Dalle auto presidenziali nei film di Sorrentino agli spot che ridicolizzano gli incentivi italiani. BYD non vende solo auto elettriche, ma un nuovo modello di potere. Cosa rischia l’Italia?
Un presidente della Repubblica che viaggia su un’auto cinese e una campagna pubblicitaria che prende di mira i governi europei. Sono gli elementi di una storia che va al di là della sfida industriale. L’intensificarsi del soft power cinese investe l’energia, la politica estera e l’identità nazionale. L’auto diventa un’arma simbolica e una pubblicità si trasforma in messaggio politico.
CINEMA NUOVO TARGET DEL SOFT POWER DELLA CINA
Sfogliando i quotidiani del 3 settembre, l’occhio cade su un annuncio a tutta pagina: “Incentivi statali: casino o casinò?”. Una chiara frecciata al Governo italiano. E, come se non bastasse, il nuovo film di Paolo Sorrentino La Grazia mette in scena un Presidente della Repubblica (interpretato da Toni Servillo) che non viaggia su una Maserati blindata o su una Lancia presidenziale, ma su una Byd. Il soft power cinese, che ormai passa per l’automotive come un tempo per l’acciaio e i tessili, entra nelle narrazioni culturali. E lo fa senza complessi: un presidente italiano in auto cinese è un messaggio che vale più di mille spot.
L’ATTACCO DI BYD AL GOVERNO
Byd, sostenuta da sussidi mastodontici di Pechino, non solo aggredisce il mercato europeo con fabbriche in Ungheria e promozioni milionarie, ma attacca anche la lentezza della burocrazia italiana.
“Niente roulette di requisiti, niente blackout di fondi”, promette l’azienda con un bonus fino a 10 mila euro per chi rottama un’auto vecchia. Un colpo al cuore di un settore già sotto pressione. Infatti, Stellantis arranca con la transizione elettrica, Volkswagen riduce turni di produzione, e il mercato italiano dell’EV non decolla, complice la confusione sugli incentivi.
INCENTIVI CONTRO I DAZI
Ma il caso Byd non è solo una questione di auto, investe anche la geopolitica. Se l’Europa alza i dazi sul fotovoltaico cinese, Pechino risponde colpendo l’Ue dove fa più male: le auto elettriche. Parliamo del settore in cui Pechino controlla catene di approvvigionamento cruciali, dal litio alle batterie. L’inasprimento commerciale con l’Italia non è un dettaglio, ma un tassello di una partita più ampia, che spinge la Cina ad avvicinarsi sempre di più alla Russia, sia per assicurarsi materie prime energetiche, sia per rafforzare un asse anti-occidentale.
La posta in gioco per l’Italia è alta e il Governo si trova davanti a un bivio. Da un lato, la tentazione di un’offerta commerciale irresistibile, con auto elettriche a prezzi più bassi di quelle occidentali. Dall’altro, la necessità di difendere un settore industriale che vale decine di migliaia di posti di lavoro e una tradizione di design e manifattura unica al mondo.
Se la transizione energetica diventa terreno di scontro geopolitico, le scelte non saranno solo industriali, ma identitarie.