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Stellantis

La fusione tra Stellantis e Renault non s’ha da fare. Freno a mano tirato per 9 miliardi di grandi cantieri finanziati con fondi Pnrr. Cosa dicono i giornali

Mentre Stellantis smentisce la possibile fusione con Renault, la Borsa ritiene che l’affaire sarebbe finanziariamente molto conveniente. Sul fronte del Pnrr, freno a mano tirato per 8,5 miliardi di opere ferroviarie. Ecco cosa dicono i quotidiani

John Elkann, presidente di Stellantis, smentisce nuovi progetti di fusione con la casa guidata da Luca de Meo e Renault. Nel frattempo, continua il botta e risposta con il governo e la premier Giorgia Meloni, dal Giappone, torna ad attaccare l’amministratore: «Penso che un ad di una grande società sappia che gli incentivi non possono essere rivolti a un’azienda nello specifico e penso che si sappia anche che noi abbiamo appena investito un miliardo sugli eco incentivi. Quel che ho letto mi è parso abbastanza bizzarro».

Sul fronte del Pnrr, gli intoppi autorizzativi sul fronte ambientale, le sovrapposizione di regimi normativi differenti e le carenze progettuali fermano 9 miliardi di grandi cantieri, di cui 8,5 miliardi sono le opere ferroviarie.

NESSUNA FUSIONE PER STELLANTIS MA LA BORSA CI CREDE

Come riportato nella giornata di ieri da Energia Oltre, “la notizia della possibile fusione di Stellantis con altre case automobilistiche ha sollevato un gran polverone. Il gruppo si è affrettato a smentire le voci riguardo l’operazione, mentre Renault ha preferito non commentare. Intanto, il gruppo ha annunciato un mese di cassa integrazione per i lavoratori di Stellantis e i sindacati insorgono. Stellantis ha smentito seccamente la possibilità di una fusione con altri produttori”.

«Non esiste alcun piano allo studio che riguardi piani di fusione con altri costruttori»: questa è la secca smentita fatta all’agenzia Ansa dal presidente di Stellantis, John Elkann.

Sebbene John Elkann, numero uno di Exor e presidente di Stellantis, smentisce nuovi progetti di fusione con la casa guidata da Luca de Meo e Renault si chiude dietro un no comment, la Borsa – secondo quanto analizza Il Sole 24 Ore – sembra crederci.

I motivi sarebbero due: “per Stellantis – scrive Il Sole 24 Ore – l’affaire Renault sarebbe finanziariamente molto conveniente, ma soprattutto per il gruppo guidato da Luca De Meo e per il suo principale socio, lo Stato francese al 15%, la strada di una grande alleanza sarebbe l’unica soluzione capace di proiettare il gruppo in una nuova fase. Le voci di fusione tra Stellantis e Renault, rimbalzate nel fine settimane con insistenza, hanno condizionato fin dalle prime battute l’andamento dei titoli in Borsa. (…) La smentita è stata accolta però tiepidamente dal mercato, con il titolo di Stellantis che, già in discesa fin dall’apertura, ha chiuso in calo dell’1%. Di contro Renault ha segnato un rialzo dell’1% dopo essere arrivata a guadagnare fino al 4,6%”.

La Borsa – spiega il quotidiano – “sembra già proiettata verso un nuovo round di consolidamento e ha iniziato a ragionare sul piano, al momento suggestivo, di un nuovo matrimonio in terra francese. L’esercizio è stato declinato sia sui possibili assetti del nuovo gigante dell’auto, con 7 milioni di auto e 220 miliardi di fatturato, sia sugli aspetti che rendono finanziariamente conveniente un deal di questo tipo sia per Stellantis sia per Renault. Sul primo punto e dunque gli assetti azionari che si verrebbero a creare, l’unione dei due gruppi darebbe vita a una casa automobilistica con una capitalizzazione di borsa aggregata di 77 miliardi di euro, considerando i 67 miliardi di Stellantis e i 10 miliardi di Renault. In questo quadro il Governo francese sarebbe il socio che più trarrebbe vantaggio da questo matrimonio in termini di posizione azionaria. Il governo detiene il 6,4% di Stellantis che corrispondono a diritti di voto per quasi il 10%, ma nello stesso tempo è presente in Renault con il 15%. Ipotizzando una fusione carta contro carta, secondo gli operatori, la presa dello Stato transalpino potrebbe attestarsi intorno all’11%, uguagliando la Exor della famiglia Agnelli che con il 14,9% in Stellantis sarebbe destinata a diluirsi intorno all’11%-12%. A puntellare l’azionariato e la presa di Parigi ci sarebbe poi la famiglia Peugeot, socia al 7% di Stellantis”, si legge nell’articolo. Quanto agli aspetti più finanziari, si fa notare che oggi a fronte di una capitalizzazione di Borsa di poco più di 10 miliardi, il gruppo guidato da Luca de Meo ha in pancia una quota Nissan del 40% che vale circa 6 miliardi e ha cassa. Dunque per Stellantis l’operazione sarebbe molto attraente dal punto di vista finanziario”.

STELLANTIS, MELONI GIUDICA BIZZARRE LE RICHIESTE DI INCENTIVI

Anche dal Giappone arriva il commento della premier italiana, Giorgia Meloni, sulla questione Stellantis e nel dare il suo parere – come riferisce il Corriere della Sera – ha giudicato «bizzarre» le richieste di incentivi all’Italia da parte di una società con sede all’estero e che produce in diverse fabbriche oltre confine. Su Stellantis «noi siamo interessati a ogni forma di investimento che può produrre posti di lavoro — ha spiegato Meloni — siamo molto attenti al campo dell’automotive, ne abbiamo parlato anche oggi nell’incontro che ho avuto con i vertici di alcune aziende giapponesi. Il rapporto deve essere equilibrato».

«Penso — ha aggiunto — che il ceo di una grande società sappia che gli incentivi di un governo non possono essere rivolti ad una azienda nello specifico, e penso che si sappia anche che noi abbiamo investito circa un miliardo di euro sugli ecoincentivi… Dopodiché noi siamo sempre disponibili e aperti per tutto quello che può produrre in Italia posti di lavoro. Chiaramente, se invece si ritiene che produrre in altre nazioni dove c’è un costo di produzione inferiore sia meglio non posso dire niente però non mi si dica che l’auto che viene prodotta è italiana e non la si venda come italiana».

PNRR FERMI 9 MILIARDI DI CANTIERI

Sul fronte del Pnrr, intoppi autorizzativi sul fronte ambientale, sovrapposizione di regimi normativi differenti e carenze progettuali tengono fermi 9 miliardi di grandi cantieri, la gran parte finanziata con fondi Pnrr che secondo l’Osservatorio Ance è imbrigliato in lacci e lacciuoli burocratici. A riprendere la questione oggi è il quotidiano Il Sole 24 Ore che spiega come  “la fetta più grossa del campione analizzato riguarda le opere ferroviarie con 8,5 miliardi di investimenti che non riescono a prendere l’abbrivio, bloccati nelle pastoie di verifiche e autorizzazioni. Il resto, circa 5-600 milioni, sono ripartiti tra interventi idrici, stradali e investimenti nei porti. Sul Pnrr «si sono molto accorciati i tempi fra bandi aggiudicazioni e aperture di cantiere» e «il dato dei Comuni e della spesa sulle piccole medie opere è molto positivo – ha detto la presidente Ance Federica Brancaccio che qualche giorno fa a Roma ha presentato i risultati dell’Osservatorio congiunturale 2024 – . Ma rileviamo rallentamenti forti nella fase di esecuzione, per le solite criticità del nostro paese come autorizzazioni e imprevisti. Bisogna intervenire lì, perché nei prossimi tre-quattro mesi si giocherà il futuro del Pnrr» (…)”.

“A viaggiare con i freno a mano tirato c’è per esempio la Circonvallazione ferroviaria di Trento, un’opera da 986 milioni d euro: aggiudicata a febbraio 2023, si è arenata davanti agli scavi che hanno portato alla luce terreni inquinati. Da qui i rallentamenti e poi lo stralcio dal Piano come da copione. Per non parlare del Mezzogiorno con il collegamento Palermo-Catania-Messina, tratta Caltanissetta Xirbi – Nuova Enna che vale 1, 3 miliardi: aggiudicata ad aprile scorso si è scontrata, dicono i costruttori, con problemi legati alla qualità del progetto. E ancora: stessa linea ferroviaria, altri ritardi sul nodo di Catania e sull’intervento di interramento della linea per il prolungamento della pista dell’aeroporto di Fontanarossa (370 milioni): aggiudicata a giugno 2023 le autorizzazioni starebbero creando più di un rallentamento al progetto. E del resto che le opere Rfi negli ultimi tempi stiano scontando ritardi lo certifica anche la Corte dei conti nella sua ultima relazione sul Pnrr pubblicata a novembre che conferma i problemi di messa a terra dei progetti da parte delle amministrazioni. I giudici contabili hanno evidenziato che dei 159 progetti affidati alla società del gruppo Fs dei 42 obbiettivi in scadenza al 30 giugno 2023 ne sono stati centrati solo 18. Spiega la Corte che « in relazione a 23 progetti, il mancato raggiungimento dell’obiettivo è stato causato dal prolungarsi degli iter autorizzativi». D’altra parte che in questa fase del Pnrr si annidassero le maggiori difficoltà era fatto ben noto: il passaggio dalle gare ai cantieri sarebbe stato, dicevano gli osservatori, il vero banco di prova del Pnrr. E anche il piano su cui si sarebbe giocata la reale fattibilità dei singoli progetti: si sarebbe passati, insomma, dalle parole ai fatti”, si legge nell’articolo.

L’Ance – scrive Il Sole 24 Ore – “registra un’importante contrazione dei tempi che passano tra il bando e l’avvio dei lavori. La contrazione più forte anche solo dall’anno scorso si registra per i lavori oltre i 100 milioni di euro che in 12 mesi hanno dimezzato la tempistica: dai 18,6 mesi del 2021 utili per dare il via ai lavori, si è passati lo scorso anno a 9,3. Si è ancora lontani dall’obiettivo dei 100 giorni chiesto da Bruxelles e inserito nel Pnrr ma non c’è dubbio che almeno su questo si siano compiuti notevoli passi in avanti. L’altra buona notizia riguarda i Comuni che – e non era scontato – in questi mesi sul Pnrr hanno performato più di altri: secondo l’Osservatorio Ance la spesa per gli investimenti pubblici delle amministrazioni locali è passata dai 13,2 miliardi del 2022 a 18,6 nel 2023 con un incremento del 41 per cento. Il picco massimo si è registrato nell’ultima parte dell’anno scorso che in un quadrimestre ha aumentato la spesa in conto capitale di ben il 70 per cento. Sul fronte delle gare, l’Ance aveva già rilevato in un dossier pubblicato a novembre che su un campione di 51mila gare Pnrr 34.200 erano quelle aggiudicate per un importo di oltre 33 miliardi e circa 10.000 erano i cantieri aperti, conclusi o per i quali sono state avviate le attività preparatorie, per un totale di 16 miliardi di euro. Tra queste le performance più importanti erano state messe a segno dalla misura Istruzione e ricerca (74% l’incidenza dei cantieri sui Cig aggiudicati) e a seguire le Infrastrutture per una mobilità sostenibile (60%). Ma il tempo delle gare è ormai alle spalle, quello appena iniziato sarà il difficile anno dei cantieri”.

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