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Gas, Africa e Cina. Il Taccuino estero di Energia Oltre

Alcuni dei principali dossier fra energia e geopolitica nel Taccuino estero di Marco Orioles per Energia Oltre

L’OFFENSIVA DELL’EGITTO NEL MEDITERRANEO ORIENTALE

LA firma il 22 settembre scorso della carta di fondazione dell’Eastern Mediterranean Gas Forum effettuata al Cairo dal ministro egiziano per il petrolio e le risorse minerarie Tarek el-Mulla insieme ai colleghi di sei paesi – Giordania, Cipro, Grecia, Israele, Italia e l’Autorità palestinese – segnerà assai probabilmente un cambio di passo nelle politiche energetiche dei paesi firmatari.

Con quella firma, infatti, prende vita una vera e propria organizzazione con sede nella capitale egiziana che, scrive al Monitor che ha raccontato e spiegato l’evento ai suoi lettori, ha lo scopo di formulare a livello internazionale “una visione comune sulle politiche del gas naturale nella regione, e di contrastare qualsiasi progetto che sia contrario agli obiettivi dell’organizzazione o in conflitto con gli interessi dei suoi membri”.

La mossa egiziana si pone dunque come uno sfacciato tentativo, scrive ancora al Monitor, di “formare una lobby internazionale capace di contrastare le azioni turche nel Mediterraneo orientale, e fermare quel che il Cairo descrive come la violazione dei suoi diritti economici e gli attacchi nel Mediterraneo da parte della Turchia”.

CON LA NASCITA DELL’EAST MEDITERRANEAN GAS FORUM PRENDE VITA UNA SORTA DI LOBBY INTERNAZIONALE CAPACE DI CONTRASTARE LE AZIONI TURCHE NEL MEDITERRANEO

ùNon a caso, lo stesso giorno della nascita del forum Ankara rispondeva con un comunicato in cui chiariva che intravedeva nella mossa dei firmatari un “passo unilaterale lontano da Ankara, che ha sempre chiesto la necessità di raggiungere una equa spartizione delle risorse naturali nella regione del Mediterraneo orientale”.

Anche il Brig. Gen. Samir Ragheb, capo della Arab Foundation for Development and Strategic Studies, è del parere che la trasformazione del forum in organizzazione sia un passo meditato per cambiare l’equazione di potere nel Mediterraneo Orientale e ridurre le aspirazioni di Ankara.

UN PASSO MEDITATO PER CAMBIARE L’EQUAZIONE DI POTERE NEL MEDITERRANEO ORIENTALE

Per questo motivo Ragheb si attende che l’organizzazione promuova una cooperazione tra i suoi membri non solo a livello politico, ma anche a livello militare, con l’organizzazione congiunta di esercitazioni navali nel Mediterraneo orientale volte per l’appunto a calmare i bollenti spiriti di Erdogan e impedirgli di seminare ancora il caos nella regione.

L’ORGANIZZAZIONE POTRA’ PROMUOVERE ESERCITAZIONI NAVALI CONGIUNTE

Egli è inoltre del parere che la presenza di osservatori dell’Unione Europea nell’organizzazione le conferisca maggiore forza rispetto a quanto avrebbe potuto averne rimanendo un semplice forum di discussione.

La conclusione di Ragheb è che Ankara ora dovrà rifare i suoi calcoli, e ritarare completamente le proprie aspirazioni.

E pensare che c’era stato un periodo, nel corso di quest’anno, in cui Ankara ha corteggiato l’Egitto per cercarne l’amicizia e seminare nel contempo il caos nel Mediterraneo orientale, senza arrivare al punto di stringere una vera e propria alleanza formale: fu una notevole evoluzione nella posizione della Turchia, che fino a quel momento non cessava di considerare quello di Al Sisi un governo di golpisti.

Il 13 gennaio scorso il consigliere capo di Erdogan, Yain Aktay, aveva auspicato pubblicamente che i due paesi cooperassero tra loro. E l’11 giugno parlando alla NTV, il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu dichiarò di auspicare il ripristino di normali relazioni turco-egiziano attraverso il dialogo e la cooperazione.

Ma questi appelli sono tutti caduti nel vuoto, e ora Ankara si trova da sola a fronteggiare una potente coalizione di potenze che tenterà il tutto per tutto per recuperare le posizioni perdute e tenerne Ankara alla larga.

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RINVIATA LA NASCITA DELL’ECO

Il Covid-19, ci fa sapere la BBC, ha costretto le otto nazioni africane che adottano come valuta comune il franco CFA a rinviare di almeno cinque anni la riforma della stessa valuta, che avrebbe dovuto adottare il nuovo nome di “eco”.

RINVIATA DI ALMENO CINQUE ANNI LA NASCITA DELL’ECO CAUSA PANDEMIA

È stato il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara ad annunciare la novità, legandola alle conseguenze della pandemia.

Viene dunque rinviata una riforma che era stata concordata alla fine del 2019 durante una lunga assise ad Abuja alla presenza del presidente francese Emmanuel Macron.

LA VALUTA AVREBBE DOVUTO ESSERE RIFORMATA SECONDO UN PIANO CONCORDATO CON LA FRANCIA

Dopo Abuja, avrebbe dovuto vedere luce l’eco, una valuta che– secondo gli accordi presi nella capitale nigeriana – continuerà ad essere ancorata all’euro. Ma per i paesi che lo adottano – ecco la novità più rilevante della riforma – non sarà più necessario detenere almeno il 50% delle sue riserve nelle casse del Tesoro francese, né sarà più indispensabile la presenza di un rappresentante di Parigi nel board che la amministra.

Ma questo ambizioso piano è stato affossato come tanti altri dalla pandemia, che ha costretto gli otto paesi della comunità del CFA a concordare nuovi parametri finanziari prima di poter far debuttare l’eco.

Le nazioni del blocco hanno concordato in particolare di attendere che i loro deficit scendano sotto il valore del 3%, un obiettivo alquanto remoto visti i tassi di crescita previsti del Pil attesi per quest’anno (-3% secondo il FMI).

ADESSO BISOGNA ATTENDERE IL TEMPO (LUNGO) IN CUI TUTTI GLI OTTO MENBRI ABBIANO UN DEFICIT INFERIORE DEL 3%

Ecco perché per il presidente ivoriano l’attesa per la nuova valuta dovrà prolungarsi di tre o forse di cinque anni.

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PECHINO INDIETRO NEGLI ACQUISTI CONCORDATI NELL’ACCORDO COMMERCIALE

A che punto è la cosiddetta “fase” 1 dell’accordo commerciale concordato lo scorso gennaio da Usa e Cina?

Il South China Morning Post ha controllato I dati delle dogane per scoprire che la Cina, almeno fino a questo momento, è assai indietro rispetto alla promessa di acquistare 200 miliardi di dollarI di merci americane in più rispetto ai livelli del 2017.

“Con due terzi dell’anno ormai passati”, è il commento di Chad Bown, ecoNomista al Peterson Institute for International Economics, “la Cina ha acquistato meno di un terzo delle esportazioni Usa che si erano impegnati con Donald Trump ad acquistare sotto la storica fase uno dell’accordo”.

LA CINA HA ACQUISTATO MENO DI UN TERZO DELLE MERCI CONCORDATE NELL’ACCORDO COMMERCIALE

Le importazioni complessive sarebbero aumentate solo del 25% rispetto a giugno. Questo nonostante la Cina abbia fatto ad agosto incetta di beni come mais (+513 ad agosto comparato a giugno), di soia (+432) e di automobili (+97%) e di carne di maiale ( 134%) .Gli acquisti di soia sono continuati a ritmo sostenuto anche nel mese di settembre.

NON HANNO INFLUITO GLI AUMENTI RECORD NEL MESE DI AGOSTO DELLE VENDITE DI MAIS, SOIA, CARNE DI MAIALE E AUTOMOBILI

In termini di volumi complessivi, Pechino ha acquistato dagli Usa nel corso dell’anno appena il 15% dell’ammontare dell’anno scorso e gli acquisti

Questo significa che la Cina difficilmente centrerà gli obiettivi concordati con Washington a gennaio.

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