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Clima

Clima, conferenze aziendali e smart working: come cambiano con il Covid

Il passaggio dalle conferenze di persona a quelle virtuali può ridurre sostanzialmente l’impronta di carbonio del 94% e il consumo di energia del 90% assicurando un benessere per il clima. Lo studio della Cornwell University

Quando il Covid-19 finirà, potrebbe esserci un rilancio delle conferenze aziendali che, tuttavia, potrebbe portare a un notevole rialzo delle emissioni di CO2. Secondo una nuova analisi pubblicata su Nature Communications, si potrebbe, tuttavia, frenare l’impatto emissivo consentendo comunque molte interazioni, aiutando al contempo il clima.

L’ANALISI

L’analisi di Nature Communications ha scoperto che considerando il cibo, l’alloggio, la preparazione, l’esecuzione, la tecnologia dell’informazione e della comunicazione e il trasporto – che rappresentano cioè l’intero ciclo di vita delle conferenze di persona, virtuali e ibride – e si prendono in considerazione dei compromessi sull’impronta di carbonio tra la partecipazione di persona e le conferenze ibride “il passaggio dalle conferenze di persona a quelle virtuali può ridurre sostanzialmente l’impronta di carbonio del 94% e il consumo di energia del 90%. Al fine di mantenere più del 50% della partecipazione di persona, hub accuratamente selezionati per conferenze ibride hanno il potenziale per ridurre di due terzi l’impronta di carbonio e il consumo di energia”. Inoltre, il passaggio delle future conferenze “a diete a base vegetale e il miglioramento dell’efficienza energetica del settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione potrebbe ridurre ulteriormente l’impronta di carbonio delle conferenze virtuali”.

La ricerca della Cornell University ha evidenziato che utilizzare degli hub appositamente realizzati per conferenze ibride hanno il potenziale di ridurre l’impronta della CO2 e il consumo di energia del 60-70% pur mantenendo al massimo un 50% di presenza non virtuale, aiutando quindi il clima.

L’INDUSTRIA DEGLI EVENTI E L’IMPATTO SUL CLIMA

Secondo i ricercatori, infatti, l’impatto annuale dell’industria degli eventi ha raggiunto lo stesso ordine di grandezza delle emissioni annuali di gas serra di tutti gli Stati Uniti. Anche se c’è da dire che il risultato si basa su un’ampia definizione del “settore degli eventi globali” tramite l’Events Industry Council, che definisce “evento aziendale” come quello che si tiene con “10 o più partecipanti per un minimo di quattro ore in un luogo convenzionato”.

COME CAMBIA IL MONDO DEL LAVORO

D’altro canto che il mondo del lavoro in generale stia attraversando una trasformazione, è evidenziato da un’altra ricerca della Cornell University: nei 22 mesi da quando le aziende americane hanno mandato a casa i loro lavoratori a causa del Covid, hanno raccolto frotte di dati di sondaggi, pagato consulenti e redatto piani ma non sanno ancora molto di più sul lavoro post-pandemia di quanto non sapessero nel marzo 2020, secondo quanto si legge su Axios.

L’ultimo fattore a sventare ogni piano di ritorno al lavoro è l’arrivo della variante Omicron COVID. “Le aziende si trovano in una specie di Comma 22 – dice Brad Bell, direttore del Center for Advanced Human Resource Studies alla Cornell -. “Da un lato, i dipendenti vogliono trasparenza. Vogliono un piano. Ma ogni volta che pensiamo di esserne usciti, e le aziende vanno a girare l’interruttore sul ritorno al lavoro, qualcosa viene fuori”. E le aziende finiscono per dover tornare indietro sulle loro parole, frustrando o confondendo ulteriormente i lavoratori.

ALCUNI ESEMPI DELLE GRANDI AZIENDE

Solo per fare un esempio, a giugno, il CEO di Morgan Stanley James Gorman aveva detto in una conferenza che sarebbe stato “molto deluso” se la sua forza lavoro non fosse tornata in ufficio entro il Labor Day 2021.

Altre aziende che hanno spostato le loro date di rientro al lavoro nell’ultima settimana includono Ford, Lyft e DocuSign, scrive Emma Goldberg sul New York Times.

Gli impiegati anziani e i dirigenti, così come i giovani lavoratori a inizio carriera, vogliono tornare in ufficio a tempo pieno. Ma la stragrande maggioranza della metà vuole una settimana di lavoro flessibile e ibrida. Eppure nessuna azienda e nessun esperto può dire definitivamente come sarà il posto di lavoro in un mondo post-COVID.

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