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Eni, Bonomi e Simson: dai piani del governo italiano per ridurre il debito al ruolo dell’Europa su industria e rinnovabili

Il governo italiano starebbe pianificando la vendita fino al 4% di Eni in ottica di riduzione del debito pubblico. Nel mentre, Bonomi fa la ramanzina all’Europa che lascia ogni Stato per conto suo e, infine, Simson si aspetta dall’Italia più chiarezza su come intende raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili. Ecco cosa dicono i giornali

Il Tesoro – in ottica riduzione del debito pubblico – sta pianificando la vendita fino al 4% di Eni  e mira, con questa operazione, a ottenere circa 2 miliardi di euro. Bonomi, nel frattempo, in un’intervista a Repubblica, sostiene che sia «tornata la vecchia Europa, ogni Stato per conto suo» e sottolinea la necessità di una «finanza adeguata ad investimenti che sono enormi».

Kadri Simson sull’Italia e sul rispettivo ritardo nei tempi dei permessi per le rinnovabili – al Corriere della Sera – spiega: «Gli incentivi alle famiglie per l’istallazione di pannelli hanno fatto salire molto la capacità sull’Energia fotovoltaica, anche se non ho ancora i dati sul 2023. Ora siamo in contatto costante con le autorità italiane, vogliamo conoscere i loro piani per accelerare ulteriormente i tempi delle autorizzazioni».

I PIANI DEL TESORO PER RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO: CEDERE IL 4% DI ENI (E NON SOLO)

Il governo italiano starebbe pianificando la vendita fino al 4% di Eni ma solo dopo che la compagnia petrolifera avrà completato un piano di riacquisto delle azioni attualmente in corso. Il tutto in ottica di riduzione del debito pubblico. A riferire la notizia che Energia Oltre ha riportato nella giornata ieri è Bloomberg, secondo cui il governo Meloni mirerebbe con questa operazione, a ottenere circa 2 miliardi di euro.

Ad analizzare la situazione, oggi, è il quotidiano La Stampa che in merito alle mosse del governo scrive: “Sono passate solo poche ore dalla lunga lista di appuntamenti di Giancarlo Giorgetti al vertice del World Economic Forum di Davos con gli investitori. Il ministro del Tesoro aveva incontrato fra gli altri il numero uno di Bridgewater Ray Dalio, l’amministratore delegato di Bank of America Brian Moynihan, quello di Jp Morgan Jamie Dimon, il segretario alle Finanze di Hong Kong. Mai come in questo momento il governo Meloni ha bisogno di dare l’immagine di un Paese pronto a ridurre la montagna di debito che pesa sulle spalle degli italiani. La nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza dice che di qui al 2026 non scenderà: in rapporto alla crescita del Pil era previsto al 140,2 per cento a fine 2023, al 140,1 per cento nel 2024, appena mezzo punto più sotto (al 139,6) nel lontano 2026, l’ultimo anno in cui potremo contare sulle ricche provviste del Recovery Plan europeo”.

La notizia della cessione di una quota, seppur del 4%, di Eni si lega ad un contesto ben più articolato. Come sottolinea il quotidiano: “Solo quest’anno il Tesoro deve collocare sui mercati 350 miliardi di euro di titoli, più o meno lo stesso ammontare del 2023. E benché ci sia la concreta speranza di un calo dei tassi di interesse nella seconda parte dell’anno, quest’anno sarà tutto molto più complicato. La Banca centrale europea abbasserà fino ad azzerare il sostegno mantenuto per anni attorno al debito italiano. Sin dal 2014 – quando Mario Draghi rese concreto il noto whatever it takes – Francoforte ha acquistato quote crescenti di titoli pubblici: fino a un quinto del totale. Per spiegarla facile, la Bce si è in parte sostituita al mercato: quei titoli sono stati acquistati e reinvestiti, calmierando rischi e rendimenti. Ebbene, finita l’era dei tassi zero, e in nome (anche) della lotta all’inflazione, ora la Bce sta vendendo titoli italiani, e non. Nel corso dell’anno avverrà al ritmo di 7,5 miliardi al mese, fino a quando non li avrà ceduti tutti. A quel punto l’unico acquirente di Btp saranno i privati, coloro che valutano il rischio Italia e a quel rischio danno un prezzo. Le precondizioni perché non salga è anzitutto un debito in discesa, anche se lieve. È la ragione per cui Giorgetti ha promesso venti miliardi di privatizzazioni entro il 2026”.

“Tra le altre società che potrebbero vedere messe in vendita una porzione delle partecipazioni statali – secondo quanto riportato ieri da Energia Oltre in base alle indiscrezioni pubblicate da Bloomberg sulla questione – ieri da Energia Oltre – figurano Poste Italiane SpA e la compagnia ferroviaria Ferrovie dello Stato SpA. Mentre per il momento stanno procedendo la vendita del 25% della banca Monte dei Paschi di Siena SpA e del 41% di ITA Airways a Deutsche Lufthansa AG”.

Già nel mese di novembre era trapelata l’ipotesi di una cessione di una quota di Eni. Ora “gli esponenti di alcune banche d’investimento suggerirono a Giorgetti di approfittare di un’operazione che in gergo tecnico si definisce buyback, in sostanza l’acquisto di azioni proprie. Lo fanno tutte le grandi società, e le ragioni possono essere le più varie: quando si fanno acquisizioni pagate in azioni e non in contanti, o più banalmente per sostenere il titolo in Borsa: meno azioni circolano, più sale il valore. Sia come sia, una volta completata quell’operazione, lo Stato non rischia di perdere il controllo sul gruppo: oggi è azionista attraverso il Tesoro con il 4,4 per cento, mentre il pacchetto di maggioranza (il 26,2) è in mano alla controllata Cassa depositi e prestiti. A finire sul mercato sarebbe solo la quota del ministero”; spiega, oggi, La Stampa.

BONOMI SU EUROPA: OGNI STATO PER CONTO SUO. UE AIUTI L’INDUSTRIA

«L’Europa è stata solidale dopo il Covid, creando il Next generation Eu e il fondo Sure», dichiara Carlo Bonomi, presidente di Confindustria – che in questi giorni si trova al Forum di Davos – in un’intervista per il quotidiano La Repubblica. «Ma da lì in avanti è tornata la vecchia Europa, ogni Stato per conto suo. Questo significa non cogliere l’urgenza», aggiunge Bonomi.

L’urgenza sarebbe, secondo Bonomi «quella della sfida per la competitività lanciata da Stati Uniti e Cina. L’Europa vuole dettare degli standard, per esempio sulla transizione ecologica, ma ha grandi fragilità: è un’economia di trasformazione, dipendente sulle materie prime, con un costo dell’energia più alto. Il primo ministro del Belgio presentando il suo semestre di presidenza Ue ha fatto un’analisi chiara: dopo le elezioni europee sarà fondamentale un Industrial Act, altrimenti avremo grossi problemi di produzione e occupazione, e questo darà altro spazio ai movimenti antieuropeisti. (…) Se l’Europa decide di diventare campione mondiale della sostenibilità, per rendere credibile questo obiettivo, deve prevedere una finanza adeguata ad investimenti che sono enormi. In Europa negli ultimi 24 mesi sono crollati, in Italia sono sottozero. Non basta la deroga agli aiuti di Stato, che aiuta solo chi ha spazio fiscale, servono risorse e strumenti europei».

Secondo Bonomi, quindi, la politica rimanda e non impara, nonostante le crisi vissute negli ultimi anni: «Abbiamo avuto la crisi del gas russo, e ora siamo dipendenti dall’Algeria, mentre l’installazione di rinnovabili è rallentata. Abbiamo avuto la crisi delle materie prime due anni fa, e ora è esplosa la crisi del Mar Rosso». Quest’ultima, secondo il presidente di Confindustria, non avrà lo stesso impatto sui prezzi, ma «il punto è che il susseguirsi di sempre nuove e gravi crisi esogene ormai è strutturale. Un po’ come la Gioconda, che ogni volta che la guardi rivela un dettaglio diverso. Si terranno numerose elezioni che possono cambiare tutto, viviamo una rivoluzione industriale che pesa più di tutte le precedenti. Malgrado questo, l’intera trattativa e la mediazione finale sul Patto di stabilità hanno guardato al passato, non al futuro. Si è discusso sui decimali di deficit, non dei settori strategici per l’Europa che è necessario a tutti i costi sostenere».

Bonomi, poi, nell’intervista a La Repubblica aggiunge: «Bruxelles ha accelerato su vari dossier senza valutarne davvero gli impatti. Noi industriali non siamo contrari alla transizione, diciamo che va accompagnata. Per raggiungere gli obiettivi la Commissione ha indicato 3.500 miliardi di investimenti, 650 solo per l’Italia. Interi settori rischiano forte. Chi lo spiega a chi perderà il lavoro? Ci sono le risorse per riqualificare tutti? È miope pensare che siano gli industriali a mugugnare. In Germania e Francia la paura del ceto medio è sempre più forte. Figuriamoci in Italia, che ha pochissime risorse fiscali».

BONOMI SU EX ILVA: NECESSARIO UN PIANO STRATEGICO  DI USCITA

Commentando, poi, nell’intervista La Repubblica, gli sviluppi della vicenda Ex Ilva, il presidente di Confindusrtria dichiara che quello siderurgico è «un settore molto complesso. Se interviene lo Stato per salvaguardare l’impresa e l’occupazione lo deve fare avendo pronto un piano strategico di uscita, individuando i possibili partner. Se invece l’idea è risolvere un problema elettorale è l’ennesimo errore grave, che pagheremo tutti senza risolvere il problema di Taranto». Infine, Bonomi sottolinea che sicuramente c’è interesse da parte di tanti imprenditori ma «devono essere le condizioni per investire. A parte la necessità di una due diligence seria sugli impianti, in caso di commissariamento ci potrebbero essere strascichi legali. Chi investe sapendo che dopo anni potrebbe arrivare una sentenza e dire che era illegittimo?».

SIMSON SU CRISI MAR ROSSO: EUROPA PREPARATA CON RISERVE STRATEGICHE

Kadri Simson, commissaria europea all’Energia, affronta la questione relativa alla crisi del Mar Rosso e – secondo quanto riporta oggi Il Corriere della sera – parlando a margine del World Economic Forum analizza come, nonostante il Qatar abbia interrotto le forniture all’Europa di gas liquefatto (Gnl) attraverso Suez e vi siano stati attacchi ad alcune petroliere nello Stretto di Hormuz, i prezzi delle materie prime non si sono infiammati. «Per ora non abbiamo visto impatti significativi sul greggio o sui prezzi del Gnl. Al contrario, da novembre scorso le tendenze degli indici sono piuttosto al ribasso. Per il gas, conta il fatto che a metà gennaio, nel pieno della stagione più fredda, gli stoccaggi di gas nell’Unione europea sono ancora pieni al 78%: è un record. E poi c’è ancora gas liquefatto disponibile sui mercati globali. Quando il Qatar ci ha informati che alcune spedizioni di Gnl venivano fermate a causa della situazione nel Mar Rosso, siamo stati in grado di sostituirle con fonti alternative». Questo perché, spiega Simson, il mercato internazionale è «molto liquido». Inoltre, aggiunge che «il Gnl del Qatar rappresenta il 13% dell’offerta e comunque è possibile che l’attuale situazione di difficoltà nel Mar Rosso non duri per un periodo prolungato. Naturalmente la valutazione sarebbe diversa se venisse bloccato lo stretto di Hormuz: alla rotta del Mar Rosso esistono alternative, attraverso il Capo di Buona Speranza, ma per Hormuz ovviamente non è così. Ostacoli su quello stretto avrebbero un impatto immediato sui volumi di energie fossili disponibili sui mercati mondiali». Ma, in merito ad una possibile escalation e alle preoccupazioni che riguardano, in particolare, il mercato dell’Energia, Simson spiega che «l’Europa è ben preparata, sia per quanto riguarda il gas naturale che il petrolio, di cui abbiamo riserve strategiche».

SIMSON SU RINNOVABILI: ITALIA SPIEGHI COME INTENDE RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI

Passando alle politiche verdi dell’Europa e al senso di protesta che si avverte nelle opinioni pubbliche, la commissaria europea all’Energia dichiara: «Le nostre proposte sull’Energia sono per la neutralità tecnologica. Tocca ai singoli Paesi scegliere il proprio mix di fonti energetiche e per questa ragione anche la nostra più recente proposta di ridisegno dei mercati elettrici è neutrale sul piano tecnologico e dà l’opportunità a chi privilegia il nucleare di continuare su questa strada. Ma credo sinceramente che non abbiamo abbastanza rinnovabili nel nostro mix energetico e questo ci obbliga a dipendere dalle importazioni di petrolio e gas da Paesi terzi. Finché sarà così, avremo dei livelli di prezzo più alti rispetto a chi copre la domanda interna con le proprie risorse. Dobbiamo produrre più Energia sul suolo europeo».

Focalizzandosi poi sull’Italia e sul rispettivo ritardo nei tempi dei permessi per le rinnovabili, Simson spiega al Corriere della Sera: «Gli incentivi alle famiglie per l’istallazione di pannelli hanno fatto salire molto la capacità sull’Energia fotovoltaica, anche se non ho ancora i dati sul 2023. Ora siamo in contatto costante con le autorità italiane, vogliamo conoscere i loro piani per accelerare ulteriormente i tempi delle autorizzazioni».

Infine, Simson conclude: «C’è un lavoro in corso per finalizzare il Piano nazionale integrato per l’Energia e il clima. L’Italia deve spiegare come intende raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili e la sua attività legislativa. Inoltre, il parlamento italiano dovrà adottare e trasporre la legislazione concordata a livello Ue, inclusa la nuova direttiva sull’Energia rinnovabile che prevede un’accelerazione delle autorizzazioni. Dunque ci aspettiamo sviluppi positivi».

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