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Medio Oriente

Aramco, Libano e Golfo Persico: ecco la guida ai rischi petroliferi 2020 in Medio Oriente

Il rischio di disgregazione geopolitica in Medio Oriente non è scomparso hanno scritto gli analisti di Citigroup

Se il 2019 è stato l’anno in cui i mercati mediorientali sono entrati massicciamente nel mainstream mondiale, allora il 2020 sarà l’anno giusto per verificare se il denaro straniero continuerà a fluire nella regione. Secondo un’analisi di Bloomberg, “l’anno si era aperto con l’ingresso di cinque economie arabe del Golfo negli indici obbligazionari dei mercati emergenti di JPMorgan Chase & Co. I riflettori sono rimasti puntati sulla regione, dato che al debutto dei titoli internazionali da 12 miliardi di dollari dell’Arabia Saudita in aprile hanno fatto seguito i preparativi per la sua storica offerta pubblica di fine anno di Aramco”. Senza dimenticare che le obbligazioni in dollari del Golfo “hanno superato le loro omologhe dei mercati emergenti con rendimenti del 15% quest’anno”.

LE DEBOLEZZE DEL MEDIO ORIENTE

In questo contesto, ricorda ancora Bloomberg, sono però da inserire gli attacchi di droni e missili sulle strutture di Aramco a settembre che hanno riportato alla luce le potenziali insidie che gli investitori devono affrontare quando investono nella regione. “Il rischio di disgregazione geopolitica non è scomparso”, hanno scritto in una e-mail gli analisti di Citigroup tra cui Edward Morse. I venti contrari sono stati “pesantemente scontati dai mercati, che ci sembrano più vulnerabili alle perturbazioni rispetto a prima dell’attacco ad Aramco”, hanno scritto sempre da Citigroup.

LE TENSIONI NEL GOLFO PERSICO

Da queste considerazioni è nata l’analisi di Bloomberg sui maggiori rischi che gli investitori dovranno affrontare il prossimo anno, a cominciare dalle tensioni nel Golfo Persico: “La possibilità di una guerra devastante con l’Iran e le sue milizie ha spinto le monarchie del Golfo a intraprendere un ripensamento strategico. Qualsiasi segno di riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran, o la fine dell’embargo contro il Qatar, darebbe un forte impulso al caso degli investimenti nella regione – si legge su Bloomberg -. Nonostante i deboli accenni di un disgelo tra il Qatar e un blocco di quattro paesi – che comprende Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein – un patch-up nelle relazioni sembra ancora ben lungi dall’essere garantito”.

IL PREZZO DEL PETROLIO E IL DEBITO DEI PAESI

Seconda nota dolens riguarda il petrolio e il debito dei paesi: “Con il Brent in calo di circa il 20% da quando ha raggiunto il massimo quadriennale nell’ottobre 2018, i deficit fiscali di alcuni paesi della regione si stanno allargando e qualsiasi ulteriore calo dei prezzi del petrolio nel 2020 aggraverà il problema”, secondo Fitch Ratings. Bloomberg ricorda, infatti, che i mercati petroliferi globali nel 2020 dovranno ancora affrontare un surplus, anche se l’Opec e i suoi partner apporteranno tagli di produzione. Le forniture al di fuori del gruppo, guidate dagli shale statunitensi, continuano a crescere molto più velocemente della domanda mondiale. E questo farà aumentare la pressione sui bilanci statali tanto che Arabia Saudita, Oman, Bahrain ed Egitto potrebbero guidare le vendite di obbligazioni in Medio Oriente e Nord Africa in quello che Abdul Kadir Hussain, il responsabile della gestione patrimoniale di Arqaam Capital a Dubai, prevede sarà un altro anno forte. Secondo i dati raccolti da Bloomberg, i governi e le aziende della regione hanno raccolto quest’anno la cifra record di 111 miliardi di dollari vendendo il loro debito”.

Ciò, prosegue il sito americano, senza scordare “l’alto tasso di disoccupazione giovanile, la scarsa governance e altri problemi radicati che hanno contribuito all’ondata di rivolte della primavera araba 2011 continuano a minacciare la stabilità politica in molti Paesi della regione. Di fronte a questi ostacoli, i governi di Iraq, Libano, Egitto, Algeria, Iran e Sudan dovranno lottare per rivedere le loro economie con programmi potenzialmente impopolari, secondo Krisjanis Krustins, direttore di Fitch Ratings con sede a Hong Kong”.

LA GRANA LIBANO

Altro punto debole della regione è il Libano: “Un default disordinato da parte del Libano, una delle nazioni più indebitate del mondo, potrebbe sconvolgere la regione. Finora il paese ha un record di rimborso delle obbligazioni attraverso la guerra e le lotte politiche e tutti gli occhi saranno puntati sulla cambiale da 1,2 miliardi di dollari del governo in scadenza il 9 marzo. Il Libano si è sempre seduto sullo sue riserve estere ma “con la diminuzione di queste riserve, la possibilità che gli investitori si trovino di fronte a qualche tipo di default, come un taglio o una riprofilatura, diventa sempre più probabile”, ha detto Michael Cirami, un money manager con sede a Boston della Eaton Vance Corp. Secondo Hussain di Arqaam Capital, “i money manager daranno un ampio margine di manovra alle politiche di cambio rigide in caso di debolezza del dollaro. Le valute dei mercati emergenti che fluttuano liberamente otterranno una spinta dal deprezzamento del dollaro, non così le loro omologhe del Medio Oriente con il dollaro”.

LA QUESTIONE KUWAIT

Infine c’è la questione Kuwait: “Alcuni investitori prevedono un afflusso di miliardi di dollari quando MSCI – un fornitore di servizi finanziari statunitense, con sede a New York – aggiungerà il Kuwait al suo principale indice azionario dei mercati emergenti nel giugno 2020. Ma – osserva Blooberg – questa mossa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. ‘Gli afflussi passivi associati rappresenteranno una sfida, data l’elevata valutazione delle sue azioni, la bassa crescita economica e il peso troppo basso dell’indice per essere preso in considerazione da molti investitori attivi dei mercati emergenti’, ha dichiarato Hasnain Malik, responsabile della strategia azionaria di Tellimer con sede a Dubai.

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