I governi di tutto il mondo stanno sovvenzionando i combustibili fossili per proteggere i consumatori mantenendo bassi i prezzi. Secondo l’AIE, i Paesi che spendono di più in questo senso sono Russia, Iran, Cina e Arabia Saudita
I governi di tutto il mondo stanno investendo miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili per proteggere i cittadini dai costi energetici più elevati, ma ciò comporta un onere fiscale, crea inefficienze e ostacola l’obiettivo di ridurre l’uso complessivo. Alla COP29 di Baku, sono in corso delle discussioni sulla riduzione delle distorsioni e delle inefficienze create dai sussidi, una chiave per ridurre la produzione e l’uso dei combustibili fossili, che contribuiscono in modo significativo al cambiamento climatico e all’inquinamento.
LA SPESA DEI PAESI PER I COMBUSTIBILI FOSSILI
L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha calcolato che i sussidi al consumo di combustibili fossili nel 2023 ammontavano a 620 miliardi di dollari. Si tratta di un netto calo rispetto alla cifra record di oltre 1,2 trilioni di dollari del 2022, l’anno in cui i prezzi dell’energia sono saliti vertiginosamente in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, che ha visto i sussidi superare per la prima volta la soglia dei trilioni di dollari.
In generale, i sussidi sono ampiamente suddivisi tra elettricità, petrolio e gas, che rappresentano un terzo ciascuno, e il carbone riceve solo un supporto minimo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i cui ultimi calcoli sono disponibili solo per l’anno 2022, i sussidi espliciti – ovvero il denaro speso dai governi per addebitare meno costi di fornitura – ammontano a 1,26 trilioni di dollari. Ciò, però, rappresenta solo circa un quinto dell’importo totale, che il FMI stima in 7 trilioni di dollari nel 2022, pari al 7,1% del PIL globale se si considera la somma dell’addebito meno per i costi ambientali e delle entrate fiscali perse.
PERCHÉ I GOVERNI SOVVENZIONANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I governi di tutto il mondo stanno sovvenzionando i combustibili fossili per proteggere i consumatori mantenendo bassi i prezzi. Secondo l’AIE, i Paesi che spendono di più in questo senso sono Russia, Iran, Cina e Arabia Saudita; Paesi che, in linea di massima, possono permettersi questi costi. Gran parte di quella spesa pubblica è presente, però, anche nei mercati emergenti più poveri, dove l’energia spesso costituisce una quota maggiore del paniere dell’inflazione e le oscillazioni dei prezzi colpiscono più duramente i meno abbienti.
I governi indebitati – molti dei quali esportatori di petrolio, che cercano di eliminare i costosi sussidi per i carburanti – si stanno scontrando con le popolazioni arrabbiate, sconvolte da anni di aumento del costo della vita. Diversi Paesi, dalla Nigeria all’Angola, hanno lottato per abolire i sussidi e hanno visto scoppiare proteste mortali negli ultimi anni, spesso innescate dall’aumento dei prezzi del carburante.
L’IMPEGNO DEI PAESI PER RIMUOVERE I SUSSIDI AI FOSSILI
Secondo l’AIE e il FMI, l’eliminazione di sussidi inefficienti ai combustibili fossili potrebbe avere un impatto positivo sui mercati energetici, sui bilanci governativi e sugli sforzi per affrontare il cambiamento climatico. La Coalizione dei ministri delle Finanze per l’Azione per il Clima – che annovera tra i suoi membri i decisori politici di oltre 90 Paesi – ha affermato che stabilire il prezzo corretto dei prodotti a base di combustibili fossili è fondamentale per soddisfare gli obiettivi dei contributi determinati a livello nazionale (NDC) dei Paesi e raggiungere gli obiettivi globali sul cambiamento climatico stabiliti nell’accordo di Parigi.
TRA I PROGRESSI RAGGIUNTI, L’EU EMISSIONS TRADING SCHEME
Nel 2009, il G20 ha chiesto un’eliminazione graduale dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili nel medio termine e ha ripetuto tale richiesta nel 2012. Alla COP26 del 2021 e alla COP27 del 2022, i Paesi hanno concordato di accelerare gli sforzi per l’eliminazione graduale dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili.
Ci sono stati alcuni progressi, ma non quanto molti decisori politici speravano. Gli analisti sottolineano i successi come l’EU Emissions Trading Scheme, che obbliga le centrali elettriche e le fonti industriali a pagare per le emissioni di carbonio, e che nel 2022 ha visto dei prezzi leggermente superiori a un prezzo del carbonio coerente con l’obiettivo di riscaldamento. A livello nazionale, alcuni Paesi – come India e Marocco – hanno ridotto drasticamente o quasi abolito i sussidi ai combustibili fossili.
LEGAMBIENTE: NEL 2023 IN ITALIA SPESI 78,7 MLD DI EURO IN SUSSIDI AMBIENTALMENTE DANNOSI
Nel 2023 – nonostante il calo delle risorse dedicate all’emergenza energetica – il Paese ha speso 78,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (SAD) destinati ad attività, opere e progetti connessi, direttamente e indirettamente, alle fossili. Una somma pari al 3,8% del PIL nazionale. Una spesa, negli ultimi 13 anni, costata all’Italia 383,4 miliardi di euro. Tra i settori più interessati, al primo posto si conferma quello energetico: 43,3 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente della componente non emergenziale (da 8 a 10 miliardi di euro). Segue il settore dei trasporti (2,1 miliardi di euro), il settore edilizia (18 miliardi di euro, un aumento di un miliardo rispetto al 2022), quello agricolo (3,2 miliardi di euro) e canoni, concessioni e rifiuti (1,6 miliardi di euro).
A pesare sono in particolar modo i sussidi emergenziali: lo scorso anno sono stati elargiti 33 miliardi al settore energetico (per complessivi 50 interventi) e 374 milioni di euro al settore trasporti, per un totale di 84 miliardi in due anni che, se investiti per solo un quarto (20 miliardi) in rinnovabili, avrebbero portato a circa 13,3 GW di nuova potenza installata e una produzione di 30 TWh di energia pulita.
Questa la fotografia che Legambiente, mentre a Baku è in corso la COP29, ha scattato con il report “Stop sussidi ambientalmente dannosi”. Analizzando 119 voci di sussidi, l’associazione ambientalista stima che ben 25,9 miliardi di euro dei 78,7 spesi nel 2023 possono essere eliminati e rimodulati entro il 2030; lanciando l’appello al governo Meloni di sfruttare l’occasione della Legge di Bilancio 2025 per intervenire subito almeno sui sussidi eliminabili subito, come quelli legati alle trivellazioni, il Capacity Market e alle caldaie a gas.