Il Ppe torna a chiedere a von der Leyen un retromarcia sulla transizione elettrica delle auto. Scontro tra energivori e rinnovabilisti sulle bollette. Puliti (Saipem): “Fusione Subsea7 creerà campione Ue dell’ingegneria energetica”. La rassegna Energia
Il retromarcia dell’Ue sulla transizione elettrica delle auto non è più un tabù. Il partito popolare europeo (Ppe) è tornato a fare pressioni su Ursula von der Leyen per rivedere la strategia europea per la decarbonizzazione della mobilità. Il suo partito chiede alla presidente della Commissione Europea di annullare il divieto di vendere auto endotermiche e di aprire a carburanti sintetici e bio. È scontro tra imprese energivore e “rinnovabilisti”. Gli energivori hanno chiesto a gran forza il disaccoppiamento del prezzo unico nazionale oppure una quota di energia idroelettrica da destinare a loro in maniera strutturale. I fautori delle rinnovabili, rappresentati da Elettricità Futura, invece, accusano le imprese energivore di volere strappare un nuovo sussidio strutturale. L’associazione propone di contrattualizzare a medio periodo l’energia da impianti rinnovabili per avere prezzi più bassi e stabili, rinnovando al tempo stesso gli impianti eolici e solari esistenti. La fusione tra Saipem e Subsea7 creerà un campione europeo dell’ingegneria, in grado di posizionarsi ancora meglio in mercati come le Americhe e aumentare la presenza di Saipem nel Mare del Nord. A dirlo è Alessandro Puliti, ceo di Saipem, il quale sottolinea che l’obiettivo è creare un leader mondiale delle infrastrutture dell’energia a terra e offshore. La rassegna Energia.
POSSIBILE FRENATA DELL’UE SU TRANSIZIONE ELETTRICA
“Motori indietro tutta: la strategia Ue per la mobilità pulita va riconsiderata, e resa davvero a prova di industria. Il partito popolare europeo (Ppe) torna a fare pressioni su Ursula von der Leyen, nel momento in cui la presidente della Commissione europea incontra le imprese del comparto auto per il dialogo strategico sul futuro del settore. L’incontro di oggi dovrebbe servire a migliorare il piano d’azione atteso per mercoledì (5 marzo) e già oggetto di critiche per assenza di misure atte a scongiurare crisi di produzione che aprono nuove fronde interne al partito di Von der Leyen.
«L’obiettivo di porre fine alle vendite di auto con motore a combustione interna entro il 2035 sembra più irrealistico che mai», il monito del gruppo del Ppe nel Parlamento europeo, che suona di fatto come sfiducia nei confronti del capo dell’esecutivo comunitario. Il divieto di continuare a produrre auto come fatto finora «dovrebbe essere revocato per riflettere la neutralità tecnologica» (…) Si torna perciò a chiedere di abbracciare la possibilità di motori a scoppio alimentati da carburanti sintetici e bio, così da avere più soluzioni a disposizione per il cambio di passa a zero emissioni. Una proposta che oltretutto fa il gioco dell’Italia, che si batte proprio per i biofuels e che per questa ragione ha osteggiato l’agenda europea per l’auto, almeno fino a oggi. «Sulle auto serve una svolta vera», sottolinea Adolfo Urso, ministro per le Imprese e il Made in Italy, aggiungendo pressioni a quelle già esercitate dal Ppe. «Serve il massimo impegno», dice. (…) Meno complicato ragionare con i liberali, comunque fedeli al Green Deal, ma con richieste meno perentorie dei socialisti sullo stesso tema. Considerando che nell’Aula un’ampia parte dei conservatori (Ecr) e dei sovranisti (PfE) è già schierato contro il divieto varato la scorsa legislatura, un convincimento dei liberali produrrebbe i numeri necessari per nuove maggioranze a sostegno di revisioni legislative”, si legge su La Stampa.
“Von der Leyen non deve però rispondere all’assedio del suo partito, deve innanzitutto offrire garanzie ai produttori, a cominciare da Acea, l’associazione dei produttori europei di cui fa parte anche Stellantis, e Anfia, l’associazione italiana di filiera. Bruxelles continua ancora a puntare troppo solo sull’elettrico, non cancella le multe previste per chi non rispetta gli obiettivi di riduzione di emissioni di gas a effetto serra. Mancano in sostanza le misure considerate «essenziali» dall’industria e anche dal Ppe, le cui pressioni pre-tavolo strategico non sono casuali. A Von der Leyen si chiedono risposte già oggi, con il dialogo da lei stessa voluto, e ancor più con il piano d’azione di mercoledì nella versione aggiornata. (…) preferisce perciò tralasciare il confronto politico per concentrarsi su quello con l’industria. Con Parlamento e Consiglio ha già raggiunto accordi, di cui la messa al bando dei motori a combustione interna dal 2035 è espressione tangibile. Ora è tempo di avviare un percorso con i produttori di automobili”, continua il giornale.
ENERGIA, SCONTRO PREZZI TRA PRODUTTORI E IMPRESE
“Sono giorni caldi per i temi energetici. Venerdì 28 febbraio il Consiglio dei ministri ha varato un decreto del valore di 3 miliardi per alleviare il costo della bolletta energetica per famiglie e imprese. Un intervento che nelle settimane precedenti ha scatenato una battaglia in cui diversi gruppi politici, economici e di interesse hanno cercato di portare acqua al proprio mulino. Tutto nasce a inizio 2025 quando i prezzi del gas sono saliti a causa della chiusura del gasdotto che dalla Russia porta la materia prima in Europa, attraverso l’Ucraina. L’aumento del prezzo del gas si è trasferito sulle bollette elettriche di famiglie e imprese perché una buona parte della produzione di energia in Italia è ottenuta con centrali termoelettriche che sono alimentate a gas. L’Italia è il paese europeo che risente di più di questo trasferimento perché ha un mix di produzione energetica che dipende ancora molto dal gas, avendo a suo tempo rinunciato all’energia nucleare al contrario di Francia e Spagna. In Italia si sono sviluppate bene le produzioni da energia rinnovabile (oltre il 40%), grazie anche ai generosi incentivi dei primi due decenni del Duemila, nel contempo si stanno progressivamente dismettendo le centrali alimentate a carbone, ma le centrali a gas rappresentano ancora circa il 40% del fabbisogno nazionale. (…) se in certe ore della giornata (le ore dove c’è più sole e vento) la domanda è coperta da un’offerta composta solo da rinnovabili il Pun sarà relativamente basso, visto che le rinnovabili non devono andare ad acquistare la materia prima. Se invece, in altre ore della giornata, come alla sera, l’ultimo prezzo inserito è quello di una centrale a turbogas, il prezzo che tutti dovranno pagare a quell’ora sarà molto più alto. Inoltre le centrali a turbogas, oltre a dover comprare la materia prima, cioé il gas, hanno l’aggravante che devono acquistare i certificati di CO2 per compensare l’inquinamento che producono. E così il loro costo di produzione dell’energia sale e, con esso, il Pun da cui dipendono le bollette. Questo meccanismo del prezzo marginale è uguale in tutta Europa e ciò rende impossibile che un Paese si distacchi per utilizzarne un altro: nel caso, lo devono fare tutti i paesi insieme. L’altro meccanismo, il “pay as bid”, cioè prendi per il prezzo che offri, permette di disaccoppiare il prezzo per l’energia da rinnovabili da quella prodotta con altre fonti, ma non sembra incontrare i favori dell’autorità europea (Ares)”, si legge su La Repubblica Affari & Finanza.
“È in questo scenario che sulla scia degli aumenti dei prezzi del gas di inizio anno si è consumato uno scontro all’arma bianca tra“energivori” e “rinnovabilisti”. I primi sono i proprietari delle imprese manifatturiere che hanno un consumo di energia molto alto, in settori come l’acciaio, la ceramica, la carta, il vetro, il cemento, e che da gennaio hanno visto peggiorare la loro competitività rispetto alle altre imprese europee. Gli energivori godono però di alcuni sconti che da molti anni sono previsti e pagati nella bolletta dei cittadini proprio per andare incontro alle loro esigenze. (…) Sconti che complessivamente possono abbassare il Pun di oltre 70 euro al MW ma che non hanno impedito agli energivori di tornare alla carica con il governo per chiedere il disaccoppiamento del prezzo Pun, per ora non possibile, o una quota di energia idroelettrica da destinare a loro in maniera strutturale. La Confindustria a guida Emanuele Orsini ha sostenuto queste richieste, così come il presidente di Federacciai Antonio Gozzi che in alcuni suoi interventi ha descritto il marginal price come un «vantaggio a favore delle centrali più efficienti ma soprattutto che crea una rendita significativa a favore dei produttori di energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) che non avendo combustibili da comprare hanno costi di generazione elettrica molto più bassi e non devono pagare la tassa carbonica»”, si legge sul quotidiano.
“Tra i “rinnovabilisti”, riuniti nell’associazione Elettricità Futura, non ci sono solo i piccoli e medi investitori privati ma anche i grandi produttori elettrici come Enel, Edison, e le grandi utilities A2A, Hera, Iren, i quali ritengono che gli energivori stanno cercando di sfruttare un momento di picco del mercato del gas per portare a casa un nuovo sussidio strutturale che si andrebbe ad aggiungere agli altri. Il sistema Smp, per loro, è quello più trasparente in assoluto e permette alle risorse più efficienti, come le rinnovabili, di ottenere una giusta remunerazione degli ingenti investimenti fatti e attrarre così nuovi investimenti, abbassando il costo dell’energia per tutti. (…) Le soluzioni per alleviare il loro costo in maniera strutturale, per Elettricità Futura, sono due. Contrattualizzare a medio periodo l’energia da impianti rinnovabili, cosa che permetterebbe di avere prezzi più bassi e stabili. E rinnovare gli impianti eolici e solari esistenti, con il duplice vantaggio di evitare impatti ambientali aggiuntivi e di aumentare la disponibilità di energia”, continua il giornale.
ENERGIA, PULITI (SAIPEM): “FUSIONE CON SUBSEA7 CREA CAMPIONE UE INGEGNERIA”
“La fusione proposta con Subsea7? «È una grande operazione industriale: porterà a integrare le flotte e ad avere oltre 60 navi distribuite nel mondo permettendo di ottimizzarne la gestione, riducendo i tempi morti di spostamento, con un vantaggio per noi ma anche per i clienti». E ancora: «La concorrenza cinese? C’è, per questo puntiamo sulle attività, anche nell’off-shore, che richiedono una tecnologia più innovativa in cui noi siamo più avanti». Nella settimana che lo ha catapultato sotto i riflettori internazionali, il ceo di Saipem Alessandro Puliti può finalmente godersi i risultati raggiunti: la piena redditività, il ritorno al dividendo (che crescerà) ma, soprattutto, la prospettiva di creare un campione europeo dell’ingegneria, leader mondiale nelle infrastrutture dell’energia a terra e in mare. Saipem cambia i propri orizzonti e vara un’operazione trasformativa che non soltanto archivia la crisi, ma apre un nuovo capitolo della sua storia. (…) La promessa di matrimonio con la società norvegese firmata dal geologo top manager prevede un’unione paritetica, che farà nascere un gruppo — Saipem7 — da 20 miliardi di ricavi, un portafoglio ordini aggregato di 43 miliardi, quotato sia su Borsa Italiana sia a Oslo. (…) L’accordo vincolante con Subsea7 dovrebbe essere firmato intorno alla prima metà di quest’anno per arrivare al merger nella seconda metà del 2026, ma «lavoreremo per accelerare al massimo questa tempistica per quanto riguarda le azioni che sono sotto il nostro controllo — ha assicurato Puliti —. La strategia è combinare le flotte complementari. Questo ci consentirà di servire i clienti in modo più flessibile e tempestivo, con una programmazione dei progetti più efficiente anche a nostro vantaggio: perché con una distribuzione più capillare le navi trascorrerebbero meno tempo in navigazione per spostarsi da una parte all’altra del globo. (…) fiori all’occhiello sono la posatubi Castorone e la nave gru Saipem 7000: è la terza nave-gru più grande al mondo, in grado di realizzare operazioni offshore a oltre duemila metri sotto il mare ed è un fuoriclasse del sollevamento pesi (fino a 14 mila tonnellate), «sport» in cui Subsea7 —che ha 41 navi — non è così forte. Ma la complementarità è anche geografica. «Oltre ai mercati tradizionali in cui abbiamo già una presenza consolidata, come il Medio Oriente e l’Africa — spiega Puliti —, con la fusione Saipem si posizionerà ancora meglio in mercati come le Americhe e aumenterà la presenza nel Mare del Nord»”, si legge su L’Economia de Il Corriere della Sera.
“Risorse e capitale umano, oltre che tecnologia. Perché la Cina non sta a guardare e dopo che si è presa il mercato di molti prodotti per la transizione energetica quali pannelli solari, sistemi di accumulo, di recente anche pale eoliche, con il lancio di DeepSeek nell’intelligenza artificiale ha dimostrato di poter lanciare la sfida per diventare una superpotenza tecnologica e di non essere più la «fabbrica del mondo a basso costo». (…) La soluzione è mantenere la distanza tecnologica, lavorando su design e nuove tecnologie. Questo è ancora più evidente nelle operazioni offshore, dove il livello tecnologico richiesto per operare è più elevato». (…) Dei quattro business in cui sarà suddiviso il nuovo gruppo — Offshore Engineering & Construction, Onshore Engineering & Construction, Sustainable Infrastructures e Offshore Drilling — il business Offshore Engineering & Construction sarà incorporato in una società con propria autonomia operativa. Chiamata «Subsea7», comprenderà tutte le attività di Subsea7 e quelle di ingegneria e costruzione offshore di Saipem. (…) Nelle attività legate alla decarbonizzazione le commesse che «tirano» di più sono quelle per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 (Ccs). «È il settore più vivo — analizza Puliti — e noi siamo presenti con soluzioni integrate lungo tutta la catena del valore”, si legge sul quotidiano.
“A proposito di costi degli impianti per le rinnovabili (ma non solo), Puliti ricorda il periodo post-pandemia, in cui l’inflazione, la spesa per le materie prime e l’impennata dei tassi hanno cambiato radicalmente i conti economici. «Chi, come noi, aveva contratti Epc (Engineering, Procurement and Construction) chiavi in mano che duravano anche quattro o cinque anni si è trovato in uno scenario caratterizzato da opex (costi operativi) e capex (di investimento) non più allineati alle previsioni. (…) contratti “reimbursable”: anziché basarsi su un prezzo fisso, prevedono il rimborso dei costi sostenuti e il riconoscimento di un compenso. Insomma, stiamo proponendo ai clienti un cambio di paradigma»”, continua il giornale.