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Conferenza Sul Clima

COP 27, cosa dobbiamo aspettarci dalla conferenza sul clima in Egitto

Dal 6 al 18 novembre a Sharm el-Sheikh circa 90 leader internazionali. In rappresentanza dell’Unione Europea, oltre al presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ci saranno Olaf Scholz, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni e Pedro Sanchez

Al vertice COP27 sul clima che inizierà in Egitto domenica 6 novembre in pochi si aspettano dei nuovi grandi annunci per quanto riguarda le emissioni o le temperature. La scorsa settimana i ministri dell’ambiente dell’Unione Europea hanno ammesso che, ancora una volta, l’obiettivo di fornire 100 miliardi di dollari in aiuti per il clima ai Paesi in via di sviluppo verrà mancato, sette anni dopo che era stato promesso per la prima volta.

L’ultimo anno è stato un’eternità nella politica climatica: gli ambiziosi obiettivi fissati alla COP26 di Glasgow –la Banca Europea per gli Investimenti e oltre una dozzina di Stati europei avevano promesso che avrebbero smesso di finanziare progetti di combustibili fossili all’estero – sono stati velocemente disattesi.

L’invasione russa dell’Ucraina ha spinto i Paesi UE a lottare per assicurarsi delle forniture di gas alternative da Paesi come Algeria, Tunisia e Mozambico, setacciando il globo alla ricerca di gas ed estromettendo le nazioni più povere, pur mantenendo l’opposizione allo sviluppo di riserve ad uso nazionale.

Per quanto riguarda le presenze alla COP27, si prevede che a Sharm el-Sheikh arriveranno solo circa 90 leader internazionali, con i leader di Cina e Australia che non parteciperanno, mentre in rappresentanza dell’Unione Europea, oltre al presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, presenzieranno Olaf Scholz, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni e Pedro Sanchez.

L’ultimo anno ha danneggiato la credibilità climatica dell’Europa, perciò i leader UE cercheranno di sfruttare l’occasione del vertice ONU sul clima per conciliare gli sforzi a breve termine e procurarsi nuove importazioni di gas con le ambizioni climatiche a lungo termine.

GLI ATTRITI TRA L’EUROPA E I PAESI IN VIA DI SVILUPPO

Agitare il dito contro i Paesi in via di sviluppo – che stanno cogliendo l’occasione per espandere la propria esplorazione dei combustibili fossili – non funzionerà. L’Africa è responsabile di meno del 4% delle emissioni globali. La reazione rabbiosa dell’Uganda e della Tanzania ad una recente mozione del Parlamento europeo che critica i loro piani per portare avanti l’esplorazione di petrolio e gas indica la vulnerabilità dell’Europa all’accusa di ipocrisia climatica, soprattutto perché diversi stati UE trarranno vantaggio da altri progetti di combustibili fossili in Africa. Al contrario, l’UE dev’essere un leader quando si tratta di climate financing.

Il commissario UE per il clima, Frans Timmermans, la scorsa settimana ha affermato che l’UE potrebbe essere un “costruttore di ponti”, in particolare sul finanziamento di “perdite e danni” causati dai disastri climatici. Tuttavia, dovrà mostrare un livello di urgenza che è mancato dagli sforzi per aumentare l’adattamento climatico ed il mitigation financing.

Dopo anni di attesa dei finanziamenti per il clima, gli Stati africani non esiteranno a criticare i Paesi ricchi che ora stanno dicendo loro di non estrarre le proprie forniture di petrolio e gas.

La diplomazia sul gas con i Paesi in via di sviluppo e l’accelerazione della propria decarbonizzazione interna è l’unico modo con cui l’Europa può rivendicare la sua leadership internazionale sul clima.

I VERTICI SUL CLIMA SONO SOLO “UN FESTIVAL DELLE PROMESSE” ?

Per il giornalista britannico del Times Jonathan Gornall “è difficile non arrivare a ritenere che ogni COP tenutasi dal 1994 sia stata poco più di un festival di promesse. Sono trascorsi 28 anni dall’entrata in vigore della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con l’ambizione semplice ma fantasticamente complessa di “prevenire pericolose interferenze umane con il sistema climatico”.

Da allora, 198 Paesi hanno ratificato la convenzione e quest’anno alla COP27 di Sharm El-Sheikh sono previsti circa 30.000 delegati da tutto il mondo, per una delle più grandi conferenze sui cambiamenti climatici mai organizzate. Ma ha senso?

Il mese scorso il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha pubblicato il suo 13° Rapporto sul divario di emissioni. Intitolato “The closing window”, che rappresenta un allarme per tutte le delegazioni nazionali dirette in Egitto. Se verrà ascoltato o meno lo scopriremo nelle prossime due settimane.

“Ogni anno – ha scritto nella prefazione al rapporto il direttore esecutivo dell’UNEP, Inger Andersen – gli impatti negativi dei cambiamenti climatici diventano più intensi. Ogni anno portano più sofferenza e dolore a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, e ogni anno diventano sempre più un problema del qui e ora, oltre che un avvertimento di conseguenze più dure per il futuro. Il mondo è in un’emergenza climatica, eppure i Paesi continuano a procrastinare”.

COSA DICONO GLI ULTIMI RAPPORTI SUL CLIMA

A fine ottobre una serie di nuovi rapporti ha confermato che la crisi climatica globale continua a peggiorare, nonostante tutta l’aria fritta generata COP dopo COP. Tra i più preoccupanti c’è il bollettino annuale sui gas serra dell’Organizzazione meteorologica mondiale, secondo cui le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, metano e protossido di azoto nel 2021 hanno raggiunto tutte livelli record e hanno continuato ad aumentare anche quest’anno.

Ovviamente c’è il grande enigma del nostro tempo, ovvero come mantenere le forniture energetiche mentre passiamo alle energie rinnovabili. Tuttavia, è evidente che attualmente non è in corso nessuno sforzo serio e concertato per affrontare la questione.

Dopo l’accordo di Parigi del 2015 – in cui le nazioni hanno concordato l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali – gli Stati hanno presentato dei contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions – NDC) e degli impegni dettagliati su cosa intendono fare per aiutare il mondo a raggiungere quell’obiettivo. Questi NDC sono stati aggiornati dopo la COP26 di Glasgow e, dopo aver sommato i vari impegni, l’UNEP ha concluso che non c’era troppo da preoccuparsi.

Il problema è questo: nel definire i propri piani, quasi tutti i Paesi non sono riusciti a far valere il proprio peso, presumibilmente nella speranza di mantenere il vantaggio economico, mentre altri Paesi si fanno avanti per sostenere una quota più significativa delle necessarie riduzioni delle emissioni globali. Il risultato, afferma l’UNEP, è che ci sono stati solo dei minimi progressi nel ridurre “l’immenso divario tra le riduzioni delle emissioni promesse e le riduzioni delle emissioni necessarie per raggiungere l’obiettivo sulle temperature dell’accordo di Parigi” entro il 2030.

LE CONCLUSIONI DELL’UNEP SULL’OBIETTIVO DELL’ACCORDO DI PARIGI

In conclusione, per avere anche la minima possibilità di limitare il riscaldamento globale all’aumento ideale di 1,5 gradi Celsius, adesso le emissioni globali annuali di gas serra dovranno essere ridotte del 45% in soli 8 anni.

Pensiamo a tutto ciò che facciamo che contribuisce alle emissioni di gas serra – guidare, volare, illuminare, riscaldare o raffreddare la casa, guardare la televisione, usare la lavatrice etc – e immaginiamo di fare il 45% in meno di tutte queste cose entro il 2030.

Ora immaginiamo che il Paese in cui viviamo faccia lo stesso, riducendo tutti i trasporti, l’agricoltura e la produzione di energia della stessa quantità. Questo è un obiettivo quasi impossibile. E, anche se i Paesi ricchi e sviluppati del mondo iniziassero a investire in modo più urgente e realistico nell’energia alternativa, qualsiasi riduzione delle emissioni che potrebbero ottenere sarà compensata dalle economie emergenti che bruciano quantità crescenti di combustibili fossili, mentre si sforzano di ottenere gli stessi vantaggi di cui l’Occidente ha goduto sin dagli albori della rivoluzione industriale.

Invece della riduzione del 45% delle emissioni necessaria entro il 2030, anche se ogni nazione rispettasse interamente i propri impegni NDC esistenti, la riduzione totale delle emissioni di carbonio ottenibile entro il 2030 è un misero 3,6%. Evidentemente manca l’impegno.

LE PROMESSE FATTE ALLA COP26 E LE PREVISIONI DEL VERTICE IN EGITTO

Alla COP26 tutte le 193 parti nazionali dell’accordo di Parigi hanno deciso di rivedere e rafforzare i loro piani climatici. Il fatto che solo 24 lo abbiano fatto, secondo Simon Stiell, segretario esecutivo dell’ONU sui cambiamenti climatici, “è deludente”. La scorsa settimana Stiell ha affermato che “non siamo ancora vicini alla scala e al ritmo di riduzione delle emissioni necessari per metterci in linea per un mondo a 1,5 gradi Celsius”.

È difficile evitare la conclusione che ogni COP dal 1994 sia stato poco più di un festival di promesse, un’opportunità per i politici di promettere grandi cose sulla scena mondiale e fare piccole cose a casa. Ad ogni modo, da adesso e fino alla conclusione della COP27 del prossimo 18 novembre, all’Egitto va concesso il beneficio del dubbio.

Questa settimana, in un’intervista alla rivista New Scientist, il principale negoziatore del clima egiziano, Mohamed Nasr, ha promesso che la COP27 sarà diversa, che sarà un “controllo della realtà”, e che farà pressione sui Paesi affinché mantengano le promesse esistenti, prima di farne di nuove.

Non possiamo che augurare buona fortuna a lui e all’Egitto: se riusciranno a convincere i Paesi riluttanti che le azioni parlano più delle parole, allora si saranno guadagnate la gratitudine del mondo e delle generazioni future, la cui stessa esistenza è sempre più in bilico.

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