La prescrizione che impone lo stop alla produzione di carbone a partire dal 31 dicembre 2025 verrà eliminata, permettendo agli impianti a carbone di essere “messi a riserva” e riattivate in caso di bisogno
Il governo ha deciso: le centrali a carbone non verranno smantellate a dicembre, ma resteranno “in standby” per altri due anni, pronte a funzionare ancora in caso di necessità, se ad esempio l’Italia si trovasse a corto di gas. L’obiettivo del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, è chiudere la questione entro l’estate, per avere il tempo di rivedere le Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) degli impianti Enel di Brindisi e Civitavecchia, che scadranno a fine anno.
IL PIANO DEL GOVERNO SULLE CENTRALI A CARBONE
La prescrizione che impone lo stop alla produzione di carbone a partire dal 31 dicembre 2025 verrà quindi eliminata, permettendo così agli impianti a carbone di essere “messi a riserva” e riattivate in caso di bisogno.
Una situazione già vista poco dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – quando l’Italia si ritrovò a corto di gas a causa della riduzione delle importazioni da Mosca – e che è stata decisa considerando l’incertezza generata dagli attuali scenari geopolitici. Nonostante il blocco dello Stretto di Hormuz – da cui transita il GNL del Qatar – sembri scongiurato (almeno per ora), l’attenzione del governo sulle forniture di gas resta alta.
IL POSSIBILE ACCORDO CON ENEL
Ecco allora che l’esecutivo dovrà sedersi al tavolo con Enel per individuare una soluzione condivisa. Scegliendo tra due opzioni, la prima delle quali è che il GSE copra i costi di gestione degli impianti (tra cui quelli per il personale che avrà il compito di mantenere le centrali in standby).
Con un problema, però: che il carbone deve essere movimentato per evitare la combustione spontanea, e che gli impianti non si possono spegnere e riaccendere. Motivo per cui alcune fonti del MASE sono contrarie a questa ipotesi, in quanto sarebbe troppo onerosa per le casse della società partecipata al 100% dal ministero dell’Economia. Senza contare che i costi finirebbero sulle bollette, aumentando quindi le spese a carico di famiglie e aziende.
L’IPOTESI DELLA NAZIONALIZZAZIONE DELLE CENTRALI A CARBONE
La seconda soluzione sarebbe l’acquisizione degli impianti Enel da parte dello Stato, in pratica una nazionalizzazione. Tra due anni, però, alla chiusura degli impianti, i costi per la bonifica e lo smantellamento sarebbero a carico proprio dello Stato. È quindi su tutti questi elementi che l’esecutivo ed Enel si ritroveranno a discutere.
LE CENTRALI A CARBONE ITALIANE ANCORA ATTIVE
In Italia ci sono 6 centrali a carbone ancora funzionanti: quattro sono di Enel, a Fusina (Venezia) da 976 MW, Brindisi da 2.640 MW, Civitavecchia (1980 MW) e Portovesme (Carbonia-Iglesias) da 480 MW, una è di A2A a Monfalcone (Gorizia) da 336 MW, e la sesta è di EP Produzione a Fiume Santo (Sassari).