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Energia

Incendi in Europa, green bond e costo del caffè influenzato dal clima: cosa c’è sui giornali di oggi

Gli incendi in Europa, il nuovo standard per le obbligazioni Ue, il costo del caffè influenzato dal clima: la rassegna dei giornali 

AMBIENTE, ITALIA PRIMA PER INCENDI, MA IN ALTRI PAESI BRUCIANO AREE PIÙ VASTE

Più incendi, ma di entità minore. L’estate 2024 alimenta le fiamme che colpiscono l’Italia, colpendo più degli anni precedenti alcune regioni del Sud e il Lazio, ma le superfici interessate non aumentano, grazie alla tempestività degli interventi e alla prevenzione messa in campo a livello regionale. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. (…) La stagione delle fiamme anche nel 2024 brucia migliaia di ettari in Italia e i dati satellitari del sistema europeo Effis-Copernicus certificano il triste primato del nostro Paese nel numero di incendi rilevati.

Il confronto prende in esame gli episodi che interessano almeno 30 ettari o più, mappati dalla piattaforma: in tutto sono stati registrati 254 episodi a livello nazionale, per un totale di 28.634 ettari di terra bruciata (dati aggiornati all’8 agosto), pari al 24% degli episodi censiti su scala europea. Seguono Romania, Spagna e Francia ma con meno incendi rilevati, rispettivamente 230, 170 e 148 da gennaio ad oggi. Il record negativo resta intatto anche sul lungo periodo: la media 2006-2023 rileva 290 episodi all’anno in Italia, seguita dai numeri di Portogallo (205) e Spagna (203).

A fare da contraltare, però, è il dato relativo alla superfice bruciata che risulta più contenuto, rispetto alle performance degli altri Paesi: circa 28mila ettari in Italia nel 2024, meno che in Bulgaria e Spagna (rispettivamente, 38.850 e 34mila ettari circa); anche la media 2006-2023, pari a circa 56.700 ettari bruciati ogni anno nel nostro Paese, risulta inferiore rispetto ai record di Portogallo (93.736 ettari) e Spagna (81.623 ettari). «La superficie interessata quest’anno dagli incendi risulta in linea con le medie degli ultimi 15 anni», spiega Roberto Inghilesi di Ispra, che ricorda come l’Italia – comunque – bruciasse molto di più negli anni ’70 o comunque prima dell’approvazione della legge quadro sugli incendi nel 2000.

A confermare il trend in aumento degli incendi rispetto alla scorsa stagione sono anche i Vigili del fuoco. I loro dati, che rilevano molti più episodi rispetto ai satelliti, misurano tutti gli incendi che interessano la vegetazione e richiedono un intervento delle squadre di terra: a partire dal 15 giugno scorso, data di inizio della campagna antincendio boschivo (Aib) che ogni anno potenzia le azioni di prevenzione e le forze in campo nel periodo estivo (i Vigili del fuoco impegnano circa 700 uomini in più sul territorio), gli interventi finora sono stati 28.921, circa 5mila in più rispetto ai 23.990 registrati nello stesso arco di tempo nel 2023; anche se molti meno rispetto a quelli del 2022, 2021 e del 2017. La campagna, però, è ancora in corso e quest’anno il governo ha deciso di prorogare fino al 15 ottobre (di solito finiva al 30 settembre), conclude il quotidiano.

GREEN BOND, LO SCHEMA EUROPEO SFIDA I TITOLI VERDI TRADIZIONALI

I green bond sono i principali strumenti finanziari a supporto della transizione energetica. Secondo Climate Bonds Initiative, bibbia del settore, ad oggi sono stati emessi 3,25 trilioni di dollari di obbligazioni verdi. E da inizio 2024, in particolare, i green bond hanno raggiunto quota 432 miliardi con un picco a maggio di 85,4 miliardi di dollari. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. Il green bond, in sintesi, consente la raccolta di denaro sul mercato da destinare a iniziative legate alla transizione ambientale: dagli impianti eolici o solari a quelli di riciclo dei rifiuti, fino ai green building. È l’elenco, non esaustivo, previsto dai Green Bond Principles, il documento dell’associazione internazionale dei mercati di capitali (Icma), punto di riferimento in questi anni per aziende e Stati che hanno emesso obbligazioni verdi.

Due le caratteristiche principali di tale strumento finanziario: il vincolo di destinazione del denaro raccolto dagli investitori e la reportistica periodica per informare il mercato dello stato dell’arte. Facoltativa invece la second party opinion, ovvero la relazione di terze parti che certificano quanto l’azienda (o lo Stato) stia realizzando con i soldi degli investitori. Icma è quindi l’attuale standard di mercato. C’è però una new entry europea. Da anni infatti Bruxelles sta lavorando alla normativa su un green bond Ue. Il risultato di tale lavoro è il regolamento 2023/2631, che introduce appunto l’European green bond (Eugb) e che sarà applicabile dal 21 dicembre di quest’anno.

Ci saranno a quel punto due grandi famiglie con regole diverse e alcune decisive differenze: il green bond Icma infatti è un’autoregolamentazione che non prevede sanzioni. Unica sanzione è quella del mercato: chi non rispetta tali regole perde la fiducia degli investitori. Chi sceglie invece la strada dell’obbligazione verde europea, adotta uno schema con obblighi ben precisi che prevede anche un impianto di vigilanza e sanzioni. Il regolamento Ue sui green bond stabilisce che le attività economiche da finanziare debbano essere allineate alla tassonomia europea, la classificazione prevista da un altro regolamento europeo (2020/852) che stabilisce cosa è green e cosa non lo è. Per l’associazione Icma, invece, la gamma di attività economiche finanziabili è molto più estesa e soprattutto non vi sono regole così stringenti.

(…)

La differenza essenziale è nella relazione sull’impatto delle obbligazioni verdi europee, un documento assente nello schema Icma e che, invece, gli emittenti di green bond regolati da Bruxelles devono pubblicare al termine dell’allocazione integrale dei proventi e almeno una volta durante la vita dello strumento finanziario. Altra importante differenza fra Icma e Bruxelles riguarda i controlli esterni. Come detto, per Icma sono facoltativi mentre, per l’Unione europea, la verifica delle terze parti è obbligatoria. Non solo. Il nuovo regolamento Ue chiede che i revisori esterni debbano essere iscritti in un registro dell’Esma, l’authority di vigilanza dei mercati finanziari europei; Esma inoltre effettua anche la vigilanza su tali soggetti. La valutazione delle terze parti è obbligatoria in relazione alla scheda informativa del green bond e anche sulle relazioni legate all’allocazione dei soldi; è volontaria invece per la relazione di impatto, conclude il quotidiano.

CAFFÈ, LA CRISI DEL CLIMA METTE LE COLTIVAZIONI A RISCHIO

Caffè salato, anzi salatissimo. E no, non è una nuova “ricetta” estiva, bensì una tendenza ormai consolidata nei mercati internazionali. Il costo della materia prima ha raggiunto picchi da record in questi mesi. Solo negli ultimi sei mesi, secondo Bloomberg Intelligence, il prezzo del caffè alla fonte è salito del 50%, e non solo nei Paesi sudamericani, bensì anche in quelli asiatici, come il Vietnam. I costi sul consumatore non sono immediati, ma si sentono a mano a mano che la filiera si muove. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. L’aumento medio degli ultimi tre anni è stato del 15% per la tazzina di caffè al bar, con nuovi aumenti previsti per la seconda parte dell’anno. Se oggi la media nazionale è di poco sotto quota 1,50, ben presto potrebbe toccare i 2 euro. E insieme al caffè possiamo mettere anche il cacao e la vaniglia e diversi altri prodotti coltivati nel mondo che raggiungono le aziende europee e così contribuiscono all’inflazione. C’è un minimo comun denominatore nella crisi dei prezzi di queste materie prime, anzi almeno tre: la logistica e i trasporti oggi congestionati o fragili, l’incertezza geopolitica globale e infine il decisivo ruolo del cambiamento climatico. Un mercato che, solo per quanto riguarda l’Italia abituata al caffè al bar, vale circa 7 miliardi di euro l’anno, secondo le stime di Assoutenti.

Prendiamo il caffè e la qualità Robusta, tra le più usate: nella prima settimana di luglio ha toccato il picco di 4.597 dollari per tonnellata. Lo stesso periodo dell’anno scorso era a 2.600 dollari a tonnellata, a inizio 2020 appena 1.300. La curva dei prezzi del cacao ha raggiunto vette senza precedenti a marzo: per una tonnellata bisognava versare 9.900 dollari; quasi cinque volte di più rispetto a inizio 2020. Le quotazioni sono oggi scese a 7.700, ma sono comunque alte tre volte la media. Il cambiamento climatico influisce direttamente sulla coltivazione di questi prodotti. Il 2023 è stato l’anno più caldo da quando misuriamo con precisione le temperature e il 2024 è iniziato ancora più bollente. Caffè e cacao hanno bisogno di temperature precise per crescere, tassi di umidità stabili, piogge regolari. (…) Il clima è un moltiplicatore di crisi in un contesto già piuttosto instabile, soprattutto negli snodi logistici del trasporto marittimo internazionale. Il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici stima che entro il 2030 gli incrementi di prezzi del commercio internazionale saranno di 34 miliardi di dollari in conseguenza degli impatti dei cambiamenti climatici in tre punti chiave del trasporto marittimo mondiale: il canale di Panama, quello di Suez e gli Stretti turchi. Sono veri e propri “chokepoints”, strettoie globali: Panama è congestionato a causa della siccità che ha ridotto gli spazi; Suez è bloccato ormai da mesi e costringe le grandi navi merci a ritardi e alla circumnavigazione dell’Africa. I costi delle rotte possono aumentare fino al 400% e i ritardi attestarsi tra i 10 e i 20 giorni.

(…)

I picchi registrati da inizio anno a oggi avranno effetti diretti sul consumatore finale. «Temiamo che i rialzi delle quotazioni del caffè possano portare nelle prossime settimane a incrementi dei prezzi sia per le consumazioni al bar sia per il caffè venduto nei supermercati – spiega il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso –. Anche pochi centesimi di aumento determinerebbero una stangata sulle tasche dei consumatori, considerato che in Italia vengono serviti nei locali pubblici circa 6 miliardi di caffè all’anno». Se negli scorsi mesi il costo delle materie prime era stato in gran parte assorbito dalle aziende, ora potremmo attraversare un periodo di rincari sempre più visibili. A partire da questa estate, come ha verificato l’Unione nazionale consumatori (Unc). Sia per il caffè che i prodotti con cioccolato: «Nell’ultimo mese hanno toccato il loro picco con un incremento mensile notevole, che per il caffè è addirittura dell’1,7%», dice Massimiliano Dona, presidente dell’Unc. Entro fine anno gli incrementi potrebbero salire ancora. Un ulteriore indizio? I giganti della finanza Morgan Stanley e Wells Fargo hanno rivisto al rialzo le stime dei prezzi delle materie prime per il 2025, conclude il quotidiano.

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