Questa è la fotografia che emerge dallo “Studio CCUS”, pubblicato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), come previsto da un decreto di fine 2023.
L’Italia ha un piano per la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO₂, la tecnologia (CCUS) considerata una leva strategica per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il cuore del progetto sarà un grande hub di stoccaggio a Ravenna, destinato a raccogliere le emissioni delle industrie più inquinanti del Paese, soprattutto quelle “Hard to Abate” della Pianura Padana e dei principali poli costieri. Tuttavia, i costi elevati della tecnologia creano un “funding gap” significativo che potrà essere colmato solo con un robusto quadro normativo e un sistema di incentivi pubblici, basato sul modello dei “Contratti per Differenza”.
Questa è la fotografia che emerge dallo “Studio CCUS”, pubblicato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), come previsto da un decreto di fine 2023. Il documento, elaborato da un ampio gruppo di lavoro che include istituzioni, università, Confindustria e i maggiori operatori energetici, non è vincolante ma traccia la rotta in modo inequivocabile, fornendo la base tecnica per le future decisioni del Governo.
IL CUORE DEL PROGETTO: RAVENNA E LA FILIERA NAZIONALE
Lo studio identifica nel progetto Ravenna Hub il fulcro della strategia nazionale. Sfruttando i giacimenti di gas esauriti nell’Adriatico, il sito si configura come la principale area di stoccaggio del Mediterraneo, con una capacità potenziale di oltre 500 milioni di tonnellate di CO₂. Il piano di sviluppo è scandito in fasi precise:
Fase 1 (2024): Già operativa, con l’iniezione di 25 mila tonnellate/anno dalla vicina centrale di Casalborsetti.
Fase 2 (entro il 2030): Sviluppo su scala industriale con l’obiettivo di stoccare 4 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno.
Espansioni successive (post 2030): L’infrastruttura potrà crescere fino a raggiungere una capacità di iniezione di 16 milioni di tonnellate all’anno intorno al 2040.
Per convogliare la CO₂ a Ravenna, il piano prevede una doppia infrastruttura di trasporto: una rete di gasdotti onshore, da sviluppare in modo modulare per collegare i distretti industriali della Pianura Padana (partendo da Ferrara), e un sistema di trasporto via nave per servire i grandi poli industriali costieri del Centro-Sud, come Taranto, Priolo-Augusta e Sarroch.
A CHI SERVE? I CLIENTI DELLA DECARBONIZZAZIONE
I principali destinatari della tecnologia CCUS sono i settori industriali le cui emissioni sono difficili da abbattere con altre tecnologie (elettrificazione, rinnovabili). Lo studio mappa con precisione il fabbisogno, concentrato in tre aree principali che da sole rappresentano il 40% delle emissioni nazionali di gas serra (166 milioni di tonnellate):
Industrie “Hard to Abate” (HtA): Cemento, acciaio, chimica, raffinazione, carta e vetro sono i candidati ideali, con emissioni di processo inevitabili.
Settore Termoelettrico: La CCUS consentirà di mantenere una quota di produzione elettrica programmabile e decarbonizzata, cruciale per la stabilità della rete a fronte della crescente quota di rinnovabili intermittenti.
Incenerimento dei rifiuti (Waste to Energy): Un settore con elevate concentrazioni di CO₂ nei fumi e privo di alternative di decarbonizzazione.
IL NODO DEI COSTI E LA NECESSITÀ DI INCENTIVI
Il vero ostacolo allo sviluppo della filiera è di natura economica. Lo studio analizza nel dettaglio i costi, evidenziando che la sola fase di cattura – la più onerosa – ha un costo che varia da 70-100 € per tonnellata di CO₂ nei settori più competitivi (come cemento e acciaio) a oltre 150 €/t in altri contesti. A questo si aggiungono i costi di trasporto (circa 10 €/t via tubo, ma fino a 50 €/t via nave) e di stoccaggio (stimato in circa 50 €/t).
Con un prezzo delle quote di emissione europee (ETS) che si attesta intorno ai 95 €/t, emerge un “funding gap” medio di circa 87 €/t. In altre parole, per le imprese decarbonizzare con la CCUS costa molto di più che pagare per inquinare. Per questo motivo, lo studio conclude che, in analogia con quanto avviene in altri Paesi come Regno Unito e Olanda, è imprescindibile un intervento pubblico. La strada maestra indicata è quella dei Contratti per Differenza (CfD), meccanismi che garantiscono agli operatori un prezzo fisso per ogni tonnellata di CO₂ abbattuta, coprendo la differenza con il prezzo di mercato dell’ETS e rendendo così gli investimenti bancabili e sostenibili.