Il premio di rischio sul petrolio, lo stop alla produzione di Tesla nella fabbrica di Austin e la carbon tax Ue: i fatti della settimana di Marco Orioles
Questa settimana tra i fatti più rilevanti si registrano il conflitto tra Israele e Iran che sta portando un aumento dei prezzi del petrolio, lo stop alla fabbrica di Austin che produce Tesla e la proposta di carbon tax avanzata dailla Ue nei confronti dei paesi terzi.
CONFLITTO ISRAELE-IRAN: IL PREMIO DI RISCHIO SUL PETROLIO
Come riferisce Bloomberg, gli analisti del mercato petrolifero stanno rivalutando il premio di rischio sul greggio globale a causa della possibile escalation del conflitto tra Israele e Iran e di un possibile intervento degli Usa nel conflitto. Dall’inizio degli attacchi, i futures sul Brent incorporano un premio geopolitico di circa 8 dollari al barile secondo un sondaggio di analisti e trader citato dalla stessa agenzia. Un intervento militare degli Usa, avverte l’analista di Barclays Amarpreet Singh citato da Bloomberg, potrebbe amplificare questo premio con prezzi che, in uno scenario estremo, potrebbero superare i 100 dollari al barile. I trader intanto monitorano attentamente la situazione dello Stretto di Hormuz, cruciale per il 20% delle spedizioni globali di petrolio, che finora non subisce interruzioni malgrado le minacce da parte degli ayatollah di minare lo stesso Stretto. Il CEO di Shell, Wael Sawan, avverte che un suo blocco potrebbe causare uno shock significativo, con piani di contingenza già predisposti. I volumi di trading di futures e opzioni, rileva ancora Bloomberg, sono saliti a livelli record, con call options che riflettono il timore di un’impennata dei prezzi. Goldman Sachs stima un premio di rischio di 10 dollari al barile, ma ritiene che l’alta capacità produttiva globale possa mitigare eventuali forti rialzi. Per l’Economist un blocco completo dello Stretto di Hormuz potrebbe spingere i prezzi oltre i 100 dollari, ma tale probabilità è considerata bassa grazie all’abbondante capacità produttiva globale. Alcuni trader in ogni caso hanno acquistato put options sui 60 dollari, scommettendo su un possibile calo dei prezzi in assenza di interruzioni significative. Reuters ha riferito stanotte che i futures sul Brent, dopo gli ultimi annunci da parte Usa che un possibile intervento americano nel conflitto non è affatto sicuro e avverrà eventualmente solo tra due settimane, sono scesi del 2,4% con una quotazione che ha raggiunto i 76.96 dollari al barile. Anche il New York Times notava qualche giorno fa che il prezzo del Brent era sceso a 73,23 dollari poiché le infrastrutture petrolifere iraniane erano rimaste intatte.
TESLA FERMA LA PRODUZIONE AD AUSTIN
Come riferisce Business Insider, la fabbrica Tesla di Austin, in Texas, sospenderà la produzione dei veicoli Cybertruck e Model Y nella settimana del 30 giugno, in una pausa formalmente motivata dalla necessità di manutenzione delle linee produttive e dall’obiettivo di ottimizzare le operazioni future. La notizia, sottolinea Quartz, ha subito causato un calo del 4% delle azioni Tesla in Borsa. Sebbene le pause estive siano una prassi comune tra i produttori automobilistici, per Tesla – nota ancora Business Insiderin un altro articolo – si tratta della terza interruzione in un anno: a maggio infatti i lavoratori avevano interrotto i lavori per partecipare a dei seminari sul morale aziendale, mentre a dicembre la produzione è stata fermata a causa della carenza di batterie. Durante la pausa appena annunciata, i dipendenti potranno scegliere tra ferie retribuite o partecipare a sessioni di formazione volontaria e attività di pulizia dello stabilimento. Il fermo produttivo arriva in un momento complicato per Tesla, dopo un primo trimestre 2025 deludente, con vendite che – osserva ancora Quartz – hanno raggiunto il livello più basso dal 2022 e registrato un calo del 13% rispetto all’anno precedente, nonostante il lancio lo scorso gennaio di una nuova versione della Model Y. Parte di questa flessione è attribuita a boicottaggi da parte dei consumatori che sarebbero legati al controverso coinvolgimento di Elon Musk nell’amministrazione Trump. A maggio, peraltro, gli azionisti avevano espresso il loro malcontento in una lettera aperta in cui esortavano il Patron a concentrarsi sul suo ruolo di amministratore delegato. I problemi di Tesla comunque non finiscono qui. A marzo infatti l’azienda ha dovuto richiamare numerosi Cybertruck per problemi ai pannelli esterni, che rischiavano di staccarsi, creando pericoli per la sicurezza stradale. Tesla nel frattempo si prepara a lanciare il 22 giugno i suoi attesi robotaxi Model Y, un progetto promesso da Musk da quasi un decennio. Attesi per luglio, i risultati finanziari del secondo trimestre saranno così cruciali per valutare le prospettive dell’azienda.
UNA PROPOSTA UE PER I CREDITI DI CARBONIO VERSO I PAESI TERZI
Come riferisce Politico, la Commissione Ue sta lavorando a una proposta che sarà presentata il 2 luglio e consentirebbe l’uso limitato di crediti di carbonio generati da progetti in paesi terzi per raggiungere i propri obiettivi climatici. Secondo la bozza dell’emendamento alla Legge Europea sul Clima vista dal quotidiano, ricorda il quotidiano, l’Ue punta a ridurre le emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2040, permettendo ai paesi membri di finanziare progetti climatici all’estero, spesso in nazioni più povere, per coprire parte di questo target. L’idea, che ricalca un accordo del governo tedesco, prevede un tetto del 3% per l’uso di questi crediti, ma il dibattito è ancora aperto e sono possibili compromessi fino alla deadline del 2 luglio. Vi sono infatti alcuni paesi, tra cui la Francia, che ritengono che il limite del 3% sia troppo basso e spingono per una maggiore flessibilità, pur senza indicare una percentuale precisa. Il Commissario per il Clima, Wopke Hoekstra, ha discusso il tetto del 3% con diversi governi, ma la Commissione non ha confermato questa cifra. L’uso di crediti di carbonio consentirebbe a governi o aziende di contare le riduzioni di emissioni ottenute all’estero verso i propri obiettivi climatici, sollevando però diverse critiche, in particolare tra chi teme che ciò rallenti la decarbonizzazione interna all’Ue. Nonostante le perplessità, sottolinea Politico, l’idea sta guadagnando consensi. La stessa Francia vede i crediti come un modo per alleggerire il carico sull’industria europea, mentre la Finlandia li considera una possibile compensazione per la perdita di capacità di assorbimento di CO2 delle sue foreste. La Germania, invece, insiste su progetti di alta qualità con riduzioni permanenti, ed è scettica verso soluzioni temporanee come la riforestazione. Il consiglio scientifico indipendente dell’UE ha invece messo in guardia sui rischi per l’integrità degli obiettivi climatici e anche la vicepresidente della Commissione, Teresa Ribera, ha espresso numerose riserve. Tuttavia, la pressione di almeno dieci paesi membri, tra cui la Finlandia, spinge la Commissione a considerare i crediti per trovare un accordo sul target del 2040.