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Tap, i ricorsi di comuni di Melendugno e Lizzanello respinti dal Tar Lazio

Il ricorso riguardava in particolare le determinazioni conclusive della Conferenza dei servizi sul Tap, e le riunioni del 2017 con le dichiarazioni dei vari enti dalle quali, a giudizio dei ricorrenti, non sarebbero state tenute in considerazione le posizioni di dissenso espresse dai Comuni e della Regione Puglia.
Il Tar del Lazio ha respinto in modo definitivo i ricorsi presentati dai comuni di Melendugno e Lizzanello che chiedevano l’annullamento del decreto del 21 maggio del 2018 con il quale “il Direttore Generale per la Sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico (di seguito, per brevità, “Mise”) ha approvato in via definitiva il progetto del “gasdotto denominato Interconnessione TAP” presentato dalla società Snam Rete Gas s.p.a. (di seguito, per brevità, “Snam ”), autorizzandone la costruzione e dichiarandone la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza”.

COSA PREVEDEVANO I RICORSI SUL TAP

Il ricorso riguardava in particolare le determinazioni conclusive della Conferenza dei servizi, e le riunioni del 2017 con le dichiarazioni dei vari enti dalle quali, a giudizio dei ricorrenti, non sarebbero state tenute in considerazione le posizioni di dissenso espresse dai Comuni e della Regione Puglia.

A esser contestato era il fatto che i Comuni “sarebbero chiamati ad esprimersi dall’art. 52-quinquies del D.P.R. 327/2001 unicamente sugli aspetti urbanistici” mentre “al contrario, gli interessi ambientali e paesaggistici, entrambi oggetto del Decreto n. 249/2017 di positiva valutazione di compatibilità da parte del MATTM, avrebbero un carattere c.d. ‘qualificato’ nella gerarchia valoriale del modulo conferenziale. Pertanto, avrebbe avuto un peso decisivo la posizione favorevole espressa dalle altre 11 amministrazioni intervenute (diverse dai sei comuni che avrebbero espresso il proprio dissenso e dalla regione Puglia), avuto riguardo proprio agli interessi paesaggistici ed ambientali, corroborata dai contributi delle amministrazioni poste a tutela degli interessi militari e dalla posizione espressa dal MiSE circa la rilevanza dell’infrastruttura in ordine alla sicurezza degli approvvigionamenti nazionali di gas naturale, oltre che della posizione favorevole dei Consorzi di bonifica e degli enti gestori dei sottoservizi interessati. Ancora, si sarebbero espressi positivamente sugli interessi storico-culturali il Ministero dell’Ambiente, con il citato Decreto e con parere endoprocedimentale, ai fini della tutela archeologica, la stessa ex Soprintendenza Archeologia della Puglia”.

I MOTIVI DEL RESPINGIMENTO

Secondo la magistratura amministrativa, tuttavia, “dalla documentazione versata in atti risulta provato innanzitutto che il giudizio di prevalenze dei contrapposti interessi non à stato condotto dall’amministrazione procedente in termini puramente quantitativi, atteso che il MiSE, ai fini dell’adozione della determinazione dirigenziale, oltre a raffrontare i pareri contrari (espressi anche da Comuni risultati assenti alla riunione) con i pareri favorevoli, ha richiamato le valutazioni e le risultanze della riunione di conferenza di servizi, nell’ambito della quale, come visto in punto di fatto: si è dato atto dell’acquisizione del Decreto 249/2017 del Ministero dell’ambiente, previa delibera del Consiglio dei Ministri; si è dato atto dell’acquisizione del parere del medesimo Ministero dell’Ambiente, espresso con nota prot. n. 24179 del 23 ottobre 2017, con cui, ai fini della determinazione da assumere, rimanda al proprio Decreto VIA. Il giudizio di prevalenza è dunque stato articolato sotto il duplice profilo qualitativo e quantitativo, dando prevalenza, seguendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, a quegli interessi in grado di incidere più significativamente sull’esito del procedimento”.

Peraltro, “ai sensi dell’art. 52-quinquies, del d.p.r. n. 327/2001, i Comuni sono chiamati ad esprimersi sugli aspetti urbanistici, disponendo la norma citata che: ‘per il rilascio dell’autorizzazione, ai fini della verifica della conformità urbanistica dell’opera, è fatto obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali nel cui territorio ricadano le opere da realizzare’. Orbene i pareri de quibus – puntualmente acquisiti nel caso in esame – sono obbligatori e non vincolanti, stante la previsione di cui all’art. 52-quater e quinques del d.p.r. n. 327/2001 che specificano che l’approvazione del progetto comporta la variazione degli strumenti urbanistici indipendentemente dalla posizione espressa dal Comune”, ha spiegato il Tar Lazio.

Inoltre, “secondo orientamento giurisprudenziale pacifico”, “l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio delle infrastrutture lineari energetiche deve ritenersi comprensiva della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, della valutazione di impatto ambientale, ove prevista dalla normativa vigente, ovvero della valutazione di incidenza naturalistico-ambientale (…) dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi e della variazione degli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati”.

I COMPORTAMENTI DELLE AMMINISTRAZIONI RISULTANO REGOLARI

Ad ogni modo, dalla documentazione risulta provato che “tutte le Amministrazioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistica sono state convocate alla Conferenza di Servizi e “gli interessi ambientali e paesaggistici sono stati oggetto del decreto di VIA” mentre “la Soprintendenza ha ritenuto l’opera conforme al PPTR”, hanno chiarito i giudici.

Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso “si osserva in proposito che a seguito del reiterato invito da parte dell’amministrazione procedente nell’ambito di un procedimento di autorizzazione ex art. 52 – quinquies, o la Regione esprime un diniego alla richiesta di intesa dell’amministrazione procedente, nel qual caso sarà applicabile l’art. 14quater, comma 3, della legge 241/90, o la Regione mantiene un comportamento inerte, tale essendo ogni atto meramente interlocutorio o soprassessorio non conclusivo del proprio procedimento, costringendo l’amministrazione ad invocare il procedimento di cui all’art. 1, comma 8 bis della legge 239/2004. Orbene, nel caso in esame, il comportamento della regione può ben essere definito inerte”, si legge nella sentenza.

“La Regione – hanno proseguito i magistrati del Tar Lazio – si è limitata ad affermare che ‘non sussistono sufficienti elementi conoscitivi…necessari alla definizione dell’intesa’, senza esprimere un dissenso motivato. Per il vero, le asserite carenze documentali e progettuali avrebbero potuto (rectius dovuto) essere indicate dalla Regione ben prima del giorno stesso di riunione della conferenza di servizi conclusiva del procedimento, del 23 ottobre 2017. Il Mise, pertanto, ha agito correttamente: nello specifico, con nota prot. n. 28463 del 4 dicembre 2017 ha invitato la Regione a provvedere in merito agli aspetti paesaggistici; con determinazione del 15 dicembre 2017, ha proceduto a richiamare le risultanze del verbale di conferenza di servizi; ha preso atto della prevalenza delle posizioni espresse dalle amministrazioni competenti; ha motivato puntualmente circa la completezza della documentazione e della relativa istruttoria tecnica messa in dubbio dalla Regione Puglia per le divisate carenze conoscitive tecnico-ambientali e progettuali; ha riscontrato l’impossibilità di concludere positivamente il procedimento, non essendosi la Regione Puglia mai espressa in modo esplicito né con un diniego all’intesa, né con l’intesa favorevole – hanno concluso i giudici -. Peraltro, nel corso della riunione istruttoria tenutasi in data 21 dicembre 2017 avanti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stata la stessa regione Puglia ad affermare che la questione avrebbe dovuto “portare all’attivazione del procedimento previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327, art. 52-quinquies, comma 6”. E sempre la Regione ha citato la posizione assunta nell’ambito del (diverso) procedimento autorizzativo inerente alla TAP, ove espressamente aveva negato l’intesa, con conseguente rimessione degli atti da parte del MISE ai sensi dell'(allora vigente) art. 14-quater, comma 3, della legge 241/1990”.

LA SENTENZA PER IL COMUNE DI MELENDUGNO

LA SENTENZA PER IL COMUNE DI LIZZANELLO

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