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Allevamento

C’è un grande argomento che alla COP27 i nostri leader non toccheranno: l’allevamento di bestiame

Come l’industria dei combustibili fossili – si legge sul Guardian – le società di bestiame hanno investito denaro per influenzare l’opinione pubblica, utilizzando dei metodi sviluppati inizialmente dalle compagnie del tabacco

Per prevenire un catastrofico crollo climatico – scrive l’editorialista George Monbiot sul Guardian – sono necessarie solo due azioni: lasciare i combustibili fossili al loro posto e smettere di allevare animali. All’interno delle dichiarazioni dei 26 vertici sul clima (COP) che si sono svolti fino ad oggi, però, nessuno dei due settori è stato mai citato. Negli accordi finali prodotti ai vertici COP, i combustibili fossili sono stati nominati solo in 6 occasioni.

In un accordo ci si limita ad accennare di utilizzare complessivamente meno risorse, mentre gli altri propongono solo di migliorare l’efficienza, tentare soluzioni tecniche o, nel caso dell’accordo al termine della COP26 a Glasgow dello scorso anno, ridurre gradualmente la combustione del carbone “ininterrottamente”, senza nessun riferimento alla riduzione del petrolio o del gas. Nessuno suggerisce di estrarre meno combustibile.

LA QUESTIONE DEGLI ALLEVAMENTI DI BESTIAME

Per quanto riguarda il bestiame, è menzionato solo in 3 accordi, e l’unica azione che ognuno di essi propone è la loro “gestione”. Da nessuna parte leggiamo di una eventuale “riduzione”.

L’invito a smettere di allevare animali dovrebbe essere familiare quanto l’invito a lasciare i combustibili fossili nel terreno, ma si sente raramente. In un recente articolo sulla rivista Sustainability si stima che l’allevamento di bestiame rappresenti tra il 16,5% e il 28% di tutto l’inquinamento da gas serra.

Queste cifre forniscono un’indicazione di quanto la questione allevamento sia stata trascurata. La cifra ufficiale (14,5%), pubblicata dalla FAO, è errata. E, seppure tra gli addetti ai lavori si sappia che è errata, finora è stato fatto pochissimo per aggiornarla.

Anche applicando il numero minimo (16,5%), il valore è maggiore di tutte le emissioni dei trasporti mondiali. E sta crescendo velocemente: nei 20 anni fino al 2018, il consumo mondiale di carne è aumentato del 58%. Un documento in Climate Policy stima che entro il 2030 i gas serra degli allevamenti potrebbero utilizzare metà dell’intero bilancio mondiale di carbonio, se vogliamo evitare un riscaldamento globale di oltre 1,5°C.

Un’analisi di Our World in Data mostra che, anche se l’inquinamento da gas serra da ogni altro settore venisse eliminato oggi, entro l’anno 2100 la produzione alimentare abbatterà il bilancio globale del carbonio due o tre volte. E questo in gran parte è dovuto all’allevamento di animali, che rappresenta il 57% dei gas serra del sistema alimentare, sebbene fornisca solo il 18% delle calorie.

La questione è diventata ancora più urgente, ora che sappiamo che l’impatto sul riscaldamento del metano è in aumento. L’allevamento è la più grande fonte mondiale di gas metano rilasciato dalle attività umane, eppure non se ne fa menzione nell’impegno globale sul metano lanciato alla COP26 dello scorso anno.

Una nuova analisi di Chatham House rileva che solo 12 Paesi hanno citato le emissioni degli animali da fattoria nei loro impegni ufficiali sul clima, e nessuno cerca di ridurre la produzione di bestiame. Solo due Paesi (Costa Rica ed Etiopia) parlano di un cambiamento nella dieta. Probabilmente la più importante di tutte le azioni ambientali, poiché l’allevamento di animali è anche la principale causa mondiale di distruzione dell’habitat e perdita di fauna selvatica.

LE ANALOGIE TRA L’INDUSTRIA DEI COMBUSTIBILI FOSSILI E QUELLA DEL BESTIAME

Questo, però, è solo un aspetto del problema. Come l’industria dei combustibili fossili, le società di bestiame hanno investito denaro per influenzare l’opinione pubblica, utilizzando dei metodi sviluppati inizialmente dalle compagnie del tabacco. Parte di questo greenwashing è stato molto efficace: in particolare le affermazioni del settore sul cosiddetto “allevamento rigenerativo” e la falsa affermazione che l’allevamento di carne alimentata a pascolo sequestra più gas serra di quanti ne rilascia.

In realtà, la carne nutrita con erba è di gran lunga la componente più dannosa della nostra dieta, a causa del suo enorme fabbisogno di terra, delle emissioni di gas serra e dei costi di opportunità ecologica e di carbonio. Nonostante una ingente mole affermazioni, non ci sono delle prove empiriche che lo stoccaggio di carbonio nei pascoli possa compensare i gas serra prodotti dal bestiame, per non parlare delle riserve di carbonio distrutti quando gli ecosistemi selvatici vengono convertiti in pascoli.

Un articolo su Nature Sustainability ha rilevato che, se il pascolo permanente del bestiame solo nei Paesi ricchi fosse restituito agli ecosistemi selvaggi, il loro recupero attirerebbe 380 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera, equivalenti a 12 anni di emissioni globali di carbonio.

Il Comitato sui cambiamenti climatici del governo britannico riferisce che, in Inghilterra, “il passaggio dai prati alle foreste aumenterebbe le riserve di carbonio nel suolo di 25 tonnellate di carbonio per ettaro”.

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