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Dazi UE, la Cina fa boom: l’export di auto elettriche conquista l’Europa. I fatti della settimana

Mentre i produttori europei soffrono su più fronti, i marchi cinesi come BYD dilagano nel Vecchio Continente. Nel segmento delle auto elettriche, la loro quota di mercato in Europa ha già raggiunto il 10%. “Non sono più solo i re del low-cost, ora guidano la tecnologia”, avverte il capo di una delle più grandi compagnie di trasporto navale. I fatti della settimana di Marco Orioles

Le case automobilistiche europee stanno perdendo quote di mercato a livello globale, messe in difficoltà dalla crescita dei produttori cinesi, che non competono più solo sul prezzo ma anche sull’innovazione tecnologica, specialmente nel settore dei veicoli elettrici. Nel mercato europeo, la quota delle auto cinesi ha già raggiunto il 10% nel segmento elettrico. In controtendenza, le grandi compagnie energetiche europee come Shell, BP ed Eni hanno chiuso il terzo trimestre con utili superiori alle attese, grazie soprattutto ai robusti margini di raffinazione. Nel frattempo, la Grecia ha firmato un accordo storico con ExxonMobil per riavviare le esplorazioni di gas offshore dopo 40 anni, una mossa che rafforza il suo ruolo strategico nel Mediterraneo orientale ma che suscita le proteste degli ambientalisti.

VENTO IN POPPA PER LE AZIENDE ENERGETICHE EUROPEE

Le aziende energetiche europee hanno chiuso il terzo trimestre con risultati ben sopra le attese, riferisce Bloomberg, nonostante un mercato del petrolio piuttosto fiacco. L’indice MSCI Europe Energy ha registrato una crescita degli utili per azione del 2,7%, contro un calo previsto del 6,8%, secondo i dati di Bloomberg Intelligence. Tra tutti i comparti, proprio il settore oil&gas ha registrato le migliori performance. A trainare il risultato sono state soprattutto le big: Shell, BP ed Eni. Shell ha brillato grazie a un trading del gas molto redditizio, a volumi in aumento nel GNL e a margini di raffinazione solidi. BP, dal canto suo, ha sorpreso il mercato con profitti superiori alle previsioni, grazie soprattutto alle divisioni raffinazione e trading che hanno fatto meglio del trimestre precedente. Anche Eni ha contribuito in modo decisivo al superamento delle attese sugli utili per azione. Le altre major europee non sono state da meno: TotalEnergies in Francia, Repsol in Spagna, Galp in Portogallo e OMV in Austria hanno tutte riportato numeri robusti, sempre con la raffinazione come motore principale. Un analista di Citigroup, commentando i dati di TotalEnergies, ha detto a Bloomberg che il mercato non ha ancora afferrato quanto questi margini siano ancora forti. Questo vento in poppa ha rassicurato gli investitori: i buyback e i dividendi, che sono il vero richiamo del settore, per ora tengono. Shell, per esempio, ha deciso di investire di più in oil&gas tradizionale e di andare cauta sulle rinnovabili: una mossa prudente che, secondo gli analisti di Bloomberg Intelligence, rafforza gli utili a medio termine e le distribuzioni agli azionisti. Guardando avanti, però, il 2026 resta un punto interrogativo. Le previsioni attuali per l’indice Stoxx 600 energy si basano su un prezzo del petrolio intorno ai 68 dollari al barile. Se scendesse a 60 dollari, gli utili del settore potrebbero calare di circa il 20%, calcolano sempre da BI. E anche i margini di raffinazione, avverte il CEO di OMV Alfred Stern, non resteranno a questi livelli per sempre: “Si normalizzeranno, non resteranno al livello del quarto trimestre”, ha detto.

PRIMA TRIVELLAZIONE OFFSHORE PER LA GRECIA DOPO 40 ANNI

Come riporta il Financial Times, la Grecia ha firmato il suo primo accordo per l’esplorazione di gas offshore dopo quarant’anni, un passo storico guidato da ExxonMobil che sottolinea l’interesse crescente di Washington per il Mediterraneo orientale. Alla firma dell’intesa, avvenuta questa settimana ad Atene durante un summit sulla cooperazione energetica, hanno partecipato il segretario all’Energia Usa Chris Wright e quello dell’Interno Doug Burgum, alla presenza del premier greco Kyriakos Mitsotakis. L’accordo coinvolge ExxonMobil (con il 60% delle quote e il ruolo di operatore), Energean e HelleniQ Energy per perforazioni nel Mar Ionio, a circa 30 km a ovest di Corfù. I lavori dovrebbero partire entro fine 2026, puntando a un giacimento stimato in 200 miliardi di metri cubi di gas. Se i test andranno bene, Exxon guiderà lo sviluppo del giacimento. La presenza di alti funzionari Usa non è casuale: evidenzia il peso crescente di Washington nella politica energetica greca. Atene, insieme a Cipro, ha recentemente rotto il fronte Ue astenendosi su una tassa sulle emissioni navali osteggiata dagli Stati Uniti. Inoltre, la Grecia vuole aumentare le importazioni di Gnl americano per riesportarlo attraverso il “corridoio verticale” che collega il Paese a Ucraina, Bulgaria, Romania e Ungheria. Se l’Ue vieterà del tutto il gas russo, il ruolo greco come hub energetico crescerà ancora. Wright ha definito la Grecia il “punto d’ingresso perfetto” in Europa per il Gnl Usa, capace di sostituire “ogni goccia” di gas russo. Per Exxon, l’accordo apre “un nuovo capitolo” per la sicurezza energetica e la prosperità greca. Burgum lo lega alla sicurezza nazionale: “Vogliamo vendere energia ad amici e alleati, non farli dipendere dai nostri avversari”. Ma non mancano le critiche: la tempistica coincide con la Cop30 appena apertasi in Brasile (Mitsotakis non ci andrà), e gli ambientalisti protestano contro le nuove trivellazioni in un Paese tra i più colpiti dai cambiamenti climatici in Europa, con incendi e siccità. In ogni caso il ministro Papastavrou parla di “firma storica” che porta con sé tecnologia e l’aumento delle risorse interne. Per gli analisti, si tratta di un “upgrade geopolitico” per la Grecia, che sale di peso sulla scacchiera energetica, aiutando l’Europa a staccarsi definitivamente da Mosca.

CINESI IN POLE POSITION SULLE AUTO, MENTRE L’EUROPA PERDE QUOTA

I costruttori di auto europei stanno perdendo terreno a livello globale, schiacciati dall’espansione dei rivali cinesi che ora non puntano solo sul prezzo basso, ma su vera innovazione. Lo dice Lasse Kristoffersen, capo di Wallenius Wilhelmsen, la più grande compagnia al mondo per il trasporto di auto via nave. Parlando al Financial Times, Kristoffersen ha spiegato che c’è un boom di spedizioni dalla Cina verso America Latina, Europa, Africa e Australia, proprio mentre Pechino frena le guerre di prezzo interne. “Non sono più solo i re del low cost, ora guidano la tecnologia”, ha detto Kristoffersen in una call con gli analisti. L’anno scorso, le esportazioni cinesi di auto passeggeri sono schizzate del 23% a 6,4 milioni di unità, superando di oltre il 50% il Giappone che si piazza al secondo posto, secondo AlixPartners. La società prevede che entro il 2030 i produttori cinesi controlleranno il 30% del mercato mondiale, contro il 21% attuale, grazie soprattutto ai paesi emergenti. In Europa occidentale, marchi come BYD, Chery e SAIC (proprietaria di MG) stanno dilagando: nei primi nove mesi dell’anno hanno fatto registrare il 5,7% delle nuove immatricolazioni, contro il 3,2% dell’anno prima, secondo i dati Schmidt Automotive Research. Nel segmento elettrico puro, la quota cinese è già al 10%. Mentre giapponesi e americani cedono un po’ di spazio, sono gli europei a soffrire di più: vendite in calo in Cina, domanda debole in casa e dazi più alti negli Usa. “Sfide in tutti i mercati, ma stanno reagendo”, nota Kristoffersen. I governi stranieri provano a frenare: gli Usa di fatto hanno bloccato le importazioni cinesi, mentre l’Ue ha alzato i dazi sulle EV del Dragone. Eppure, per i cinesi l’export è vitale, con le battaglie sui prezzi che infuriano a casa. Wallenius Wilhelmsen, che un tempo viveva sulle spedizioni occidentali verso la Cina, ora scommette sui nuovi clienti cinesi per crescere. BYD, leader mondiale delle EV che sta sperimentando una forte espansione, sta costruendo otto navi proprie e fabbriche in Brasile, Ungheria, Indonesia, Thailandia, Turchia e Uzbekistan. Kristoffersen non vede minacce dirette da BYD o altri, ma si aspetta concorrenza dai giganti cinesi della logistica come Cosco. “I nostri clienti – ha detto Kristoffersen al quotidiano della City – hanno comprato navi per paura di non avere spazio, ma ora la tensione cala… non è probabile che diventino concorrenti veri”.

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