerra, “furono come Ponzio Pilato ed Erode: nemici, ma insieme condannarono Gesù. Siamo stanchi di subire, in queste terre sono localizzati tanti impianti per il trattamento dei rifiuti, ma non smetteremo di far sentire la nostra voce”.

IL TERREMOTO DEL 2009 A L’AQUILA E LE “CASETTE” PER GLI SFOLLATI

Infine, come dimenticare le “casette” costruite a L’Aquila, fortemente volute da Berlusconi e Bertolaso per ospitare gli sfollati del terremoto del 6 aprile 2009. L’idea era dare un ricovero sicuro a chi non aveva più un tetto perché, con l’arrivo del freddo, le soluzioni delle tende o dei container non erano fattibili in quanto inadatte ad ospitare per diversi mesi famiglie con anziani e bambini piccoli.

Quella delle casette però non fu una scelta condivisa da tutti: il centrosinistra all’epoca attaccò fortemente Berlusconi, accusandolo di voler costruire un ghetto ai margini de L’Aquila, di far diventare definitiva una soluzione provvisoria e di non desiderare la ricostruzione del centro storico della città abruzzese.

Ciononostante, nel 2016 la soluzione delle casette fu utilizzata anche dall’allora premier Matteo Renzi per sistemare gli sfollati del sisma che colpì Norcia e Amatrice. Quella volta, però, nessuno fece obiezioni. Anche perché nelle casette de L’Aquila è difficile trovare qualcuno critico: nella fase dell’emergenza più acuta le imprese riuscirono a costruirle e consegnarle agli abitanti in soli 100-120 giorni. Vennero realizzate 5.653 abitazioni, 4.449 in muratura e 1.204 in legno per circa 25.000 sfollati. Non un unico grande agglomerato, ma 19 piccole “new town” sparse tutto intorno alla città, di cui la più vicina a poche centinaia di metri dal centro storico e la più lontana a quindici chilometri, quasi alla pendici del Gran Sasso.

Si tratta di edifici a tre piani con grandi finestre e ampie zone verdi – dove negli anni nacquero parchi giochi e campetti sportivi – rifiniture in acciaio e legno. Dentro sono appartamenti piccoli, di massimo 50-60 metri quadrati, ma con tutto il necessario per vivere dignitosamente, dal televisore ai fornelli a induzione. Ma, soprattutto, sono palazzine costruite con criteri antisismici, tanto che molte persone che ancora abitano lì non hanno intenzione di tornare nelle loro vecchie case perché nelle casette si sentono più sicuri.

Oggi non tutti gli appartamenti sono ancora abitati: chi è riuscito a ristrutturare la sua vecchia casa se ne è andato e ha lasciato le stanze vuote, ma in qualche caso c’è anche chi è stato costretto a spostarsi per colpa di lavori fatti male. In un paio di edifici nei terrazzi e nei solai ci sono state infiltrazioni di acqua e il Comune ne ha ordinato lo sgombero. Difetti nella costruzione, ma anche cattiva manutenzione da parte di chi ne aveva la responsabilità.

Ad ogni modo, per chi è scappato dalle macerie devono essere sembrate un regalo dal cielo. Quartieri tranquilli e immersi nel verde che negli anni i residenti hanno anche cercato di abbellire. Appartamenti che hanno quasi tutti la porta blindata, montata dalle aziende che le realizzazono. Oggi, se si chiede a chi ci abita, i commenti sono perlopiù positivi, anche perché agli sfollati il governo Berlusconi fece trovare, in ogni appartamento, un televisore al plasma, una bottiglia di spumante e la casa perfettamente ammobiliata, coperte incluse.

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