L’Osservatorio H2IT ha calcolato che il 65% delle aziende ha chiuso il 2022 con una crescita degli investimenti. Il 70% di questi sono finanziati attraverso fondi propri, mentre il 22% è coperto da quelli europei, nazionali o regionali
Il Regno Unito è rimasto indietro rispetto ad altre economie leader nel sostenere lo sviluppo di un’industria dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio. È quanto hanno avvertito l’Energy Networks Association e l’Hydrogen UK, che hanno esortato il governo a “riprendere lo slancio” dopo essere sceso dal secondo posto di 2 anni fa, dietro solo alla Corea del Sud, all’ottavo.
LA POSIZIONE DEL REGNO UNITO NELL’INDUSTRIA DELL’IDROGENO
Secondo i due organismi britannici, “sebbene siano stati compiuti alcuni progressi, Stati Uniti, Germania, Giappone, Canada, Olanda e Francia hanno tutti scavalcato il Regno Unito, in un momento in cui la concorrenza per attrarre investimenti internazionali nelle infrastrutture energetiche è aumentata drammaticamente”.
Secondo il rapporto di Energy Networks Association e Hydrogen UK, la Corea del Sud ha mantenuto il primo posto. Il report congiunto ha confrontato le politiche per lo sviluppo dell’idrogeno pulito nel Regno Unito con quelle di 16 Paesi, tra cui India e Arabia Saudita. Nessun progetto significativo per la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio nel Regno Unito ha ancora raggiunto una decisione finale di investimento, nonostante il governo abbia fissato un obiettivo di 10 GW di capacità produttiva entro il 2030.
IL PARERE DEL COMITATO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI E LA REPLICA DEL GOVERNO BRITANNICO
Lo scorso giugno il Comitato sui cambiamenti climatici ha affermato che il Regno Unito stava facendo progressi “preoccupantemente lenti” e che aveva “perso la sua leadership globale” sulla strada per raggiungere il suo obiettivo net zero entro il 2050.
Il rapporto ha esaminato parametri come il sostegno finanziario ai produttori e lo sviluppo di infrastrutture per il trasporto e lo stoccaggio dell’idrogeno, e ha evidenziato crediti d’imposta fino a 3 dollari al kg disponibili per i produttori di idrogeno pulito negli Stati Uniti, una delle misure introdotte dall’Inflation Reduction Act del presidente Joe Biden. “La certezza e la semplicità di questo meccanismo di finanziamento è in netto contrasto con i contratti, le competizioni e i cicli di assegnazione fortemente negoziati del Regno Unito”, si legge nello studio.
Il governo britannico ha detto di essere “impegnato a promuovere l’idrogeno come passo importante verso il raggiungimento dei nostri obiettivi net zero” e che le nuove misure nella legge energetica, che sta seguendo il suo iter in parlamento, “forniranno agli investitori la fiducia necessaria per investire nel settore dell’idrogeno, con il potenziale di creare oltre 12.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030”.
L’INDUSTRIA DELL’IDROGENO IN ITALIA
L’Italia è il quinto Paese europeo per consumo di idrogeno e ne utilizza 0,6 milioni di tonnellate, con oltre il 70% della domanda che proviene dal settore della raffinazione. Per Andrea Bombardi, vice presidente di Rina – multinazionale attiva nei settori energia, mobilità, infrastrutture e navigazione – “ci sono dei processi che utilizzano il gas come combustibile: è il caso delle industrie che hanno bisogno di creare uno shock termico, come quelle dell’acciaio, del vetro e della ceramica. Oggi l’elettrico non consente di ottenere questo rapido aumento della temperatura quindi, se si vuole sostituire il gas con un altro combustibile, o si utilizza il gas catturando la CO2 oppure l’idrogeno a zero emissioni”.
IL TEMA DELLA MOBILITÀ
Per quanto riguarda invece la questione della mobilità, Bombardi ha spiegato che “in Italia abbiamo 5.500 km di linee ferroviarie non elettrificate, su cui viaggiano treni diesel. Elettrificarle costerebbe molto, mentre sostituire i treni Diesel con treni a idrogeno non richiederebbe alcun intervento aggiuntivo sulle infrastrutture già esistenti, oltre a garantire prestazioni interessanti”.
L’idrogeno a zero emissioni potrebbe essere impiegato anche per decarbonizzare il trasporto aereo e marittimo: “su un volo a corto raggio si può fare, ma su un volo intercontinentale oggi non sarebbe possibile, perché l’idrogeno ha una densità volumetrica molto bassa rispetto ai combustibili fossili, quindi bisognerebbe stoccarne una quantità molto importante a bordo di un aereo o una nave che deve fare un lungo tragitto. Bisogna pensare poi alle infrastrutture, dal momento che una nave a idrogeno dovrebbe trovare una stazione di rifornimento in ogni porto, cosa che oggi non è possibile”.
GLI INVESTIMENTI NEL’IDROGENO E LA NECESSITÀ DI UNA STRATEGIA NAZIONALE
L’Osservatorio H2IT, analizzando le imprese associate a lui associate – che rappresentano tutta la catena del valore dell’idrogeno dalla produzione fino agli usi finali – ha calcolato che il 65% delle aziende ha chiuso il 2022 con una crescita degli investimenti. Il 70% di questi sono finanziati attraverso fondi propri, mentre il 22% è coperto da quelli europei, nazionali o regionali.
Gli investimenti delle aziende in molti casi si traducono in innovazioni e brevetti: negli ultimi 5 anni, oltre 1 azienda su 3 (36%) ha ottenuto almeno un brevetto o è in procinto di farlo, e la percentuale sale all’85% tra chi si occupa di produzione. In termini di fatturato, lo scorso anno si è chiuso con il segno positivo per il 71% delle imprese, il 58% delle quali ha incrementato il giro d’affari dell’attività dedicata all’idrogeno.
Oltre la metà (56%) ha partecipato a bandi europei, ottenendo finanziamenti nel 65% dei casi. Quelli più partecipati sono stati i bandi Horizon Europe, FCH JU e Clean Hydrogen partnership. A livello nazionale, invece, il 51% ha partecipato ai bandi del PNRR, mentre il 33% è coinvolto nell’iniziativa Ipcei.
Ciononostante, uno studio della Community Idrogeno di The European House-Ambrosetti ha mostrato che i progetti di produzione avviati al momento sono solo 13, molto inferiori ad altri Paesi Europei e 15 volte meno della Germania. Per The European House-Ambrosetti, in Italia serve una strategia nazionale sull’idrogeno che promuova il principio della neutralità tecnologica e favorisca i rapporti tra filiere e istituzioni, incentivi l’uso dell’idrogeno, consentendo così la nascita di filiere tecnologiche nel nostro Paese.