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Gas

Basilicata, gli M5s chiedono chiarimenti sulle estrazioni di gas

Si consente “l’estrazione di gas a poca distanza dal centro nucleare ITREC di Rotondella e perché la si consenta in zona agricole, a breve distanza dalle abitazioni e dai campi coltivati, nonché in zone a rischio alluvionale, omettendo costantemente di applicare il principio di precauzione

Perché in Basilicata si consente “l’estrazione di gas a poca distanza dal centro nucleare ITREC di Rotondella e perché la si consenta in zona agricole, a breve distanza dalle abitazioni e dai campi coltivati, nonché in zone a rischio alluvionale, omettendo costantemente di applicare il principio di precauzione”? E “quali iniziative”, i ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente “intendano assumere affinché siano chiarite le ragioni per cui, dopo l’incendio del pozzo ‘Policoro 001 dir bis’, sia mancata un’indagine sullo stato delle falde acquifere infiltrate dal gas, così come una valutazione di impatto sanitario (VIS) per conoscere gli effetti di quell’evento acuto sulla popolazione, e perché si permetta alla società petrolifera di chiedere il rinnovo della concessione in assenza delle verifiche”?. È quanto chiede il M5s in una interrogazione a risposta orale presentata dalla prima firmataria Corrado Margherita che domanda ai ministri anche “se non ritengano di stigmatizzare la costante ritrosia degli enti lucani preposti al monitoraggio sanitario e ambientale a fornire informazioni in materia ai cittadini”.

CHIESTO IL RINNOVO DELLA CONCESSIONE POLICORO

“Oltre il 70 per cento della produzione nazionale di gas estratto sulla terraferma proviene dalla Basilicata, secondo i dati dell’ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (UNMIG) del 2018 – si legge nel testo dell’interrogazione -. Risulta agli interroganti che nella fascia ionica metapontina, nonostante le proteste delle comunità locali (espresse, negli anni, in manifestazioni di piazza, convegni, consigli comunali aperti), la Gas Plus Italiana Srl, società di Fornovo di Taro (Parma), abbia chiesto al Ministero dello sviluppo economico e alle Regioni coinvolte, Basilicata e Calabria, con nota prot. 85972 del 1° ottobre 2018, il rinnovo per altri 10 anni della concessione di coltivazione denominata “Policoro”, in scadenza a settembre 2020”.

“Grazie alla concessione, che interessa le province di Matera e Cosenza, nel materano sono stati estratti, dall’unico pozzo produttivo (denominato ‘Policoro 001 dir bis’), sito in via Pellico a Policoro e attivo fino ad ottobre 2018, oltre 3 milioni di metri cubi di gas. Si tratta dello stesso pozzo esploso nel 1991 e che bruciò per oltre 2 settimane senza che alcuno riuscisse a spegnerlo e senza che fossero poi accertati e monitorati eventuali danni alle matrici ambientali – si legge ancora nel testo -. Quanto alla centrale di raccolta e trattamento gas cui fa riferimento la concessione Policoro, denominata Sinni e di proprietà di Gas Plus Italiana Srl, l’impianto è allocato anch’esso in territorio di Policoro, in località Bosco Soprano, immerso in aree agricole con colture di pregio (come la fragola Candonga, vanto della Basilicata), ricche di pozzi e sorgenti per uso civile, agricolo e nell’industria agroalimentare, per di più densamente abitate”.

I COMUNI CHE SI SONO OPPOSTI

“Diversamente dall’amministrazione comunale di Policoro, rimasta inerte, i Comuni di Montalbano Jonico e Scanzano Jonico (Matera) si sono opposti ufficialmente al rinnovo della concessione “Recoleta” (anch’essa di Gas Plus), scaduta a settembre 2019; anche per la concessione che interessa la frazione San Teodoro del comune di Pisticci (Matera) è stata fatta opposizione al Ministero dello sviluppo economico”, ha evidenziato l’interrogazione.

POLICORO VICINA A ITREC

Secondo gli interroganti occorre considerare che “la concessione Policoro interessa pozzi gas situati intorno all’impianto di trattamento e rifabbricazione di elementi di combustibile (ITREC) di Trisaia di Rotondella (Matera), limitrofo all’area SIC “bosco Pantano di Policoro e costa ionica foce Sinni” (“Natura 2000” codice IT92220055)”. E che “l’ITREC è un sito provvisorio definitivo di III categoria, cioè di massima pericolosità, soggetto alla direttiva “Seveso III” (direttiva 2012/18/UE) e dunque classificato a rischio di incidente rilevante. Vi si trovano piscine interrate per il raffreddamento di 64 barre del ciclo uranio-torio di Elk River ma anche altri rifiuti liquidi di III categoria e scorie di I e II categoria in attesa di essere messe in sicurezza. Perdite di liquido radioattivo, risolte con costose bonifiche, hanno interessato, in passato, proprio la fossa interrata irreversibile con rifiuti di II e III categoria”.

Inoltre, “la presenza di pozzi di gas nelle adiacenze e vicinanze dell’ITREC non è contemplata dalla guida tecnica n. 29, emanata dall’ISPRA nel 2014, recante ‘Criteri per la realizzazione di impianti di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività’, dove, anche grazie alle indicazioni scaturite dai tavoli della trasparenza sul nucleare in Basilicata, è stato finalmente statuito che le scorie nucleari non possono trovarsi nei luoghi in cui si sfrutta il sottosuolo per coltivare gas naturale o petrolio, immagazzinare anidride carbonica, emungere acqua eccetera; se, anche grazie alle pressioni del movimento ‘no scorie Trisaia’ all’International atomic energy agency (IAEA) di Vienna, a fine ciclo sono stati chiusi due pozzi situati a qualche centinaio di metri dall’ITREC, denominati Nova Siri e Rivolta, un terzo pozzo della concessione Policoro, chiamato Colacello 001, anch’esso trivellato a breve distanza dal recinto della centrale, secondo l’elenco dei pozzi per la coltivazione di idrocarburi stilato su dati del 31 dicembre 2019 (e aggiornato a marzo 2020), pubblicato sul portale UNMIG, sarebbe produttivo ma non erogante”.
“A qualche chilometro di distanza ci sono altri pozzi, alcuni dei quali in fase di caratterizzazione, sotto il controllo di ARPA Basilicata e degli altri enti con competenze ambientali (così lo stesso “Policoro 001 dir bis” a giugno scorso), come il pozzo ‘Morano’, per il quale esistono timori di contaminazione del suolo e dispersione di sostanze pericolose”, aggiunge il testo.

RISCHIO IDROGEOLOGICO

Gli M5s evidenziano inoltre che “la fascia ionica metapontina (che relativamente alla concessione Policoro, a causa delle franchigie, non ha percepito royality) è un territorio molto fragile, perché ad elevato rischio idrogeologico, ricchissimo di falde freatiche ‘galleggianti’ su strati geologici sovrapposti ad un’unica grande falda di profondità, con elevata erosione costiera e soggetto a subsidenza, dove nonostante le presenze “ingombranti” descritte, sia il citato abbassamento del suolo sia gli altri impatti (sanitari, ambientali e alimentari) non sono stati finora monitorati pubblicamente”. E “nonostante il quadro estremamente critico, ad oggi, non sono state diffuse informazioni circa l’impatto che tali attività hanno avuto sul territorio, con specifico riferimento alle matrici suolo, aria, acqua, né, del resto, sembrano esistere strutture di monitoraggio adeguate in questa parte della regione”. Da qui la richiesta dei pentastellati.

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