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ExxonMobil, Chevron, Eni, Shell e Total: ecco chi rischia con la pirateria

Con il prezzo del petrolio così basso, e la pandemia i Covid-19 la pirateria nell’emisfero occidentale e in Africa ha rinunciato al petrolio e preferiscono invece andare a caccia di altri tesori a bordo, oltre a prendere prigionieri e chiedere riscatti.

Il 2019 ha segnato un momento cruciale nella lotta contro la pirateria marittima globale. Secondo l’International Maritime Bureau (IMB), gli attacchi dei pirati a livello mondiale sono scesi a un minimo di 25 anni, con la pirateria su grandi navi di oltre 100GT (gross tonnage o stazza lorda) che sono scese a soli 41, più del 50% in meno rispetto alla media decennale di 95 casi. In particolare, zero casi sono stati registrati nel Golfo di Aden al largo delle coste somale, un tempo considerato il più letale hotspot di pirateria in tutto il pianeta.

CON IL COVID È RIPARTITA ANCHE LA PIRATERIA INTERNAZIONALE

Ma ora, la pandemia di Covid-19 e il boom dello stoccaggio di petrolio galleggiante minacciano di invertire questa tendenza. Secondo l’Accordo di cooperazione regionale per la lotta alla pirateria e alle rapine armate (ReCAAP), gli attacchi sono tornati nel Golfo del Messico, un importante centro di stoccaggio galleggiante dove i produttori di petrolio hanno ancorato le loro scorte in eccesso durante il coronavirus. I funzionari della sicurezza marittima hanno anche riferito che la pirateria in Asia è raddoppiata nella prima metà del 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

ALLARME SICUREZZA DA PARTE DEGLI USA

La pirateria tende a registrare una significativa ripresa durante i periodi di recessione economica, e la devastazione causata dalla pandemia di Covid-19 è in gran parte da attribuire alla rinascita di questa minaccia globale.
Gli attacchi dei pirati nel sud del Golfo del Messico sono aumentati durante il mese di aprile, che, tra l’altro, è stato il momento in cui i depositi galleggianti globali si sono riempiti fino all’orlo portando allo storico crollo del prezzo del petrolio. Gli attacchi qui si sono concentrati principalmente sulle navi che trasportavano carichi di petrolio, con i pirati che preferivano derubare gli equipaggi di denaro e sequestrare preziose attrezzature tecniche per la vendita al mercato nero invece di dirottare le navi. Gli attacchi sono proseguiti durante l’estate, spingendo il governo degli Stati Uniti a lanciare un allarme di sicurezza.

IL GOLFO DI GUINEA SI STA RIVELANDO IL PIÙ GRANDE HOTSPOT DI PIRATERIA DEL MONDO

Dall’altra parte del globo, il Golfo di Guinea al largo delle coste dell’Africa occidentale, si sta rivelando come il più grande hotspot di pirateria del mondo. Ciò che rende la pirateria al largo della costa dell’Africa Occidentale particolarmente eclatante è dovuto principalmente alla mancanza di attrezzature e di manodopera sufficienti, nonché al fatto che i pirati spesso mettono in scena attacchi al largo delle coste al di fuori delle giurisdizioni territoriali dei paesi. Il Golfo di Guinea è ben dotato di vaste ricchezze di petrolio e gas, nonché di una milizia relativamente ben addestrata che ha affinato le sue capacità combattendo nel movimento secessionista Delta.

I pirati del Golfo di Guinea non solo sono tra i più violenti, ma hanno anche adottato una tattica diversa: la caccia alle persone invece del classico dirottamento delle navi. Un mese fa, l’IMB ha riferito che 77 marittimi sono stati presi in ostaggio per il riscatto nel Golfo di Guinea da gennaio, mentre i dirottamenti di navi sono scesi al livello più basso dal 1993. Ad esempio, in aprile, i pirati hanno attaccato una nave galleggiante per lo stoccaggio e lo scarico della produzione (FPSO) con una capacità di 50.000 barili al giorno al largo della Nigeria e hanno rapito nove membri dell’equipaggio, lasciando intatto il carico di petrolio.

PREZZO DEL PETROLIO TROPPO BASSO, SI PREFERISCE IL SEQUESTRO DEI LAVORATORI E IL RISCATTO

Insomma, con il prezzo del petrolio così basso, i pirati nell’emisfero occidentale e in Africa hanno rinunciato al petrolio e preferiscono invece andare a caccia di altri tesori a bordo, oltre a prendere prigionieri e chiedere riscatti.

LE COMPAGNIE PIU’ A RISCHIO

Le maggiori compagnie petrolifere come ExxonMobil, Chevron, ENI, Shell e Total, con operazioni fuori dalla Guinea Equatoriale, dalla Nigeria e dal Gabon, sono ancora ad alto rischio nel subire interruzioni dovute alla pirateria nelle loro catene di approvvigionamento dell’Africa occidentale.

Anche l’Asia sta emergendo come un altro punto caldo della pirateria. Secondo l’IMB, gli attacchi sono diffusi in un’ampia fascia, dal Mar Cinese Meridionale alle coste dell’Indonesia, del Vietnam, dell’India, delle Filippine e del Bangladesh. La maggior parte degli attacchi, tuttavia, si concentra negli stretti di Singapore e di Malacca, grazie alla particolare topografia del mare. Le navi da carico che viaggiano lungo lo Stretto di Singapore rimangono particolarmente vulnerabili, considerando che il corpo d’acqua è largo solo 10 miglia e presenta numerose piccole isole con insediamenti umani bassi o inesistenti e zero presenza del governo, rendendole così dei perfetti nascondigli per i pirati.

PROSPETTIVE BRILLANTI

Nonostante la rinascita della pirateria globale, alimentata dalla pandemia, le prospettive a lungo termine rimangono brillanti. Le esperienze con il Golfo di Aden e altri ex punti caldi della pirateria dimostrano che, usando le tattiche giuste, la pirateria può essere eliminata o, almeno, ridotta al minimo.

Ad esempio, la rottura radicale con le tradizionali pratiche di navigazione e l’impiego di guardie armate su navi mercantili è stata in gran parte attribuita alla sconfitta della pirateria in Somalia.

Inoltre, il miglioramento della sorveglianza aerea e marittima attraverso iniziative di collaborazione come l’accordo “Eyes in the sky” tra Malesia, Indonesia, Tailandia e Singapore ha avuto successo.

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