Sarà cancellata la prescrizione che impone lo stop alla produzione di carbone a partire dal 31 dicembre. In questo modo, infatti, le centrali a carbone potranno essere messe a riserva e riattivate a in caso di necessità.
Nel 2024, la produzione e il consumo di carbone nell’UE sono scesi ai livelli più bassi mai registrati, raggiungendo rispettivamente 242 milioni di tonnellate e 306 milioni di tonnellate. Rispetto al 2023, il consumo è diminuito del 13% e la produzione del 12%. Questo dopo un calo record su base annua tra il 2022 e il 2023, quando la produzione era diminuita del 21% e il consumo del 23% secondo quanto emerge dai dati Eurostat.
CALO ACCOMPAGNATO DA UNA DIMINUZIONE DEL RUOLO DEL CARBONE NELLA PRODUZIONE DI ELETTRICITA’
Questo calo storico del consumo di carbone nell’UE è stato accompagnato da un calo del ruolo di questo combustibile nella produzione di elettricità. La quota del carbone nella produzione di elettricità nell’UE è scesa dal 16% nel 2022 al 12% nel 2023.
LA RUSSIA PERDE LA SUA POSIZIONE DI PRINCIPALE FORNITORE DI CARBONE DELL’UE
Negli ultimi anni, si è assistito anche a un significativo riassetto tra i principali fornitori di carbone dell’UE. Le importazioni nette di carbon fossile dalla Russia sono crollate del 98% tra il 2021 e il 2023. Questo calo è stato conseguenza del divieto imposto dall’UE sulle importazioni di carbone fossile dalla Russia, entrato in vigore nell’agosto 2022, a seguito della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina.
AUSTRALIA E USA I MAGGIORI FORNITORI, TASSO DI DIPENDENZA DALL’ESTERO AL 67%
Nel 2023, il 90% delle importazioni nette di carbone fossile proveniva da 5 paesi: Australia e Stati Uniti (entrambi 25%), Colombia (18%), Sudafrica (14%) e Kazakistan (9%). Con un tasso di dipendenza dell’UE dalle importazioni pari al 67% (comunque inferiore a quelli di petrolio e gas naturale rispettivamente del 95% e del 90%).
IN ITALIA IL CARBONE NON HA MAI SUPERATO IL 10% DEL MIX ENERGETICO
Per quanto riguarda l’Italia, il carbone non ha mai avuto un ruolo di grande rilievo, non superando mai il 10% del mix energetico nazionale. Inoltre, nel nostro Paese, così come in molti altri, la generazione elettrica da carbone è in calo: nel 2024 il combustibile ha generato solo 3.500 GWh di energia elettrica, il 71% in meno rispetto all’anno precedente.
Questa riduzione è in linea con l’impegno dell’Italia a dismettere le centrali a carbone ancora attive (Brindisi, Civitavecchia, e Monfalcone) entro il 2025, mentre quelle ubicate in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo) verranno chiuse definitivamente nel 2028. Per queste ultime infatti si dovranno attendere alcuni importanti interventi infrastrutturali, su tutti il completamento del Tyrrhenian Link, il doppio collegamento sottomarino che consentirà gli scambi energetici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia.
IL RIPENSAMENTO DEL GOVERNO
Potrebbero però esserci delle novità, come ha riportato qualche settimana fa La Repubblica. Secondo cui le centrali a carbone “non saranno smantellate a dicembre. Resteranno dormienti per altri due anni. Pronte a bruciare ancora se l’Italia dovesse trovarsi a corto di gas”.
ROAD MAP ENTRO L’ESTATE. CENTRALI RIATTIVABILI IN CASO DI NECESSITA’
“L’obiettivo del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, è chiudere la road map entro l’estate, in tempo utile per rivedere le autorizzazioni integrate ambientali (Aia) degli impianti Enel di Brindisi e Civitavecchia che scadono a fine anno – scrive il quotidiano romano -. Sarà cancellata la prescrizione che impone lo stop alla produzione di carbone a partire dal 31 dicembre. In questo modo, infatti, le centrali potranno essere messe a riserva e riattivate a in caso di necessità. Era già successo subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quando l’Italia si ritrovò alle prese con un ammanco di metano a causa della contrazione delle importazioni di metano dalla Russia”.
DUE OPZIONI SUL TAVOLO
Per completare questa operazione “le opzioni sul tavolo sono due. La prima è che sia il Gse, il Gestore dei servizi energetici, a coprire i costi di gestione degli impianti. Tra quest’ultimi figurano quelli per il personale dedicato alle attività necessaria a tenere le centrali in stand-by”, sottolinea La Repubblica. “La seconda strada è l’acquisizione degli impianti Enel da parte dello Stato. Una nazionalizzazione, quindi. Le finanze pubbliche si ritroverebbero però a sostenere i costi delle bonifiche e dello smantellamento degli stabilimenti quando, tra due anni, saranno chiusi”.