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Grandi opere, perché farle secondo Paolo Savona

Sabato sera il Ministro degli Affari Europei Paolo Savona ha partecipato a Lecce alle giornate della Cgil. L’evento dove il giorno prima ha rifiutato di partecipare Di Maio.

Dopo aver risposto con una battuta al giornalista che gli chiedeva come si trova tra Di Maio  e Salvini: “Guardi, è ciò che spiego a mia moglie tutti i giorni. C’è una risposta che le do e che è una risposta di principio. Mi ha insegnato l’ex governatore Menichella, mi scusi se lo pronuncio male: chist so le cart e co chist ama jucà [queste sono le carte e con queste si deve giocare, in napoletano più corretto sarebbe chest so’ ‘e carte, e cu chest s’adda jucà]”, ha detto una frase che indica perfettamente la posizione politica del Ministro degli Affari Europei (non a caso): a una domanda su Tap Savona ha risposto “non è possibile che ogni volta che il governo compie un’opera di sviluppo intervengano contro comuni, province e regioni”.

È chiaro che con questa frase il Ministro ha voluto dare il suo placet al  gasdotto. Ma non è solo questo.

Una posizione che può apparire banale, ma non lo è affatto in questo periodo in cui tutti dicono di voler ripartire dai territori, in particolar modo le forze di governo attuale estremamente legate ai comitati locali.

L’ultimo a esprimere con coraggio una posizione cosi netta fu l’ex ministro Carlo Calenda intervenendo a un convegno sul mezzogiorno organizzato dal Mattino: “Il sottosviluppo del mezzogiorno lo determina il fatto che quando arriva un investitore a investire cinque miliardi e trecento milioni, un caso unico nell’urbe terraqueo, il governatore di quella regione fa un ricorso al Tar e cerca di cacciarlo a pedate nel sedere. E badate che l’investitore non è che viene ad aprire una nuova acciaieria e uno dice sai non voglio acciaierie perché voglio tutta new economy, no, riqualifica un’acciaieria esistente, cioè rimette a posto una cosa che c’è e in questo momento sta inquinando e non funziona. Su questo ci vuole una mobilitazione perché questa è un’idea e perché il governatore lo fa su base di una rivendicazione identitaria: “la nostra terra”. Io sono andato dal sindaco di Taranto ad incontrarlo e il governatore mi ha detto che ho fatto un grave sgarro istituzionale perché non l’ho avvertito prima.  L’idea che la Puglia è proprietà del governatore e si può andare lì solo se si avverte. Persino un ministro non può andare perché prima deve avere il placet. Allora quanto danno produce questo?”

Sarebbe utile porre questo tema, dopo il referendum costituzionale, al centro del dibattito politico. Non è ininfluente pensando a quanto ci costino in termini di ritardi, spese e disgregazione i continui ricorsi, referendum e impugnazioni, paletti che ogni volta gli enti locali tentano di mettere alle iniziative dello Stato centrale. Si pensi a quanto ci è costato il referendum sulle trivelle, o a tutto il tempo che, tra dichiarazioni ormai inutili, stiamo perdendo dietro Tap che è un’opera già autorizzata, finanziata e quasi finita.

E non è solo una questione di territori, di sviluppo, o di ambiente.

Riguarda la concezione che si ha di sovranità, teorema così in auge.

Riguarda i partiti, che ai tempi del dirigismo democratico servivano esattamente a spiegare nei territori le scelte dei comitati centrali, e che invece oggi gli si rivoltano contro.

E riguarda la democrazia. Dove se un rappresentante locale rappresenta “i suoi”, parlamentari e ministri rappresentano “tutta la nazione”.

Ma chest so’ ‘e carte, e cu chest s’adda jucà

 

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