Stretta sul Pnrr, la Cina nazionalizza terre rare e l’Ue risponde, il ministro dell’Azerbaigian dice che il Paese fornirà gas all’Ue per decenni, tentativi di chiusura nomine Cdp. La rassegna Energia
Giorgetti chiede una proroga oltre giugno 2026 per spendere i fondi del Pnrr, Fitto frena. La proroga non avverrà prima di un anno, quando tutti i cantieri saranno partiti, secondo La Stampa. La Cina nazionalizzerà le terre rare e l’Ue inizia a rispondere. In Italia è la Sardegna ad avere un importante potenziale di estrazione delle terre rare. L’Azerbaigian si muove verso le rinnovabili, ma il ministro dell’Energia sottolinea che il Paese fornirà ancora gas all’Ue per decenni. Il Governo prova a chiudere la partita delle nomine di Cassa Depositi e Prestiti dopo quattro rinvii. L’assemblea straordinaria di oggi pomeriggio prevede il cambio di statuto per ampliare il consiglio da 9 a 11 posti, sembra vicino l’accordo per nominare 5 donne nel consiglio di amministrazione.
ENERGIA, ARRIVA LA STRETTA SUL PNRR
“A Palazzo Chigi e negli uffici della Commissione europea se ne discute spesso. A quattro anni dal calcio d’inizio del Recovery Plan e a due dalla scadenza (fin qui) tassativa per terminare le opere, l’Italia ha effettivamente speso un quarto dei fondi a disposizione, pena la loro restituzione. Che fare? È venuto il momento di chiedere e concedere una proroga oltre giugno 2026? Se mettiamo a confronto le parole dei due ministri più interessati alla faccenda, le opinioni divergono. Dice Giancarlo Giorgetti: «Dobbiamo creare le condizioni per non perdere i finanziamenti del Piano. Non oggi ma nei prossimi mesi anche l’Europa lo capirà. Io sono il primo a dirlo ad alta voce». Dice viceversa Raffaele Fitto: «Il dibattito sull’eventuale prolungamento dei tempi del Piano sono legittimi, ma ad oggi i tempi sono quelli decisi da Consiglio e Commissione europea». I più maliziosi vedono la vecchia ruggine fra i due per la decisione di Giorgia Meloni di accentrare nella struttura di Fitto i poteri una volta nelle mani del Tesoro. La realtà è più complessa, e spiega molto della partita da cui dipenderà il giudizio dei posteri sul primo governo Meloni. Se c’è un dossier per il quale il partito della premier dovrebbe votare a favore della conferma di Ursula von der Leyen, è quello del Pnrr”, si legge su La Stampa.
“Fitto, commissario in pectore per l’Italia nel prossimo esecutivo comunitario, è colui che, dopo aver imposto la riforma del Piano, ora deve farlo marciare. (…) questa settimana il ministro degli Affari europei ha scritto una nuova lettera per invitarle ad aggiornare lo stato di avanzamento dei lavori. Nell’ultima cabina di regia ha consegnato un formulario da presentare entro il 23 luglio con il quale aggiornare il sistema informatico di monitoraggio, il «Regis». Ha chiesto anche ai singoli ministri di chiarire il livello di spesa effettivamente raggiunto al 30 maggio. (…) Se aprisse ora a una proroga, il risultato sarebbe il rilassamento di un sistema già lento e inefficiente. Giorgetti ha un problema diverso. Entro metà settembre il ministro del Tesoro deve concordare con Bruxelles la «traiettoria tecnica» con cui l’Italia rientrerà in sette anni al tre per cento di deficit previsto dal Trattato di Maastricht. Più rapida sarà la spesa nei prossimi due anni, più sarà difficile la trattativa con l’Unione”, continua il quotidiano.
“È uno dei paradossi di un Paese che dall’Europa riceve più di quel che deve dare: da un lato c’è l’esigenza di far procedere le riforme e i cantieri, dall’altra quella di spalmare l’onere di un finanziamento straordinario che vale in ogni caso 120 miliardi di prestiti europei garantiti ad un Paese ad alto debito. In sintesi: Giorgetti e Fitto hanno ruoli diversi nella commedia, quella di una nazione con un’enorme mole di fondi da spendere, e lenta nel farlo. Fra i tanti che hanno vissuto da vicino la storia del Recovery Plan e le cinque notti passate da Giuseppe Conte a Bruxelles per vararlo, prevale la tesi che l’Italia abbia avuto più di quel che era realisticamente in grado di spendere. (…) Quando Giorgetti chiede una proroga sta dicendo ciò che nessun altro in questo momento – a Palazzo Chigi o alla Commissione – ha interesse a dire: la proroga ci sarà, resta solo da capire quando. Non avverrà prima di un anno, quando tutti i cantieri saranno partiti. A Bruxelles è pronto anche uno schema di proroga per i singoli progetti e con un margine misurabile. «Potrebbe essere il 70 per cento», ipotizza una fonte europea. (…) Non è un caso se i politici tedeschi e olandesi non vogliono sentir parlare di un bis del Recovery Plan”, continua il giornale.
TRANSIZIONE, LA CINA PUNTA SULLE TERRE RARE E L’UE RISPONDE
“Già negli anni Ottanta il leader Deng Xiaoping anticipava con una lungimiranza sconcertante: i Paesi arabi hanno il petrolio, ma la Cina ha le terre rare. Al tempo in pochi avrebbero potuto capirlo ma dal 1 ottobre sarà chiaro a tutti: la Cina nazionalizzerà le terre rare, gli elementi chimici con cui funziona sostanzialmente qualunque tecnologia (da quella per le rinnovabili, ai semiconduttori, i magneti e i motori ibridi) e che Pechino controlla a livello mondiale la maggioranza delle miniere conosciute. La mossa cinese è considerata anche una contromisura a una geoeconomia che ricorda molto una «globalizzazione fredda», fondendo e confondendo insieme caratteristiche sia della polarizzazione da Guerra fredda sia dell’esuberanza da capitalismo anni Ottanta. Ma la lezione da sottolineare ora è la lungimiranza con cui si strutturano le politiche dell’innovazione. Anche l’Europa (in ritardo) sta cercando di muoversi per riaprire le vecchie miniere di materiali strategici. L’Italia segue, per esempio, con le terre rare in Sardegna”, si legge su Il Corriere della Sera.
“(…) Maggiore sarà la crisi più le persone saranno disposte a scavare a fondo nonostante i costi. Il prezzo dei materiali strategici sta crescendo e ciò che Keynes usava come metafora per le politiche monetarie funziona anche qui. È una nuova corsa all’oro. Ma notare bene: il primo milionario di San Francisco non fu un cercatore. Ma Samuel Brannan, quello che vendeva le pale e gli attrezzi per scavare”, continua il giornale.
ENERGIA, SHAHBAZOV (AZERBAIGIAN): “L’UE AVRÀ BISOGNO DEL NOSTRO GAS PER DECENNI”
“Nonostante gli annunci, come quello di alcuni giorni fa a Get24, la fiera milanese della transizione energetica per le industrie. «L’Azerbaigian è determinato a muoversi verso le rinnovabili», ha detto dal palco Shahbazov, ministro dell’Energia di Baku, dai cui rubinetti dipende l’approvvigionamento di gas dell’Unione europea e soprattutto dell’Italia. Che si tratti di un business multimiliardario o della volontà di garantire la sicurezza energetica a nazioni altrimenti sotto il ricatto di Putin dipende dai punti di vista. Colpisce tuttavia che uno dei principali esponenti del governo che sta organizzando la Conferenza Onu sul clima di quest’anno (Cop29, a Baku dall’11 al 22 novembre), spenti i riflettori dica schiettamente: «Il gas resterà con noi per anni, anzi per decenni». (…) «Sarebbe retorico dire che è tutto pronto, siamo nel pieno del processo di preparazione. Cop29 non riguarderà solo il clima, ma tanti altri temi inclusi quelli dell’energia».”, si legge su La Repubblica Affari & Finanza.
“(…) «Sarà l’anno della finanza climatica e Cop29 sarà estremamente importante da questo punto di vista: l’obiettivo globale è incrementare l’impegno di 100 miliardi di dollari per aiutare la transizione dei Paesi in via di sviluppo. Non sappiamo quale potrà essere la cifra che emergerà alla fine, ma deve essere in linea con l’obiettivo di contenere il riscaldamento entro gli 1,5 gradi in più rispetto all’era pre-industriale. Ma ci sono altri temi importanti: l’articolo 6 sul mercato del carbonio, il Fondo per il Loss and damage, frutto della Cop27 di Sharm El Sheik, che deve ancora essere reso operativo. E poi la transizione giusta e i programmi per la mitigazione.
Siamo sicuri che la presidenza, con la grande esperienza che ha il nostro Paese nel fare da ponte tra l’Est e l’Ovest, il Nord e il Sud, riuscirà a mettere insieme le parti». Tra gli obiettivi di Cop29 non ha citato la transition away dai combustibili fossili, messa per la prima volta nero su bianco alla Cop28 di Dubai. «È stata decisa l’anno scorso e noi cercheremo di essere più precisi. Nel testo di Dubai si parla di una transition away in un “modo giusto, ordinato ed equo”. (…) da una parte stiamo producendo più energia rinnovabile, dall’altra puntiamo su tecnologie di cattura della CO2 e di decarbonizzazione, Ma occorrono investimenti importanti, senza investimenti non si può fare niente. Inoltre, insieme alla sicurezza ambientale, dobbiamo tener conto anche della sicurezza energetica. Dobbiamo mettere in sicurezza i sistemi che producono energia. Nel nostro Paese, per esempio, stiamo spingendo sulle rinnovabili, ma arrivati a un certo punto ci sono problemi tecnologici che non sono stati ancora risolti». (…) Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, per raggiungere le emissioni zero nette nel 2050 avremo bisogno di costruire globalmente almeno 80 milioni di chilometri di nuovi elettrodotti: cioè raddoppiare le reti elettriche esistenti oggi nel mondo. E infatti oggi ci sono circa 3mila gigawatt di progetti di energia rinnovabile in coda per essere integrati nelle reti esistenti a causa proprio di questo collo di bottiglia». (…) «Negli ultimi tre anni e mezzo abbiamo esportato 37,9 miliardi di metri cubi di gas verso l’Europa, di questi oltre 30 erano destinati all’Italia. (…) E stiamo lavorando insieme per l’aggiornamento delle infrastrutture: abbiamo in progetto di ampliare la Tap a partire dal 2026 per aggiungere altri 1,2 miliardi di metri cubi»”, continua il giornale.
“«Ci incontriamo regolarmente ed esiste già una stretta collaborazione tra Azerbaigian e Italia. Abbiamo ottime relazioni politiche ed economiche, un’ottima collaborazione nel settore energetico: gli scambi commerciali superano i 15 miliardi di dollari».
Una partnership in cui il gas naturale gioca un ruolo cruciale, ma quanto durerà? La Ue, in linea con la Iea, prevede che la domanda europea di gas diminuirà del 40% entro il 2030 e di oltre l’80% entro il 2040. «Questo è un aspetto. Dall’altra parte però, la presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen nel 2022 ha firmato con il nostro presidente lham Aliyev un memorandum di partnerariato strategico sull’energia nel quale la Ue ha chiesto all’Azerbaigian di raddoppiare la fornitura di gas. Questo significa che l’Unione europea, a dispetto di certe analisi, avrà bisogno più gas naturale, e non meno». (…) «Il gas naturale resterà con noi per decenni, perché farà parte del mix energetico del futuro». (…) la cattura del carbonio: e infatti è la tecnologia che stiamo preparando a implementare con la nostra compagnia nazionale Socar (State Oil Company of Azerbaijan Republic, ndr):assorbendo la CO2 emessa durante la combustione, il gas naturale sarà a tutti gli effetti una fonte pulita di energia». (…) Abbiamo inaugurato nuovi campi eolici e fotovoltaici. Ma il nostro grande progetto è collegare il Mar Caspio con l’Unione europea: nel Mar Caspio infatti abbiamo un potenziale enorme in fatto di energia eolica, secondo solo a quello del Mare del Nord. Vogliamo rifornire l’Europa con l’energia prodotta nel nostro mare attraverso uno dei corridoi verdi che fanno parte della nostra strategia». (…) Abbiamo provveduto alla sicurezza energetica dell’Europa con il petrolio e il gas: ora lo vogliamo fare anche con l’energia green»”, continua il giornale.
ENERGIA, VICINO ACCORDO SU NOMINE CDP CON 5 DONNE IN CDA
“Dopo quattro rinvii il governo prova a chiudere la partita per il rinnovo dei vertici di Cassa depositi e prestiti. Le nomine dovevano avvenire in primavera ma le elezioni europee prima, e, poi, un corto circuito sulle quote di genere da inserire nel cda hanno bloccato tutto. Nel pomeriggio di oggi si terrà l’assemblea straordinaria, che prevede il cambio di statuto per ampliare il consiglio da 9 a 11 posti. Una mossa divenuta indispensabile all’indomani degli attacchi dell’ opposizione contro le forze di maggioranza: per settimane FdI, Lega e Forza Italia non hanno trovato un’intesa sui nominativi, esprimendo per lo più profili di uomini, mentre lo statuto Cdp prevede la presenza di almeno quattro donne. La soluzione è stata individuata, come detto, ampliando il board: i partiti di maggioranza avranno così modo sia di indicare i consiglieri uomini graditi, sia di rispettare le quote di genere, disinnescando le polemiche”, si legge su Il Corriere della Sera.
“(…) Alla guida resterà Dario Scannapieco, in veste di amministratore delegato, mentre per la presidenza è confermato Giovanni Gorno Tempini (candidato dalle fondazioni, che in Cdp detengono il 15,9%).(…) Con la modifica dello statuto le donne salgono a cinque per rispettare le quote del 40%. I profili individuati dalla maggioranza di governo sono Valentina Milani, avvocata e consigliera di Cdp Venture Capital, Flavia Mazzarella, ex presidente di Bper, e Anna Maria Selvaggio, dg del fondo Fon.te. e membro dell’advisory committee di F2i. Poi ci saranno altre due donne espresse dalle fondazioni: Maria Cannata, ex dirigente generale del Tesoro e presidente di Mts, e Matilde Bini”, continua il giornale.
“L’assemblea di oggi apporterà un’ulteriore novità: le quote di genere saranno estese al collegio sindacale e al consiglio per la gestione separata. Quest’ultimo è l’organo che sovrintende sugli investimenti pubblici di Cdp che conterà tre uomini e due donne (portando così il conteggio totale a 7 donne, contro le 4 attuali). Oltre ai membri del Tesoro e della Ragioneria generale hanno diritto a un posto ciascuno gli enti locali. (…) Le Regioni hanno segnalato Alessia Grillo e Paolo Calvano. Se l’assemblea straordinaria di oggi procederà senza intoppi alle modifiche statutarie, subito dopo l’assemblea ordinaria provvederà alle nomina del consiglio. Altrimenti ci sarà l’ennesimo rinvio”, continua il giornale.