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Petrolio

Ai sauditi servono più tagli alla produzione per sostenere i prezzi?

Ne sono convinti molti analisti, sia per ragioni di bilancio, sia in vista della quotazione di Aramaco in Borsa

Con un sentiment di mercato pessimista sulla crescita della domanda di petrolio e con l’aumento della produzione di greggio degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita ha necessità di agire prima del previsto piuttosto che non dopo nell’ambito dell’accordo sul taglio della produzione conosciuto come OPEC+ per sostenere i prezzi del petrolio e rimanere ancorata almeno a circa 60 dollari al barile. È quanto ha affermato IHS Markit in un’analisi.

RIAD VUOLE PREZZI PIU’ ALTI

Sebbene l’Arabia Saudita, il più grande produttore e leader di fatto dell’OPEC, stia tagliando molto di più di quanto richiesto dall’accordo OPEC+, i prezzi del petrolio si sono mantenuti ben al di sotto del prezzo di breackeven voluto dal’Arabia Saudita – circa 80 dollari al barile – che serve per far quadrare i bilanci del paese. A differenza di Riad, Mosca ad esempio, l’altra grande potenza dell’OPEC+, non ha bisogno di prezzi del greggio troppo alti e vede il prezzo di 60-65 dollari al barile – il prezzo al quale il Brent attualmente viene commerciato – come “abbastanza soddisfacente”, come aveva ben affermato il presidente Vladimir Putin all’inizio di giugno, un mese prima della riunione dell’Opec+. “La stessa industria di trasformazione russa non è interessata a prezzi del petrolio molto elevati. Il prezzo medio intorno ai 60-65 dollari al barile è abbastanza soddisfacente, non c’è bisogno di salire di prezzo per il bilancio”, diceva Putin sempre a giugno. Il bilancio della Russia per quest’anno si basa, infatti, su un prezzo medio di 40 dollari al barile, dato che Mosca continua il suo cauto approccio dopo le conseguenze della crisi dei prezzi del 2014. L’Arabia Saudita, invece, ha bisogno di petrolio a 80-85 dollari al barile quest’anno per raggiungere il punto di pareggio del budget statale.

SI RISCHIA NUOVO TAGLIO DA UN MILIONE DI BARILI

La settimana scorsa, tuttavia, il Brent è sceso sotto i 60 dollari al barile, dopo che gli Stati Uniti e la Cina hanno intensificato le loro scaramucce sui dazi commerciali, riaccendendo i timori di un rallentamento della crescita della domanda economica e petrolifera globale. Nonostante le perdite di barili dall’Iran e dal Venezuela a causa delle sanzioni statunitensi, insomma, l’OPEC potrebbe dover tagliare la sua produzione di un altro 1 milione di barili al giorno “per sostenere prezzi a lungo vicino a 60 dollari al barile”, ha evidenziato Fotios Katsoulas, Analista presso IHS Markit.

PESA ANCHE LA QUOTAZIONE DI ARAMCO

Questo punto di vista è condiviso anche da altri analisti. “Nell’attuale sentiment negativo del mercato, l’OPEC avrebbe bisogno di aumentare i tagli alla produzione di 1 milione di barili nel caso in cui volesse aumentare il prezzo del petrolio”, ha affermato due settimane fa Emma Richards, analista di settore senior presso Fitch Solutions. Non bisogna poi dimenticare che l’Arabia Saudita è interessata a sostenere i prezzi del greggio al di sopra dei 60 dollari barile anche in vista della quotazione di Aramco, ha ricordato Katsoulas.

I RAPPORTI CON LA RUSSIA POTREBBERO ESSERE INCERTI

Ma sul piano saudita di intraprendere un’azione più decisiva per aumentare i prezzi del petrolio potrebbe pesare una forte incertezza e cioè la volontà della Russia di continuare la sua cooperazione con l’OPEC nell’accordo sul taglio della produzione, ha aggiunto l’analista di IHS Markit. “La partecipazione della Russia non può essere data per scontata, anche se il presidente Vladimir Putin sembra valutare in modo positivo il rapporto instaurato con l’OPEC. Questo perché diverse società russe hanno già difficoltà a causa dei tagli alla produzione”, ha osservato Katsoulas.

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