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Auto, il settore invoca incentivi e format contrattuali più light

Le auto generano oltre 440 miliardi di euro di tasse per i governi nazionali. Con la crisi in Italia a rischio 70% dei dealer

Il settore auto rischia grosso con la crisi innescata dal coronavirus. Non solo le mancate vendite che ha portato a un crollo del mercato in tutta Europa e segnatamente anche in Italia – con i dati di aprile intorno al -98% – ma anche per i problemi legati agli incassi per l’erario che vengono generati dal settore e di disoccupazione, per i migliaia di addetti – dealer, meccanici ecc – che rischiano il posto. Durante ForumAutomotive 2020, il primo appuntamento di rilievo per la filiera dell’auto in questa stagione segnata dal Covid-19, la richiesta è stata pressoché unanime al governo: all’industria dell’automotive serve aiuto, servono incentivi economici, con “maxi-rottamazione” delle vecchie auto, per acquisto dei modelli nuovi senza distinzione di motorizzazione, servono incentivi anche alla rivendita di auto usate recenti ma anche trattamenti fiscali dedicati (Iva) per alleggerire il peso delle vetture in carico a privati e aziende in Italia.

SI AFFACCIA L’IPOTESI DEL BONUS ROTTAMAZIONE ANCHE PER LE AUTO TRADIZIONALI

In vista della fase 2 torna di moda proprio il bonus rottamazione. La proposta, del resto, era già stata lanciata a inizio marzo dalle pagine di La Repubblica con il quotidiano che parlava di bonus fino a 4mila euro estesi anche ai diesel usati Euro 5 o ai vecchi Euro 6 invenduti, come suggerito dal ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Auto

L’UE PARE D’ACCORDO

In generale l’Unione Europea sembra essere d’accordo se è vero che qualche giorno fa il vice-presidente della Commissione europea Frans Timmermans ha raccolto la richiesta di aiuto lanciata dai produttori e dalla filiera automotive aprendo a soluzioni che possano coniugare il supporto economico ai consumatori che intendono cambiare la loro vecchia vettura con la necessità di ridurre le emissioni di sostanze inquinanti e climalteranti. Secondo quanto riferito da Reuters la Ue penserebbe a un programma di bonus ecologici europei che consentano di svecchiare il parco circolante con modelli che siano ad emissioni zero oppure a basso impatto ambientale, come le ibride e le plug-in ma anche quelle dotate di motore termico omologato in base alle severe normative Euro 6d.

LE PROPOSTE DELLE ASSOCIAZIONI

Dalle associazioni di settore non sono mancate le proposte. In Italia Unrae ha proposto di introdurre una terza fascia (emissioni 61-95 g/km di CO2) per gli ecobonus e aumento importi unitari degli incentivi seconda fascia (21-60 g/km CO2), con aumento dotazioni fondo (fino al 2021); la sospensione temporanea (solo per il 2020) dell’ecomalus; un bonus stock (cumulabile con ecobonus), per agevolare ripartenza del mercato (solo per il 2020); un riallineamento fiscale agli standard degli altri Paesi Ue sui veicoli aziendali nuovi (misure strutturali per veicoli aziendali e partite IVA) con un aumento detraibilità IVA al 100% aumento tetto costo deducibile fino a 50.000 euro.

In una conferenza stampa online Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, che raccoglie 1500 concessionari ufficiali italiani, ha chiesto al governo interventi per il rilancio del settore auto, “perché è nell’interesse stesso dell’erario”. In particolare, per quel che riguarda il meccanismo bonus-malus, Federauto ha chiesto di eliminare quest’ultimo e di estendere invece il contributo non solo per le vetture con emissioni fino a 60 grammi di CO2 a km, ma anche per un nuovo scaglione da 61 a 95 grammi, indipendentemente dal tipo di motorizzazione. Infine, ha chiesto un contributo per le auto nuove presenti in parco a marzo” così da venire incontro alla clientela.

Infatti, ha spiegato Cosentino, ”il settore auto copre quasi il 20% del Pil e occupa 1,23 milioni di persone, ed è stato finora per le casse pubbliche una ‘mucca’ da spremere, ma se in questa crisi in Italia l’immatricolato dovesse scendere a 1,3 milioni di vetture l’erario rischia di perdere 10 miliardi di incassi”.

QUANTO RICAVANO IN TASSE I PAESI EUROPEI DALLE AUTO

Ma quanto ricavano in tasse i paesi europei dal settore auto. L’Associazione europea dei produttori di automobili (ACEA) ha messo a punto uno studio che mostra come i veicoli a motore generino oltre 440 miliardi di euro di tasse per i governi nazionali con un aumento del 3% rispetto all’anno precedente. I primi 5 paesi con il più alto gettito fiscale sono: Germania – 93,4 miliardi di euro; Francia: 83,9 miliardi di euro; Italia: 76,3 miliardi di euro; Regno Unito – 54,1 miliardi di euro; Spagna: 30,0 miliardi di euro;

Secondo l’analisi di Acea, 24 paesi riscuotono le imposte sulle auto parzialmente o totalmente in base alle emissioni di CO2 e / o al consumo di carburante di un veicolo. I tre paesi che non applicano la tassazione basata sul CO2 sono Estonia, Lituania e Polonia. Inoltre, per quanto riguarda gli stimoli per le auto elettriche, questi ultimi sono attualmente disponibili in 24 dei 27 stati dell’Ue. Tuttavia, solo 13 Stati membri offrono incentivi all’acquisto, come pagamenti di bonus o premi, agli acquirenti di auto elettriche. La maggior parte dei paesi concede solo riduzioni o esenzioni fiscali.

STUDIO BAIN, 70% DEALER A RISCHIO INSOLVENZA

Ma non c’è solo l’erario a rischiare, come detto: per effetto del Coronavirus e delle sue conseguenze sull’economia, almeno il 70% dei concessionari italiani di auto potrebbe correre il rischio dell’insolvenza. Un impatto senza precedenti, che solo un sistema di interventi mirati e un sostanziale reset delle regole del business potrebbero attutire secondo quanto prevede lo scenario che emerge da uno studio Bain & Company ripreso in anteprima da Quattroruote di maggio.

Analizzando un campione costituito da oltre mille concessionarie, lo studio Bain delinea tre scenari di diversa intensità, definiti ‘burrasca’, ‘tempesta’ e ‘uragano’. Quello intermedio risulta, al momento, il più probabile e mette a rischio oltre il 70% dei dealer. In particolare, in maggior pericolo risultano le realtà più grandi che, pur essendosi affacciate al nuovo anno con profitti in miglioramento, restano appesantite dai forti debiti contratti per finanziare la crescita degli ultimi anni e da una maggiore riduzione dei margini, a fronte delle alte spese di gestione delle strutture.

Da un punto di vista geografico, seguendo gli stessi criteri di redditività e indebitamento, è il Centro Italia la zona che lo studio considera maggiormente a rischio. L’unica soluzione per garantirsi la sopravvivenza, secondo l’analisi, è rivedere immediatamente il modello distributivo. Serve una rivoluzione, che introduca nuovi e più leggeri format contrattuali, con meno punti di margine lasciati lungo la catena e un meccanismo d’incentivazione più sofisticato rispetto al mero numero di esemplari venduti e alla customer satisfaction.

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