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prezzi energia

Ecco come si potrebbero tagliare gli extracosti dell’energia in Italia

Carlo Stagnaro e Luca Lo Schiavo dell’Istituto Bruno Leoni illustrano alcune ipotesi di intervento per risolvere l’annoso problema che attanaglia le imprese italiane

Le aziende italiane pagano prezzi dell’energia che molto spesso sono superiori rispetto a quelli sostenuti dai concorrenti europei. E la situazione potrebbe anche peggiorare, dopo che la Germania ha annunciato un intervento per limitare a 50 euro/MWh la spesa per le industrie energivore. Le aziende energivore italiane, anche se si considerano gli sgravi a disposizione, difficilmente possono scendere sotto 70-80.

Ancora peggiore è la situazione per le Pmi, su cui il peso degli oneri generali di sistema si scarica in modo più che proporzionale: con consumi pari al 26% del totale pagano il 40% degli oneri. Ma come si può intervenire per tentare di risolvere questa annosa questione?

IL DISACCOPPIAMENTO DEI PREZZI ENERGETICI E LE CATEGORIE DEI CONSUMATORI

Come ricordano Carlo Stagnaro e Luca Lo Schiavo in un’analisi per l’Istituto Bruno Leoni, da anni il dibattito italiano oscilla tra due estremi: ipotesi più o meno fantasiose di disaccoppiamento del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica dal gas da un lato, meccanismi di redistribuzione interna tra categorie di consumatori dall’altro.

Secondo Stagnaro e Lo Schiavo, se si parla di prezzi all’ingrosso le prime sono delle forme di distrazione che non porterebbero da nessuna parte; i secondi, invece, sono la causa della sofferenza delle Pmi. L’inflazione energetica del nostro Paese dipende dal livello sproporzionalmente alto di due voci della bolletta: gli oneri generali di sistema e il costo dell’energia all’ingrosso.

IL PESO DEGLI ONERI DI SISTEMA SULLE BOLLETTE DELL’ENERGIA

Gli oneri generali oggi costano 11 miliardi di euro l’anno, principalmente per i vecchi schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili. A partire dai prossimi anni, però, questi importi diminuiranno, con l’arrivo a scadenza degli incentivi. Se la politica non approverà una norma che impegni il governo a blindarne la discesa naturale, però, i consumatori potrebbero non vedere mai questa riduzione, che verrà occupata da nuove manovre di spesa.

Un secondo passo è il progressivo trasferimento degli oneri dalla tariffa elettrica alla fiscalità generale, su cui Arera propone un percorso progressivo. Ad esempio, dal 2022 l’onere dello smantellamento delle centrali nucleari è stato spostato sul bilancio pubblico: bisognerebbe proseguire su questa strada partendo dall’onere delle agevolazioni per le imprese energivore, che è arrivato a costare 2 miliardi l’anno, a detrimento di consumatori domestici e Pmi.

Poiché si tratta di una scelta di politica industriale, dovrebbe essere spostata a carico della fiscalità generale, per ridurre il gap di prezzo che pesa sulle imprese.

TROVARE LE FONTI DI FINANZIAMENTO

Per la parte residua degli oneri generali è possibile trovare fonti di finanziamento all’interno sia del bilancio pubblico che del sistema elettrico. Per esempio, la vendita dei permessi di emissione genera un gettito annuo attorno ai 2,6 miliardi. La metà, per legge, viene destinata all’abbattimento del debito pubblico, ma si potrebbe utilizzare la quota restante per finanziare la raccolta tariffaria. Questo sarebbe coerente sia coi vincoli europei sia con gli obiettivi di decarbonizzazione ed elettrificazione, in quanto consentirebbe di rendere l’energia elettrica più accessibile e competitiva.

Allo stesso fine, dovrebbe essere destinato tutto o parte del gettito dei canoni concessori derivanti dalle gare per l’affidamento delle reti di distribuzione e delle grandi derivazioni idroelettriche, ma per le une è già stata approvata una potenziale proroga e per le altre si discute da tempo di “quarte vie”. Il governo non ha alternative: o sceglie la concorrenza e la riduzione delle bollette, oppure la tutela delle rendite.

RIDURRE I PREZZI DELL’ENERGIA ATTRAVERSO LA CONCORRENZA

La concorrenza è anche la chiave della riduzione dei prezzi dell’energia all’ingrosso. Se in altri Paesi questi sono molto inferiori, è perché hanno saputo sfruttare meglio le fonti di energia con bassi costi variabili, come rinnovabili e nucleare. Bisognerebbe quindi semplificare la normativa e facilitare la realizzazione di nuovi impianti.

I prezzi italiani, però, a volte sembrano inspiegabili: non si capisce infatti perché, a differenza da altri Paesi Ue, raramente raggiungono lo zero e non scendono mai al di sotto, nonostante una penetrazione ormai significativa delle rinnovabili.

In parte vi sono degli ostacoli regolatori ai prezzi negativi, che andrebbero rimossi; in parte, però, la responsabilità potrebbe essere anche delle condotte opportunistiche degli operatori, che l’ASrera ha mostrato con l’indagine sui mercati all’ingrosso nel biennio 2022-2023, evidenziando delle diffuse condotte di potenziale “trattenimento economico di capacità” per gonfiare i prezzi. La difesa delle regole deve essere rigoroso, e probabilmente sarà uno dei primi dossier che il nuovo collegio dell’Arera dovrà affrontare, non appena sarà nominato.

IL RUOLO DELL’ETS

Infine, una parte consistente del prezzo dell’energia elettrica – che si può stimare sui 25-30 euro/MWh – dipende dall’applicazione dell’ETS (il mercato europeo della CO2). Tuttavia, questo oggi può dare ben poco contributo alla decarbonizzazione del settore elettrico: il carbone è già praticamente scomparso (nel 2024 la quota era dell’1,7%), mentre il vantaggio competitivo delle rinnovabili è dato dai loro costi marginali bassi.

E i prezzi attuali e attesi del gas garantiscono che queste potranno godere comunque di flussi di cassa significativi, a prescindere dal costo della CO2. Il governo, quindi, dovrebbe aprire un tavolo in Europa per proporre l’esclusione del settore elettrico dal sistema ETS, quantomeno nei Paesi che hanno già predisposto il phase-out del carbone.

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