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Ecco perché la crisi dell’industria chimica Ue potrebbe proseguire anche nel 2024

Il settore della chimica in Europa manca di competitività e ha spinto diverse aziende a mettere fuori servizio o a chiudere definitivamente gli impianti

L’industria chimica europea sta vivendo una delle crisi più profonde della sua storia. Il settore ha infatti lottato per tutto il 2023 con una domanda debole, che ha causato un calo dei prezzi dei prodotti chimici in un momento di costi storicamente elevati, in particolare per l’energia e le materie prime, esacerbati dalle ingenti spese di manodopera e regolamentazione. L’impatto sui risultati finanziari delle aziende con sede in Europa è stato duro, e non si prevede nessuna ripresa significativa almeno fino alla metà del 2024.

C’è un eccesso di capacità in molte catene del valore petrolchimiche, che ha messo in luce la mancanza di competitività dell’Europa nel settore e ha spinto diverse aziende a mettere fuori servizio o a chiudere definitivamente gli impianti. Una cosa che potrebbe proseguire anche nel prossimo anno. L’Unione europea è il secondo più grande produttore di prodotti chimici dopo la Cina: secondo il Consiglio europeo dell’industria chimica (CEFIC), l’industria chimica della regione genera un fatturato annuo di oltre 760 miliardi di euro. In dieci anni, tra il 2012 e il 2022, la quota Ue sulle vendite globali di prodotti chimici è scesa dal 17% al 14%, e c’è preoccupazione che, considerata la situazione attuale, diminuirà ulteriormente.

In alcuni Paesi europei si sta quindi lavorando a piani d’azione per sostenere l’industria, e numerosi produttori chimici della regione confidano molto nell’innovazione, poiché per affrontare la transizione energetica servono nuovi prodotti e tecnologie, ma ciò potrebbe non bastare a garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’Europa come forza principale nei mercati chimici globali.

LA SITUAZIONE DI BASF E LA STIMA DEL CEFIC

La tedesca BASF – una delle più grandi compagnie chimiche al mondo – nel febbraio scorso ha annunciato che entro fine 2024 chiuderà gli impianti di produzione di ammoniaca, caprolattame, toluene diisocianato e altri prodotti chiave nel suo complesso aziendale di Ludwigshafen, in Germania, nel tentativo di affrontare i costi più elevati in Europa, inclusi i prezzi del gas.

Nel 2023 i volumi di produzione chimica in Europa sono diminuiti del 6,6%, in netto contrasto rispetto alla crescita del 5,1% del 2022, e l’American Chemistry Council (ACC) prevede che nel 2024 la produzione registrerà solo una lieve ripresa. Secondo l’ACC, infatti, la produzione di prodotti chimici in Europa il prossimo anno crescerà dell’1,9%. Il CEFIC, nel suo ultimo rapporto mensile, afferma che l’Unione europea sta perdendo competitività sui mercati globali a causa degli elevati costi dell’energia e delle materie prime, e stima che nel 2023 la produzione chimica Ue subirà un calo dell’8%.

LE RAGIONI DELLA CRISI DELL’INDUSTRIA CHIMICA

L’impatto dei costi elevati, della domanda debole e del calo dei prezzi è stato molto acuto in Germania, che detiene la maggiore industria chimica d’Europa. I produttori tedeschi hanno dovuto adottare delle misure drastiche: “i prezzi elevati dell’energia e delle materie prime e la mancanza di ordini continueranno a pesare sugli affari. Le nostre aziende sono costrette così a ridurre i costi chiudendo impianti di produzione, rinunciando a singoli segmenti di attività o spostando gli investimenti all’estero”, ha spiegato Markus Steilemann, presidente dell’associazione tedesca dell’industria chimica VCI e CEO del produttore di materie prime poliuretaniche Covestro.

Anche altre aziende hanno annunciato l’intenzione di chiudere la capacità chimica in Europa nel 2024 a causa della debolezza della domanda, dei costi elevati, del calo dei prezzi e, in alcuni casi, della concorrenza di importazioni più economiche. A Sines, in Portogallo, Indorama Ventures sta fermando un’unità PTA da 700.000 tonnellate all’anno, mentre Ineos sta mettendo fuori servizio un impianto da 442.000 tonnellate all’anno a Geel, in Belgio. Gli alti costi energetici e operativi “hanno messo la produzione europea di PTA in una posizione di grave svantaggio rispetto agli esportatori asiatici, che beneficiano dell’accesso agli idrocarburi russi a prezzi scontati”, ha osservato Steve Dossett, amministratore delegato della filiale Ineos Aromatics.

LE MOSSE DELLA COMMISSIONE EUROPEA SULLE IMPORTAZIONI

La Commissione europea di recente è intervenuta per contrastare le importazioni a basso costo nella catena del valore del poliestere – inclusi PTA e polietilene tereftalato (PET) – annunciando dei dazi antidumping sulle importazioni di PET dalla Cina che vanno dal 6,6% al 24,2%. La Commissione sta anche effettuando delle indagini antidumping sul cloruro di polivinile e sul biossido di titanio, per salvaguardare i produttori europei dal danno materiale che il dumping può portare. Per Dossett “i dazi sul PET sono un passo nella giusta direzione, ma l’industria europea ha bisogno di maggiore aiuto. Servono ulteriori azioni contro altri importatori di PTA e resina PET artificialmente a basso costo”. Lo stop delle due unità PTA segue la chiusura in Europa, quest’anno, delle capacità di prodotti chimici e materie plastiche da parte di Trinseo, Kem One e LyondellBasell.

Vi sono però dei settori in cui l’industria chimica europea può competere a livello globale, anche nel petrolchimico. A novembre, S&P Global Commodity Insights ha stimato che il costo medio di produzione di etilene negli steam cracker europei – che si sono convertiti al consumo di etano importato dagli Stati Uniti, a prezzi competitivi – era inferiore a 400 dollari per tonnellata, tra i più bassi al mondo. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei cracker europei consuma ancora nafta, il che comporta un costo medio di produzione dell’etilene di oltre 600 dollari/tonnellata, tra i più alti al mondo.

L’IMPORTANZA DEL FATTORE INNOVAZIONE NELLA CHIMICA

Come si può uscire da questa impasse? L’innovazione resta uno dei punti di forza del settore: secondo il CEFIC, l’industria chimica europea spende circa 11 miliardi di euro l’anno in ricerca e sviluppo, il 17% del totale globale. Nei prossimi anni l’innovazione sarà molto importante e forse vantaggiosa per l’Ue, con lo sviluppo di nuove tecnologie di riciclaggio, energie rinnovabili, elettrificazione e plastica ad alta tecnologia, che consentiranno di soddisfare le condizioni previste dal Green Deal europeo e tutte le normative correlate. Tuttavia, l’industria lamenta che i costi normativi che l’Europa deve sostenere sono troppo elevati e chiede urgentemente di alleggerirli.

Il governo tedesco ha avviato delle discussioni con l’industria ed altre parti interessate sul possibile sviluppo di un “patto chimico” nazionale per sostenere lo status del Paese come sede dell’industria chimica. Lo scorso novembre Berlino ha annunciato un pacchetto di sussidi fiscali sull’energia per il suo settore industriale per un valore fino a 28 miliardi di euro sino al 2028, con 12 miliardi di euro garantiti per il 2024 e per il 2025.

Secondo l’amministratore delegato di VCI, Wolfgang Große Entrup, il pacchetto prezzi dell’elettricità non risolverà però la maggior parte dei problemi dell’industria chimica: “le misure adottate mantengono lo status quo, non apportano nessun ulteriore sollievo che migliorerebbe la competitività internazionale delle nostre aziende. Le misure non ridurranno significativamente lo svantaggio competitivo di regioni come la Cina o gli Stati Uniti. I politici devono continuare a lavorare sul futuro della Germania come una piazza economica, e in questo senso il patto sui prodotti chimici offre ulteriori opportunità”.

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