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A che scopo le case cinesi invaderanno il Salone dell’auto di Torino?

Dal 26 al 28 settembre il Salone dell’auto di Torino si trasforma in vetrina con oltre cinquanta marchi. Ma a dominare la scena sono i costruttori cinesi: diciassette in tutto

Il Salone dell’Auto di Torino 2025 sarà ricordato per qualche supercar scintillante e per la massiccia presenza di marchi cinesi. Infatti, quest’anno i brand cinesi saranno 17, una vera e propria delegazione che non si limiterà certo ad esporre le vetture in arrivo sul mercato.

LA CINA CONQUISTA IL SALONE DI TORINO

Lo storico Salone punto di riferimento degli appassionati di auto non è più la vetrina dei migliori modelli italiani. Dal 26 al 28 settembre i riflettori si accenderanno su oltre cinquanta marchi. A rubare la scena, però, saranno i modelli cinesi, mai così numerosi. In particolare, i produttori asiatici sono pronti a stupire con vetture elettriche sempre più accessoriate e all’avanguardia.

17 BRAND CINESI A TORINO

Saranno diciassette i costruttori che rappresenteranno la Cina al Salone di Torino. La lista conta, tra gli altri,Byd, Geely, Dongfeng, Leapmotor, Omoda e Voyah. Un gruppo nutrito che non arriva solo per esporre le ultime novità in fatto di automobili, ma anche per occupare spazi, raccogliere contatti, lanciare segnali. È un’invasione ordinata, legittimata addirittura dal “Piemonte meets China – Turin Automotive Design Award (Tada)”, primo riconoscimento europeo dedicato al design made in China.

IL SALONE DELL’AUTO DI TORINO RALLENTA

La diminuzione degli spazi, mascherato da scelta per “fruibilità”, racconta di un ridimensionamento che ricalca quello che sta vivendo l’automotive italiano. Torino si limita a offrire una passerella per i nuovi modelli. Ma il cuore pulsante dell’industria automobilistica si sta spostando verso l’Asia e gli Usa.

COSA RESTA DELL’AUTOMOTIVE ITALIANO?

Dietro il palcoscenico del Salone di Torino resta una domanda cruciale: cosa resta dell’industria italiana? La forza d’urto delle case cinesi minaccia di lasciare il made in Italy schiacciato tra nicchie di lusso e un mercato di massa sempre più in mano straniera.

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