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Von der Leyen: Transizione giusta e neutra, Salva casa senza efficientamento, Orsini: Piano oltre 2026. Che c’è sui giornali

Von der Leyen: “Green deal giusto e tecnologicamente neutro”, Salva Casa al voto di fiducia senza efficientamento energetico, Orsini: “Serve piano incentivi a investimenti oltre Pnrr”. La rassegna stampa Energia

Serve una transizione verde giusta e tecnologicamente aperta. È il messaggio lanciato da Ursula Von der Leyen nel corso di un incontro con i conservatori di Ecr. Un messaggio importante in piena campagna elettorale. Il decreto Salva Casa, fortemente voluto dal ministro Salvini, sembra ormai a un passo. Oggi ci sarà il voto fiducia sul testo, che esclude dalla sanatoria per le difformità gli interventi di efficienza energetica e la rimozione delle barriere architettoniche. Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, chiede “un piano di incentivi agli investimenti che vada oltre il Pnrr e quindi oltre il 2026”, “la conferma del taglio al cuneo fiscale per il 2025 e il ripristino dell’Ace” per aiutare la crescita delle imprese. No a singoli bonus a tempo e piccoli contributi a pioggia perché non servono, secondo il numero 1 dell’associazione degli industriali.

ENERGIA, VON DER LEYEN: “GREEN DEAL GIUSTO E TECNOLOGICAMENTE APERTO”

“La transizione verde deve essere «giusta», ma anche «tecnologicamente aperta», ancor meglio «pragmatica». Nel lungo incontro di martedì con i conservatori di Ecr, Ursula von der Leyen ha dovuto discettare a lungo di Green Deal. E non perché è una delle settimane di caldo anomalo peggiori dell’anno. Oggi davanti ai deputati di Strasburgo dovrà dare fondo alla sua storia democristiana per convincere i deputati. Di tutti i temi in agenda, è il più divisivo che c’è, fra Paesi e all’interno della maggioranza che la voterà. Se ne è avuto un assaggio nella campagna elettorale per le Europee. Bastino qui due citazioni del manifesto popolare e degli ecologisti: «Per noi il Green Deal non è una nuova ideologia, ma il segno distintivo dell’Europa più prospera, innovativa, competitiva e sostenibile che immaginiamo». E viceversa: «Giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia». I primi non intendono rivedere l’obiettivo di emissioni zero di carbonfossile nel 2050, i secondi chiedono di anticiparla al 2040. (…) Angelo Bonelli, che a nome della delegazione italiana aveva aperto al sì a von der Leyen, nelle ultime ore si è fatto dubbioso: «Non posso parlare a nome di tutti e 53 i deputati del mio gruppo, ma quando leggo il concetto di neutralità tecnologica mi allarmo. Quelle sono le parole d’ordine della destra». (…) l’anno scorso la direttiva che promette di imporre lo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035 ha avuto il no dell’Italia della Meloni e il ni della Germania del socialdemocratico Olaf Scholz. Quest’anno, dopo la tragica esperienza dei superbonus edilizi, l’Italia ha votato no anche alla direttiva sulle case green”, si legge su La Stampa.

“Il tema (costi) è terribilmente complicato, perché non basta dire sì o no alla decarbonizzazione. C’è da fare i conti con le contraddizioni dell’agricoltura sostenibile (un costo per i piccoli produttori), del nucleare (altro tema che divide la maggioranza von der Leyen), di quanta burocrazia accettare per raggiungere gli obiettivi. La transizione verde ha dei costi, e senza una strategia rischia di danneggiare la stessa economia dell’Unione a vantaggio di Cina e Stati Uniti. Diceva lo scorso aprile Mario Draghi, che da settimane lavora a un rapporto sulla competitività dell’Unione la cui presentazione è rinviata (non a caso) a settembre: «Pechino internalizza la catena di approvvigionamento di tecnologie verdi», Washington porta avanti «una politica industriale protezionistica per attrarre capacità manifatturiere nazionali, compresa quella delle aziende europee». In mezzo c’è l’Europa, con Ventisette mercati e una politica industriale comune a dir poco inefficace. Il risultato è in una stima fatta della Commissione europea sul costo di un pannello solare: produrlo in Cina costa tra i 16 e 18,9 centesimi per watt di capacità produttiva, negli Stati Uniti 28, in Europa fra i 24 e i 30, dipende da dove li si produce. Discorso simile lo si potrebbe fare per il mercato delle auto elettriche: le città europee sono sempre più abitate da colonnine per le ricariche, peccato che il mercato delle batterie è sempre più made in China. Risultato: da dieci giorni l’Unione è stata costretta a introdurre dazi fra il 17 e il 37 per cento sulle importazioni di auto da Pechino”, si legge su La Stampa.

“(…) «Se l’Europa avesse una vero mercato unico dei capitali ci sarebbero 470 miliardi aggiuntivi all’anno per le aziende europee». Il secondo: un po’ di inevitabile autarchia. «Meno importiamo, più produciamo in Europa, più saremo in grado di fornire energia a prezzi più bassi a beneficio ella competitività delle imprese europee». E terzo: meno burocrazia, contro la quale Von der Leyen ha promesso una delega ad hoc nella nuova Commissione. «Le aziende che hanno già effettuato investimenti chiedono è continuità e prevedibilità»”, continua il giornale.

SALVA CASA, OK VICINO

“Efficienza energetica e rimozione delle barriere architettoniche restano fuori dai radar della sanatoria per le difformità. La legge di conversione del decreto Salva casa (Dl n. 69/2024, relatori: Dario Iaia, Fratelli d’Italia, ed Erica Mazzetti, Forza Italia) riduce di molto il perimetro degli interventi di adeguamento che i Comuni potranno chiedere ai cittadini per regolarizzare le opere difformi, limitandolo ai soli lavori finalizzati alla sicurezza. Dopo lo sprint di martedì mattina, quando il testo è stato licenziato dalla commissione Ambiente della Camera, ieri il provvedimento (che scade il 28 luglio e deve ancora passare in Senato) è approdato in Aula per la discussione generale e, nel pomeriggio, come previsto, è stato blindato con la questione di fiducia dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Il voto di fiducia ci sarà oggi, prima del voto finale sul testo uscito dalla commissione”, si legge su Il Sole 24 Ore.

“(…) Comprenderà novità di grande peso, come l’allargamento del perimetro della sanatoria, prevista finora per le sole difformità parziali; viene ampliata anche alle variazioni essenziali, difformità piuttosto pesanti, che possono includere gli aumenti di cubatura non autorizzati. Diventano, poi, sanabili le varianti ante 1977. (…) potranno essere dichiarati agibili, sulla base di un’attestazione di un professionista, gli immobili con altezze non superiori a 2,40 metri (oggi il minimo è 2,70 metri) e superfici non superiori a 20 metri quadri, in caso di monolocali (oggi il minimo è 28 metri), e non superiori a 28 metri quadri per i bilocali (oggi il minimo è 38). Resta, però, fuori l’atteso emendamento Salva Milano (si veda l’altro articolo in pagina), rinviato a prossimi veicoli normativi.(…) l’amministrazione può richiedere che, in sede di Scia in sanatoria, il proprietario metta tutto in ordine”, continua il giornale.

“Il decreto contiene l’elenco dei lavori che possono essere richiesti. Si trattava, nella prima versione, «di interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, al superamento delle barriere architettoniche», oltre alla rimozione «delle opere che non possono essere sanate». (…) Già in sede di audizioni, però, era emerso da più parti un problema: questa norma, giudicata molto opportuna perché consente ai cittadini di adeguare i loro immobili in corsa durante la sanatoria, poteva generare costi altissimi per i cittadini. Anche perché questi costi andavano sommati a quelli delle sanzioni. Così, la maggioranza ha iniziato a ragionare su quali interventi fossero sacrificabili. E, negli emendamenti votati martedì, ha emesso il suo verdetto, stralciando il riferimento a «igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati», oltre al superamento delle barriere architettoniche. (…)”, continua il giornale.

ENERGIA, ORSINI (CONFINDUSTRIA): “SERVONO MISURE OLTRE PNRR”

“Emanuele orsini guida Confindustria dal 23 maggio scorso. Fin da subito ha mostrato la sua cifra, fatta di pragmatismo, dialogo e politica dei piccoli passi. Lo incontriamo su zoom, collegato dalla sua azienda di Modena. Questa è la sua prima intervista. (…) «Come noto veniamo da una frenata della crescita industriale iniziata a fine 2022 e ne stiamo subendo ancora i contraccolpi. Tuttavia, le previsioni Istat che vedono una crescita dell’1% corrispondono alle elaborazioni del nostro centro studi e ci dicono che è un obiettivo alla portata». (…) «Direi un otto, nonostante le numerose complessità. Secondo i dati Ice, con 626 miliardi l’anno siamo diventati il quinto Paese al mondo per export manifatturiero dopo Cina, Usa, Germania e Giappone. L’obiettivo è superare il Giappone, oggi a quota 663 miliardi. Ed è un obiettivo realistico». (…) «Oggi paghiamo l’energia il doppio del prezzo medio dei competitor. L’industria italiana paga mediamente il doppio degli altri Paesi europei. A maggio abbiamo addirittura raggiunto il picco pagando il megawattora 86 euro contro i 13 euro della Spagna. Serve un costo unico europeo dell’energia»”, si legge su Il Corriere della Sera.

“(…) Siamo tutti più forti se inseriti in un’Europa nell’insieme più competitiva. Ho affrontato questa questione con Medef, la Confindustria francese, e ho trovato più aperture di quanto mi aspettassi». Tre misure che Confindustria spera siano presenti nella manovra di bilancio. «Un piano di incentivi agli investimenti che vada oltre il Pnrr e quindi oltre il 2026: le imprese hanno bisogno di orizzonti di medio periodo. La conferma del taglio al cuneo fiscale per il 2025. Il ripristino dell’Ace, misura che favorisce la crescita patrimoniale delle imprese» (…) Che cosa invece spera di non trovare. «Singoli bonus a tempo e piccoli contributi a pioggia, non servono».”, continua il giornale.

“(…) Le misure a sostegno degli investimenti sono indispensabili per sostenere la crescita. L’unica via per finanziarle è riconfigurare la spesa pubblica e dirottare le risorse verso i settori che generano più crescita. In questo senso, una riorganizzazione delle tax expenditures sarebbe sensata. Da parte nostra ci impegneremo a presentare proposte a costo zero». (…) Prendiamo la normativa della 231: un onere burocratico enorme per le aziende, che si sentono sempre a rischio (anche per un cavillo) di vedere la propria attività commissariata e dunque bloccata prima di essere giudicata. La 231 è pensata per essere applicata indifferentemente ad aziende che fatturano da 2 milioni a diversi miliardi. Dobbiamo usare il sistema simile a quello delle white list come in Emilia-Romagna dopo il terremoto. Liste di aziende in regola di cui si fa garante la prefettura. La certezza del diritto è fondamentale». (…) «Non troviamo le persone da assumere, inoltre l’offerta formativa non tiene conto delle esigenze del sistema produttivo. Confindustria ha avviato un monitoraggio dei profili professionali necessari alle nostre imprese per poterne dare una rappresentazione precisa e per orientare la didattica». (…) «Dobbiamo formare le persone direttamente nel loro Paese: Confindustria Alto Adriatico ha già attivato un’esperienza di questo tipo. Dobbiamo anche dare un’abitazione a un costo sostenibile a queste persone, oltre che ai lavoratori italiani che si spostano da una città all’altra. Altrimenti, l’Italia resterà un Paese di transito. Per questo serve un “piano casa” finanziato con capitali pazienti, il cui rientro dell’investimento non sia inferiore a 30 anni»”, continua il giornale.

“(…) Stellantis produrrà un milione di veicoli in Italia? «Stellantis ha preso questo impegno con il governo e non ho motivo per dubitarne. Nello stesso tempo vediamo con favore l’interesse di nuovi player automobilistici per il nostro Paese, purché non siano meri assemblatori e siano impegnati ad avere la maggior parte della componentistica di produzione italiana». Più volte negli ultimi anni si è parlato della necessità di un “patto per il lavoro” ma il confronto non è mai partito. «I cambiamenti innescati dalle innovazioni nel sistema produttivo, a partire dall’AI, renderanno necessaria una nuova fase di contrattazione a vari livelli. Confindustria e sindacati devono tornare a confrontarsi. Ripartiamo dal Patto della fabbrica del 2018. E ripartiamo dalla sicurezza sul lavoro. Conto di incontrare presto i tre sindacati». (…) «I contratti firmati da associazioni non rappresentative non dovrebbero avere agibilità. Il dumping contrattuale è una forma di concorrenza sleale». «La produzione di acciaio è strategica per il nostro Paese. Si sono fatti avanti grandi gruppi internazionali, ma anche italiani. Sempre tornando alla certezza del diritto occorre mettere dei paletti chiari per evitare che anche i nuovi investitori si trovino, appena arrivati, indagati per reati ambientali». (…) Bene l’arrivo di nuovi player dell’automotive, purché non siano meri assemblatori e si servano della componentistica di produzione italiana”, si legge sul quotidiano.

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