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Ex Ilva, spunta il quarto acquirente. Per 6mila in CIG la novità è la formazione

Nel vertice a Palazzo Chigi, i sindacati alzano un muro contro il piano del Governo, definito “di dismissione”, e chiedono un intervento diretto dello Stato. Intanto si fa avanti un nuovo investitore industriale extra-UE.

Spunta un quarto pretendente per l’ex Ilva e, per la cassa integrazione che rischia di coinvolgere 6mila lavoratori, si fa strada una nuova ipotesi legata alla formazione. Sono queste le principali novità emerse dal tavolo di confronto sull’ex Ilva, svoltosi a Palazzo Chigi tra il Governo, i commissari straordinari e le sigle sindacali. Un incontro carico di tensione, con i rappresentanti dei lavoratori che hanno chiesto il ritiro del piano precedente e un deciso passo avanti dello Stato come imprenditore per salvare il polo siderurgico.

LA PROPOSTA SUL TAVOLO: CIG E FORMAZIONE

L’ipotesi di estendere la cassa integrazione straordinaria a ulteriori 1.550 dipendenti, portando il totale a 6mila, resta sul tavolo, ma con una significativa variazione. Secondo quanto proposto dal commissario Giancarlo Quaranta, l’aumento dell’ammortizzatore sociale verrebbe in parte assorbito da un piano di formazione della durata di 60 giorni. L’iniziativa, che coinvolgerebbe 93mila ore totali, è pensata per gestire la diminuzione del fabbisogno di personale necessaria a effettuare le manutenzioni entro il 28 febbraio, formando i lavoratori per i loro futuri impieghi.

QUATTRO PRETENDENTI PER IL COLOSSO D’ACCIAIO

Sul fronte della vendita, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha annunciato l’interesse di un quarto potenziale investitore, un player industriale extra-UE. Questo nuovo soggetto si aggiunge ai tre già in campo. Il negoziato con il fondo americano Bedrock prosegue, con un nuovo incontro fissato per giovedì 20 novembre, mentre la prossima settimana è previsto un sopralluogo agli impianti da parte del gruppo Flacks. Il terzo operatore, anch’esso extra-UE, ha firmato un accordo di riservatezza e sta completando l’analisi della data room. Urso ha inoltre accennato a un crescente interesse anche da parte di operatori italiani. E di aver recepito quanto richiesto dagli enti locali, vale a dire la decarbonizzazione della produzione di acciaio e lo stop alla nave rigassificatrice a Taranto.

TENSIONE IN FABBRICA: INCIDENTI E SICUREZZA

La giornata è stata segnata anche da forti preoccupazioni per la sicurezza. Un “odore nauseabondo di presunta origine gassosa” avvertito in mattinata dai lavoratori ha portato il comitato di sicurezza a chiedere un intervento immediato di Arpa Puglia. I commissari, durante il vertice, hanno comunicato che gli esami strumentali non hanno rilevato sostanze pericolose, attribuendo il cattivo odore a un’area esterna allo stabilimento. Questo episodio si aggiunge a un’emissione anomala di fumo nero dall’altoforno 4 e alle recenti motivazioni della Procura sul mancato dissequestro dell’altoforno 1, legato a “inidoneità” e “omessa manutenzione”, un fatto che i sindacati definiscono “molto grave”.

IL MURO DEI SINDACATI: “RITIRARE IL PIANO”

Fim, Fiom e Uilm si sono presentate al tavolo compatte, chiedendo al Governo il ritiro del piano precedente, bollato come un “piano di dismissione”. Le organizzazioni sindacali si oppongono fermamente all’allargamento della cassa integrazione, sostenendo che un utilizzo così massiccio, che in alcuni reparti di manutenzione raggiunge il 65-70%, impatti negativamente sulla sicurezza dei lavoratori e sulla salvaguardia degli impianti. La richiesta è chiara: “Lo Stato si faccia avanti, si faccia imprenditore. Serve un’azienda partecipata pubblica che possa gestire il processo di decarbonizzazione garantendo l’occupazione”. I sindacati chiedono inoltre un vero piano industriale con investimenti e massima trasparenza sui potenziali acquirenti, temendo che “dietro il segreto non ci sia nulla”.

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