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Ex Ilva Taranto Arcelor Mittal Acciaierie D'Italia

Perché non c’è pace per l’ex Ilva di Taranto

Il 2024 si è aperto con una nuova frenata per l’affaire Ilva. Il futuro è ancora incerto, emerge l’opzione commissariamento e nel frattempo torna la polemica politica

Non c’è pace per l’ex Ilva, come abbiamo scritto ieri qui. L’ipotesi commissariamento è quella paventata anche oggi sui giornali nazionali e le cronache tarantine. Anche perché, ha detto il sottosegretario al Ministero delle Imprese e il Made in Italy Massimo Bitonci a Sky Tg24, “l’ipotesi della liquidazione volontaria è assurda”.

COSA SUCCEDERA’ ALL’EX ILVA

Domani ci sarà il vertice tra esecutivo e sindacati, alle 19, per rimediare allo stallo andato in scena lunedì sull’accordo per l’aumento di capitale e il risanamento dei debiti (1,5 miliardi di euro circa di passività). E, scrive il Corriere tra gli altri, “la stessa ArcelorMittal ieri ha fatto trapelare di essere [adesso] «favorevole al versamento da parte di Invitalia di ulteriori 320 milioni di euro di capitale fresco con la propria conseguente diluizione al 34% e di essere anche favorevole all’acquisizione degli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria, originariamente prevista per maggio 2022 e in seguito posticipata a maggio 2024»”.

Uno scenario che prefigurerebbe appunto tale ruolo di minoranza del colosso dell’acciaio, oggi al 62%, con Invitalia che salirebbe al 66% ma mantenendo l’espressione dell’ad (oggi Lucia Morselli), mentre viene rivendicato dallo stesso gruppo che sono stati investiti il doppio delle risorse statali: oltre duemila milioni contro i 1.080 dello Stato. Prima di Natale, ricordavamo su questo giornale ieri, il governo aveva sondato anche un’altra strada: quella di investitori privati “come il cremonese Giovanni Arvedi” e “il gruppo ucraino Metinvest che ha già investito in Piombino” e “Vulcan Green Steel” di un ramo secondario della famiglia Jindal, scrive il quotidiano confindustriale.

Per Tonino Gozzi (Federacciai, Duferco), “l’obiettivo dev’essere a tendere, arrivare al 2028-2029 con uno stabilimento decarbonizzato e un potenziale di produzione di circa cinque-sei milioni di tonnellate l’anno di acciaio. Così si raggiunge il break even. Ma servono risposte su molti punti per arrivare lì”.

LE POLEMICHE POLITICHE

Tutto ciò si sta sviluppando nel mezzo di nuove polemiche politiche. Adolfo Urso, titolare del Mimit, ha promesso che il governo ha tutta l’intenzione di salvare e la siderurgia italiana, in particolare l’ex ilva di Taranto.

Ma “il gruppo franco-indiano Arcelor Mittal ha beffato il governo Meloni?”, si chiedeva ieri Michelangelo Colombo su Startmag. Rilanciando i dubbi del Sole 24 Ore sulle inefficienze statali (Invitalia) nel gestire operativamente l’acciaieria sul campo e negli uffici. Ma il colosso franco-indiano si è già disinteressato sull’asset pugliese e quindi, a maggior ragione, la vicenda va affrontata.

Secondo Carlo Calenda, leader di Azione, “il Governo Meloni non ha alcuna responsabilità sulla crisi di Ilva. La crisi di Ilva nasce quando è stato fatto saltare un accordo blindato, siglato a seguito di una gara europea, prima confermato e poi disfatto da Conte e compagni per compiacere la Lezzi dopo il pessimo risultato delle europee”. Mentre per Gad Lerner il flop di lunedì è stato “un fiasco clamoroso del governo sovranista, forse l’insuccesso più spettacolare dacché è in carica. Un fiasco annunciatissimo, per giunta, dato che le intenzioni della multinazionale erano palesi da almeno 4 anni”.

“Come dichiarai allora – ha proseguito su X Calenda – “Ia storia di ILVA finisce oggi”. Nessun investitore verrà a mettere soldi in un paese che cambia ex post regole e norme. La scelta successiva di fare una società con Mittal senza vincoli e paletti blindati è stata una follia, così come la promessa mai mantenuta di fare acciaio green senza spiegare cosa fosse. A questo punto l’unica “soluzione” è retrocedere l’impianto all’amministrazione straordinaria, usando una norma varata dal governo Gentiloni, e ricominciare tutto daccapo”.

E poi ha aggiunto: “Non sappiamo tuttavia se ciò implichi penalizzazioni perché non conosciamo gli accordi tra Mittal e Invitalia, rimasti segreti. Questa è la situazione. I responsabili sono i partiti che votarono, dopo averlo confermato, per l’abolizione dello scudo penale. La fine era dunque nota da quattro anni. Ora cerchiamo almeno di imparare da quanto accaduto. La politica italiana ha scarsa o nulla conoscenza delle imprese. Il risultato è che pensano di poter giocare con gli asset industriali come fossero conferenze stampa o slogan da saltimbanchi. Non funziona”.

Infine: “Scusate, devo aggiungere un punto: vorrei che provassimo a fare mente locale e ricordare le centinaia di ore di talk show che raccontavano le mirabolanti idee dei 5S, di come avevano costretto Mittal ad abbassare la testa minacciando la “madre di tutte le cause” etc”.

Per Marco Bentivogli, Base Italia, “non avere materie prime ci può stare, avere filiere troppo lunghe sul nostro settore primario è costoso e pericoloso. Lo abbiamo visto anche durante la pandemia. (…) Servono politici che abbiano contezza di cosa vive il nostro Paese e di come guidarlo dentro le transizioni. Dall’industria all’innovazione, al lavoro abbiamo schiere di “bla-bla-tori” che col battutificio e gli slogan pensano che si possa governare l’Italia”. Sul futuro dell’acciaieria, infine, Bentivogli vede o la strada verso la nazionalizzazione o l’amministrazione straordinaria. Mentre la proposta di chiudere l’ex Ilva è buona solo per i “benaltristi”.

COSA VOGLIONO I SINDACATI SULL’EX ILVA

Intanto, come detto, appuntamento a domani per il summit governo-sindacati. In una nota congiunta, Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil hanno scritto che il fallimento dell’8 gennaio conferma “la necessità di un controllo pubblico e la mancanza di volontà del socio privato di voler investire risorse sul futuro dell’ex Ilva. L’indisponibilità di Mittal, manifestata nell’incontro con il governo, è gravissima, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese. Nell’incontro di giovedì ci aspettiamo dal governo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale”.

Come scrive Angelo De Mattia oggi sul Messaggero, “ciò che decide in questi giorni sia coerente con la prospettiva che assume, con riferimento a tutte le problematiche che la questione presenta, in primis produttive, lavorative e ambientali”. Gli errori, i disastri, i ritardi, le promesse mancate: tutto questo non è mai tardato ad arrivare, a differenza delle soluzioni salvifiche per l’ex Ilva e chi vi lavora.

E allora “dovrebbe avere inizio la ricerca di nuovi soci”, scrive Mario Deaglio su La Stampa. “Naturalmente non li si troverà subito, né in Italia né all’estero ed è per questo che un intervento diretto dello Stato appare come assolutamente necessario. Quest’intervento, però, deve essere inteso come temporaneo e deve avvenire mediante appositi enti pubblici senza che si miri ad avere la totalità delle azioni, anzi con l’apertura, fin da subito, a soci privati”.

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