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Auto, camion e nucleare: la Cina scuote l’Europa, Praga rilancia l’atomo. I fatti della settimana

Mentre l’Europa dibatte sullo stop ai motori termici, la Cina conquista il mercato con plug-in hybrid low-cost e camion elettrici a prezzi stracciati. Parallelamente, la Repubblica Ceca guida il grande ritorno del nucleare nel continente, scegliendo la tecnologia coreana per un investimento da 19 miliardi di dollari che mira a pensionare definitivamente il carbone. I fatti della settimana di Marco Orioles

La strategia energetica globale del 2025 è dominata dalla rapidità con cui la Cina sta ridefinendo i mercati. Come evidenziato dal Financial Times, i produttori cinesi stanno conquistando l’Europa con auto plug-in hybrid (PHEV) economiche ed efficienti, approfittando di una tassazione più favorevole rispetto alle elettriche e offrendo autonomie superiori ai modelli europei.
Nel frattempo, nel settore dei trasporti pesanti, l’Associated Press riporta una vera e propria rivoluzione: in Cina, quasi la metà dei nuovi camion venduti nel 2025 è già elettrica, grazie a costi in calo, incentivi e una rete di ricarica capillare. Questa transizione sta già riducendo drasticamente il consumo di diesel e gas naturale, con i produttori cinesi pronti a esportare questa tecnologia in tutto il mondo.
Contemporaneamente, si assiste a un deciso ritorno dell’energia nucleare in Europa. La Repubblica Ceca ha affidato alla coreana KHNP un progetto da 19 miliardi di dollari per costruire due nuovi reattori, con l’obiettivo di portare l’atomo a coprire oltre il 50% del proprio mix elettrico e abbandonare il carbone, seguendo una tendenza ormai diffusa in tutto il continente.

I CINESI CONQUISTANO L’EUROPA CON I PLUG-IN HYBRID

I cinesi, avverte il Financial Times, stanno conquistando l’Europa con i plug-in hybrid (PHEV) e lo fanno a modo loro: prezzi bassi, autonomie elettriche vere e batterie sempre pronte. BYD, Chery e gli altri stanno riscrivendo le regole del gioco proprio mentre i costruttori europei tentano di scongiurare che Bruxelles mandi in pensione i motori termici nel 2035. Nei primi nove mesi del 2025 le PHEV sono cresciute del 32% (quasi 920 mila unità vendute tra Europa e UK), più delle elettriche (+25%). La quota di mercato è arrivata al 10% nel terzo trimestre e un PHEV su sette è già cinese. La Seal U di BYD è la plug-in più venduta in assoluto, in Gran Bretagna ad agosto ha dominato la Chery Jaecoo 7. Perché tutto questo accade ora? Semplice: i dazi fino al 45% sulle elettriche cinesi entrati in vigore l’anno scorso hanno spinto i marchi cinesi a puntare sui PHEV, che non pagano lo stesso balzello. E lo fanno con modelli che costano meno dei full hybrid giapponesi e offrono più km in elettrico dei premium europei. Esempio: la Omoda 7 arriverà nel 2026 a 32 mila sterline con 90 km di autonomia reale, contro i 55 mila della Volvo XC60 che ne fa 82. I cinesi tengono sempre almeno il 20% di batteria per garantire la modalità elettrica anche quando si è in autostrada, mentre molti costruttori europei scaricano la batteria appena possono per risparmiare sul peso. Risultato: in Cina l’autonomia media dei PHEV è già 116 km, in Europa 78. Gli analisti sono chiari: “Oggi gli europei non sono al livello dei cinesi sulla tecnologia plug-in”, dice al Ft Pedro Pacheco di Gartner. Se l’Ue decidesse di salvare i PHEV oltre il 2035, il mercato finirebbe comunque in mano cinese. Intanto gli ambientalisti storcono il naso: secondo Transport & Environment le emissioni reali sono quasi cinque volte quelle dichiarate, perché in troppi usano la spina solo ogni tanto. E con le nuove regole CO2 che dal 2025 considerano le emissioni reali, i PHEV europei perderanno appeal. Il prossimo 10 dicembre Bruxelles dirà se i plug-in avranno un futuro dopo il 2035. Germania e industria spingono forte, Francia e Spagna frenano. Nel frattempo i cinesi vendono, incassano e sorridono: in patria i PHEV sono passati dal 2-3% al 19,5% del mercato in pochi anni. Anche se lì il mercato inizia a rallentare perché pure le EV costano sempre meno.

CINA: I CAMION ELETTRICI GIÀ AL 46% NEL 2025

Come spiega l’Associated Press in un suo approfondimento, la Cina sta mandando in pensione i camion diesel a una velocità che nessuno si aspettava. Nel 2020 praticamente tutti i camion nuovi erano diesel. Nei primi sei mesi del 2025 uno su quattro (22%) è già elettrico, contro il 9% dell’anno prima. BMI prevede che quest’anno si arrivi al 46% e l’anno prossimo al 60%. Ad agosto 2025 la quota era già al 28%, triplicata in un anno. Il motivo è semplice: i prezzi crollano, i costi di gestione pure e i gestori di flotte guardano solo il bilancio. Un camion elettrico costa ancora 2-3 volte un diesel, ma tra efficienza energetica e carburante risparmiato fa recuperare il 10-26% in tutto il ciclo vita. Aggiungici gli incentivi (fino a 19 mila dollari per rottamare il vecchio e prendere l’elettrico) e la pioggia di stazioni di ricarica veloce lungo le autostrade, più le stazioni di battery swap di CATL che cambiano le batterie in pochi minuti. Il risultato è che da cinque mesi i camion elettrici vendono più di quelli a gas naturale liquefatto (GNL), che pure erano la grande scommessa “di transizione”. Il consumo di diesel in Cina è già calato dell’11% in un anno e secondo Rhodium Group gli elettrici stanno già togliendo dalla circolazione l’equivalente di oltre un milione di barili di petrolio al giorno. Shell e tanti analisti puntavano sul boom del GNL per i camion, di cui la Cina è il primo importatore mondiale, ma ormai è chiaro: fuori dalla Cina il GNL pesante probabilmente non decollerà mai. Dentro, sta già perdendo terreno. Intanto Pechino prepara nuove norme anti-inquinamento così severe che senza camion a zero emissioni per le case costruttrici sarà quasi impossibile rispettarle. E i cinesi non si fermano ai confini: stanno già esportando camion elettrici in Medio Oriente, America Latina, Thailandia, Emirati. Sany comincia in Europa nel 2026, BYD ha appena aperto uno stabilimento in Ungheria per camion e bus elettrici. L’Europa vuole -90% di CO2 entro il 2040, e i prezzi dovranno dimezzarsi. Volvo, sottolinea l’AP, dice “benvenuta la concorrenza, ma ad armi pari”. La storia sotto-traccia dell’energia globale del 2025 è questa: mentre tutti guardano le auto, la Cina ha già quasi decarbonizzato i camion.

REPUBBLICA CECA: REATTORI COREANI DA 19 MILIARDI

La Repubblica Ceca non ha nessuna intenzione di dire addio al nucleare. Anzi, sta facendo esattamente il contrario: punta a diventare uno dei paesi più “atomici” d’Europa e lo sta facendo, riferisce l’Associated Press, con una determinazione che in pochi hanno. A Dukovany, in Moravia meridionale, le otto enormi torri di raffreddamento degli anni ’80 dominano il paesaggio come sempre. Ma adesso, proprio lì accanto, enormi trivelle scavano a 140 metri di profondità per i carotaggi geologici: stanno preparando il terreno per due nuovi reattori da oltre 1.000 MW ciascuno. Costo previsto: più di 19 miliardi di dollari. Vincitore del bando internazionale è risultata la coreana KHNP, che ha battuto al fotofinish la francese EDF. I nuovi reattori dovrebbero entrare in funzione nella seconda metà degli anni ’30 e c’è già l’opzione per replicare l’operazione con altri due a Temelín, l’altra centrale ceca. In un secondo momento arriveranno i piccoli reattori modulari (SMR) in collaborazione con la britannica Rolls-Royce. L’obiettivo è chiaro: portare il nucleare dall’attuale 40% ad almeno il 50-60% del mix elettrico entro il 2050, forse anche di più. Serve per mandare finalmente in pensione il carbone, che oggi copre un altro 40% della produzione. Serve inoltre per tenere la bolletta sotto controllo, garantire forniture stabili 24 ore su 24 e soddisfare la fame crescente di elettricità: data center, industrie, ricarica di milioni di auto elettriche. Lo Stato ci mette la faccia e i soldi: prenderà l’80% della nuova società che costruirà i reattori, garantirà un maxi-prestito a 30 anni che ČEZ, la grande utility di cui il governo possiede il 70%, rimborserà con calma, e assicurerà all’azienda un prezzo stabile per l’energia venduta per i prossimi 40 anni. Tutto con il via libera di Bruxelles, che ha inserito il nucleare nella tassonomia verde e vuole l’Europa a zero emissioni nette nel 2050. È la prova che il grande ritorno del nucleare nel Vecchio Continente non è una chiacchiera da salotto: Belgio e Svezia hanno cancellato il phase-out, Danimarca e Italia ci ripensano, la Polonia ha appena firmato con Westinghouse per tre reattori, il Regno Unito ha sbloccato 19 miliardi di sterline per l’impianto di Sizewell C e parla apertamente di “età dell’oro” dell’atomo.

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