Cosa non torna nelle azioni del regime egiziano di al-Sisi che ospiterà la Cop27 sul clima il prossimo mese
Ci siamo. La nuova edizione della Conferenza sul cima è vicina. La sede sarà Sharm El Sheikh e l’evento si terrà dal 6 al 18 novembre. C’è attesa dopo le promesse emerse dall’edizione scozzese di dodici mesi fa, poi stravolte dalla crisi energetica con la quale stiamo tuttora facendo i conti.
Sharm El Sheikh significa Egitto, significa regime di al-Sisi. L’evento riunirà i leader del settore pubblico e privato e proverà a dare seguito, oltre a quanto deciso a Glasgow nel 2021, anche agli Accordi di Parigi del 2015.
BOSTON CONSULTING GROUP COME PARTNER ESCLUSIVO, L’IMPEGNO DELL’UE
Ad agosto, Boston Consulting Group (BCG), società di consulenza manageriale, ha annunciato di essere Consulting Partner esclusivo della Conferenza. “Siamo onorati di svolgere un ruolo a sostegno della Cop27 ospitata in Egitto”, ha dichiarato il Ceo Christoph Schweizer.
A presiedere l’evento, invece, sarà Sameh Shoukry, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Araba d’Egitto. E riguardo la società americana ha osservato che BCG ha dimostrato un impegno di lunga data e una profonda esperienza nell’avanzamento dell’agenda sul clima e che, in qualità di Consulting Partner esclusivo, svolgerà un ruolo fondamentale nel sostenere gli sforzi di mobilitazione della comunità internazionale a favore di un’azione per il clima.
Altro attore fondamentale dell’evento sarà l’Unione europea. Che all’inizio di questo mese, via Consiglio, ha confermato il proprio impegno economico per la realizzazione di tutti gli obiettivi climatici. Dichiarando che occorre rendere “i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas a effetto serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici” e riconoscendo che tutto ciò “richiede uno sforzo globale”. A livello economico, l’Ue ha confermato l’impegno “per raggiungere l’obiettivo collettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima il prima possibile e fino al 2025 da un’ampia gamma di fonti, e prevede che l’obiettivo sarà raggiunto nel 2023”.
COSA NON TORNA NEL REGIME DI AL-SISI
Tutto pronto, quindi? Non proprio. O meglio, c’è qualcosa – più di qualcosa – che non convince. A fare le pulci alle azioni del regime di al-Sisi in materia climatica e sociale è stata Naomi Klein del Guardian. Dove mette a confronto le azioni di greenwashing de Il Cairo con l’accanimento nei confronti di un prigioniero ultradecennale (Alaa Abd El-Fattah) e autore di alcune lettere di preoccupazione sugli effetti del cambiamento climatico, con particolare riferimento agli eventi in Pakistan.
Dal 2 aprile, El-Fattah ha iniziato uno sciopero della fame contro le accuse di diffusione di false notizie su Facebook. Qui aveva denunciato la tortura di un suo compagno di cella. Ma tornando alla lettera sul clima, questa non è mai arrivata alla mamma. Ciò che si teme è che il regime del generale Abdel Fatah al-Sisi stia dimostrando ancora una volta la sua crudeltà. Che cozza, dall’altro lato, con le promozioni sull’impegno verde delle sue città. Ad esempio, il video sponsor su Sharm El Sheikh mostra immagini di una vita virtuale dove la gente usa cannucce e contenitori biodegradabili, si gode la natura, non usa plastica e così via. Insomma, una città simbolo di un paese attivo dal punto di vista del rispetto ambientale.
La realtà è invece più cruda. Il regime è tale anche nella poca trasparenza sul suo effettivo status climatico e di salute territoriale. I partner locali, scrive ad esempio Klein, che presenzieranno alla Cop faranno parte di questo doppio petto egiziano. “In breve, se vuoi mettere pannelli solari o raccogliere rifiuti, probabilmente puoi ottenere un distintivo per venire a Sharm el-Sheikh. Ma se vuoi parlare degli impatti sulla salute e sul clima delle cimiere a carbone dell’Egitto, o della pavimentazione di alcuni degli ultimi spazi verdi del Cairo, è più probabile che tu riceva una visita dalla polizia segreta – o dal Ministero della Solidarietà Sociale”, si legge dal longform del Guardian. Insomma, l’antifona è chiara. Così come la distanza tra realtà e ipocrisia di un regime che si appresta a aprire le sue porte per un importante forum internazionale sulla questione delle questioni del XXI° secolo. Tutti attenti all’Egitto.