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Italia prima in IA e automotive, le fake news ambientaliste, materie prime a rischio. Che c’è sui giornali

Italia prima in IA e automotive, le fake news ambientaliste si diffondono, materie prime in equilibrio precario. La rassegna Energia

L’Italia eccelle in Intelligenza Artificiale e Automotive, ma spesso mancano le competenze. È quanto emerge dallo studio “EY Italy AI Barometer”. Le fake news si diffondono sempre più nella cultura ambientalista, scrive il Foglio, sfatando i miti sul tasso di mortalità per caldo e sul numero di alberi piantati. Gli approvvigionamenti di materie prime sono a rischio. La ragione principale è che la Russia pesa ancora molto nel mix energetico europeo e italiano. In particolare, la quota di Gas naturale liquefatto (Gnl) rappresenta oltre il 16% delle importazioni europee. L’alternativa è consegnarsi a Paesi politicamente instabili, scrive il Corriere della Sera. La rassegna Energia.

ENERGIA, ITALIA ECCELLE IN AI E AUTOMOTIVE

“Italia promossa in intelligenza artificiale. Anzi, in certi settori fa meglio addirittura di Francia e Germania. Le buone notizie, però, finiscono quando si parla di competenze, su cui non si investe abbastanza. A indagare sulla situazione è la prima edizione dello studio «EY Italy AI Barometer» realizzato da EY, che ha coinvolto oltre 4.700 manager di 9 Paesi europei, inclusi 528 professionisti di imprese italiane di diversi settori. La ricerca ha analizzato le aspettative per i prossimi 12 mesi e l’utilizzo che oggi viene fatto dell’intelligenza artificiale nel mondo del business. Subito alcuni numeri: l’Ai è tra le priorità di investimento del prossimo anno per un’azienda su 3; i settori energetico, finanziario e media/telecomunicazioni sono avanti nell’adozione dell’Ai, con il 52% degli intervistati che si sente preparato per un’implementazione corretta, al contrario del settore pubblico in cui prevale una incertezza sulle competenze; per quasi il 58% dei manager l’uso dell’intelligenza artificiale ha già prodotto un aumento dei profitti e un risparmio sui costi; il 76% delle persone coinvolte nella survey assicura di aver utilizzato questa tecnologia (il 43% soprattutto nella vita privata il 12% al lavoro e il 20% per entrambi gli scopi)”, si legge su Il Corriere della Sera Economia.

“A spiegare le virtù nazionali nel mondo dell’intelligenza artificiale è Giuseppe Santonato, Ai transformation leader di EY Italia: «Il nostro Paese vanta settori in cui eccelle, come l’automotive avanzata — mi riferisco a imprese che producono in particolare auto di lusso — ma anche altri distretti, come quello medicale, che ne fanno uso già da tempo. Lo stesso accade per le principali società energetiche del Paese, per cui l’Ai è molto importante dovendo gestire miliardi di dati»”, continua il giornale.

“A renderci forti su questo fronte è anche l’eccellenza dimostrata dai nostri ricercatori, merito soprattutto, come sottolinea Santonato «di poli come l’università Sant’Anna di Pisa, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università della Calabria e tutta l’area del Gran Sasso. Questo ci ha permesso di posizionarci alle spalle della Spagna, che ha un traino importante nelle telecomunicazioni e nell’hotellerie, ambiti che richiedono lo sviluppo di soluzioni avanzate; e della Svizzera spinta dai settori bancario e farmaceutico. Inoltre, in Italia la dirigenza della pubblica amministrazione spinge sull’utilizzo dell’Ai per garantire servizi migliori ai cittadini. (…) Tanti esempi di virtù a cui però non corrisponde ancora un’adeguata formazione professionale. «L’Ai richiede una continua verifica di quello che si sviluppa — afferma Santonato —. Bisogna saper interagire e questo sta enfatizzando la necessità di migliorare le capacità informatiche e di governo dei processi, influenzando in maniera totale la catena del valore”, continua il giornale.

ENERGIA, LE FAKE NEWS

“Mai rimpiangere, mai lamentarsi” potrebbe essere un buono slogan per una visione costruttiva del futuro del mondo. Soprattutto per una visione utile e non inutilmente distruttiva. In ogni caso l’esatto contrario della cultura che anima quell’insieme di pensieri e di credenze da cui è ormai costituita buona parte del pensiero ambientalista e non solo in Italia. Le grandi leve che ne formano l’ossatura sono essenzialmente due. Una visione catastrofista del futuro: se non fate come diciamo noi le cose andranno sempre peggio e il mondo finirà. E il bello è che anche quando il mondo fa ciò che gli ambientalisti si aspettano e le cose migliorano questa visione non viene mai meno. Perché, e questa è la seconda leva, hanno bisogno di produrre emozioni negative, che sono la vera leva del consenso. La paura e le cattive notizie sono due argomenti potenti. Le buone notizie, le cose che cambiano migliorando paradossalmente interessano a pochi. Anzi, diciamo meglio, sono date per scontate, acquisite e mai più da mettere in discussione. Alcune associazioni ambientaliste, Greenpeace su tutte, al di là delle apparenze e dei buoni sentimenti che spargono a piene mani, sono in realtà agenzie di comunicazione che fanno del marketing delle emozioni negative la loro ragione sociale. Grazie alle quali raccolgono fondi ingenti che servono fondamentalmente a mantenere in vita una struttura professionale che si auto seleziona. Democrazia associativa: zero”, si legge su Il Foglio.

“(…) viene nascosto il fatto che nonostante il cambiamento del clima stanno diminuendo gli incendi delle foreste (Vivek K. Arora e Joe R. Melton, “Reduction in global area burned and wildfire emissions since 1930s enhances carbon uptake by land”, pubblicato da Nature il 17 aprile 2018) o il fatto che la Grande barriera corallina dal 1986 non è mai stata così bella e pulsante di vita come nel 2024; (…) secondo la rivista Nature, una delle più serie nel settore scientifico, nel 2024 le barriere coralline hanno completamente recuperato le perdite degli anni precedenti e addirittura raggiunto la massima estensione”, continua il giornale.

Avrete allo stesso modo sicuramente letto di come tornadi, alluvioni, trombe d’aria aumentino di frequenza e producono danni sempre maggiori. Solo che non è vero. Secondo uno studio molto approfondito dell’Università cattolica di Lovanio i danni provocati da fenomeni atmosferici estremi sono in costante e drastica diminuzione se rapportati alla ricchezza complessiva. Il tasso di mortalità per milioni di persone è inferiore all’1 per cento e idem per i danni materiali in rapporto al pil totale. Unico dato che interessa perché in cifre assolute è evidente che un mondo popolato da otto miliardi di persone viene maggiormente danneggiato in caso di eventi calamitosi di un modo assai meno popolato. E perché questo avviene? Perché la crescita della ricchezza produce un ambiente più resiliente, siamo molto più in grado di prevenire e di proteggerci, abbiamo edifici meglio costruiti e misure di. protezione molto più efficaci.

“Oppure, per venire a casa nostra, i comitati sedicenti ambientalisti indicano nella nave rigassificatrice Italis Lng ormeggiata in porto a Piombino la causa del crollo dei traffici navali, che invece aumentano e nel primo semestre dell’anno la movimentazione complessiva del porto è cresciuta del 52,2 per cento. O della pelle irritata di alcuni bagnanti, ma no, non era la nave bensì la Pelagia noctiluca: meduse portate dalla corrente. (…) Non è vero che l’aria è sempre più irrespirabile. E’ vero esattamente il contrario: l’aria che respiriamo è sempre più pulita. L’aria delle città italiane nel 2024 è migliore dell’aria del 2023 che è migliore dell’aria del 2022 e così via. Il 2023 per le regioni dell’Alta Italia è stato l’anno più balsamico di sempre. Da decenni le centraline di rilevamento segnano che lo smog è in calo nelle grandi pianure padano-venete, ogni anno sempre meglio. Non ha avuto effetto la paralisi virale 2020 del traffico, quando naso all’aria molti asserivano che, “vedi? senza traffico l’aria è più pulita”. Invece poi il traffico ha ripreso ad accelerare furibondo sulle strade e al contrario lo smog invece di risalire è sceso ancora di più. Sono sempre più rarefatti l’ossido di azoto (NO2) e le polveri fini (Pm10) e finissime (Pm2,5) che aleggiano in microgrammi in ogni metro cubo d’aria. (…) l’anno scorso è stato (parola all’Arpa Lombardia) “l’anno migliore da quando si è avviata la misura della qualità dell’aria”. Da Bologna assevera l’Arpa: “I valori medi annuali delle polveri, Pm10 e Pm2,5, risultano ampiamente entro i limiti di legge”. E così in Veneto, Marche, Toscana eccetera. (…) Si muore molto di più di freddo che di caldo. Il riscaldamento climatico risparmia vite, salva molte più persone di quante non ne uccida. Come ogni estate, nelle scorse settimane sono state pubblicate stime ipotetiche di quante vittime abbia prodotto il caldo. D’obbligo il tono asseverativo: “In Europa più di 47 mila morti per il caldo”, e “l’Italia con 12.743 morti è il paese con più decessi”. Già nel 2022 erano stati attribuiti in Europa 60 mila morti per colpa del caldo. Però il freddo uccide 30 volte di più del caldo. (…) lo studio di Qi Zhao, Yuming Guo, Tingting Ye, Antonio Gasparrini, Shilu Tong, Ala Overcenco et al. pubblicato da The Lancet (“Global, regional, and national burden of mortality associated with non-optimal ambient temperatures from 2000 to 2019: a three-stage modelling study”), secondo i cui risultati le temperature invivibili hanno ucciso 5 milioni di persone nel mondo, di cui il 95 per cento sono da freddo, pari al 9,4 per cento di tutte le morti (lo 0,9 per cento di tutti i decessi invece è da caldo)”, continua il giornale.

“Dal 2000 al 2019 la mortalità da freddo è diminuita dello 0,51 per cento, quella da caldo è cresciuta dello 0,21. Si concentra sulle sole città europee un altro studio pubblicato da The Lancet (Masselot et al.: “Excess mortality attributed to heat and cold: a health impact assessment study in 854 cities in Europe”): nelle città europee i morti correlati al freddo sono circa 200 mila, al caldo sono circa 20 mila. Il riscaldamento climatico salva la vita. (…) I satelliti artificiali hanno censito sull’intero pianeta tremila miliardi di alberi. La meccanizzazione dell’agricoltura (…) ha liberato dalla schiavitù della zappa spacca schiena, dell’erpice e dell’aratro i terreni difficili da coltivare, i quali stanno tornando alla natura. L’Italia non ha mai avuto così tanti alberi, forse ce n’erano di più solamente ai tempi delle guerre bizantino-gotiche. La necessità di terre da seminare e il bisogno di legname per costruire e per riscaldare hanno reso calva l’Italia per più di mille anni; solamente di recente il bosco e i suoi animali stanno riconquistando quelli che prima erano pascoli, orti e vigneti. Non è un caso se gli animali selvatici sono sempre più vicini alle abitazioni. (…) Ogni anno il bosco si riprende 58 mila ettari di territorio abbandonato dall’uomo. Stando all’ultima rilevazione dell’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio, un censimento realizzato ogni dieci anni dal Crea e dai carabinieri forestali, in Italia i boschi sono arrivati a ricoprire oltre 11 milioni di ettari, pari al 36,7 per cento del territorio, per un totale di oltre 12 miliardi di alberi, pari a 200 alberi per ciascun cittadino. La superficie boschiva è aumentata in 10 anni di circa 587 mila ettari. In testa per foreste sono Sardegna, Toscana, Piemonte e Lombardia; in testa per crescita di superficie boscata sono Molise, Sicilia e Campania e in tutte le regioni i boschi sono in crescita. Fra le città, dice l’Istat, Milano è pienissima di alberi, prima in Italia con 465.521 alberi, seguita da Roma (312.614) e Venezia (307.042 alberi)”, continua il giornale.

TRANSIZIONE, L’UE DIPENDE ANCORA MOLTO DALLA RUSSIA PER MATERIE PRIME

“A due anni e mezzo dall’invasione russa dell’Ucraina, possiamo tranquillamente affermare che, ancora una volta, la forza dei mercati è largamente superiore a quella delle armi. Il grado di resilienza di alcune correnti commerciali, che sembravano interrotte e difficilmente ricostituibili, è stato semplicemente sorprendente. Gli affari prevalgono sulle questioni politiche, sulle battaglie dei valori. Tutte le volte ce ne dimentichiamo. È vero che abbiamo drasticamente ridotto la dipendenza dal gas russo e le quotazioni sono tornate ai livelli precedenti il conflitto. Ma, in ogni caso, nel periodo tra gennaio e maggio scorsi, Mosca ha continuato a coprire direttamente il 10% del fabbisogno italiano mentre è opinione diffusa che non vi siano più rapporti. Non è così. I principali fornitori sono Algeria e Azerbaigian che tra l’altro hanno buone relazioni, anche militari, con Mosca. Poi c’è l’enigmatico e discusso Qatar, c’è l’Egitto. Però è anche vero — si pensi soltanto alla Libia — che il petrolio è arrivato e continua ad arrivare anche da Paesi problematici e antioccidentali. È la storia dell’energia”, si legge su Il Corriere della Sera Economia.

“Quello che mi sorprende — è il commento di Susanna Dorigoni, docente di Economia dell’Energia e dell’Ambiente alle università Bocconi e Bicocca — è la generale sensazione, non solo da noi ma anche in altri Paesi europei, di aver ormai risolto i problemi della sicurezza energetica con il Repower Eu. Emergenza finita. Intanto la Russia pesa ancora, se teniamo conto anche della quota di Gas naturale liquefatto (Gnl), per oltre il 16% delle importazioni europee. E ci stiamo consegnando, in alternativa, a Paesi politicamente instabili. Inoltre siamo concentrati, anche giustamente per carità, sull’obiettivo di neutralità carbonica al 2050, nell’illusione che il gas possa essere tolto dalla tassonomia della transizione già nel 2035. Ancora oggi il 50% della nostra produzione elettrica è generata così, con il gas. Certo, le abbondanti piogge primaverili, grazie all’idroelettrico. (…) Nel diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, l’Italia ha scelto il Gnl, con relativi rigassificatori, che però, viaggiando sulle navi, va spesso al miglior acquirente. Così è accaduto, estremo paradosso, che il gas russo che ancora compriamo sia addirittura servito per calmierare il mercato dominato magari dai nostri migliori alleati (come gli americani).(…) Le nostre esportazioni verso il Kirghizistan, tanto per fare un piccolo esempio, sono cresciute nel febbraio di quest’anno del 2.200% rispetto al 2019. E non per una esplosione di amore locale per il Made in Italy. Un semplice passaggio verso la Russia”, continua il giornale.

“(…) L’Italia ha acquistato, nonostante i dazi, molto grano duro russo. Chissà che cosa avremmo detto, nel 2022, se avessimo scoperto che la nostra pasta si sarebbe prodotta così, con l’impiego del grano duro russo dopo aver fatto di tutto per non cuocerla con il gas russo! Boh. I mercati agricoli sono diventati negli anni molto più volatili. Soprattutto per questioni legate non tanto ai conflitti quanto al cambiamento climatico. «I prezzi di caffé e cacao — spiega Pantini — sono ai massimi da un anno mentre frumento, mais, soia e olio di girasole ai minimi. La volatilità è fortemente cresciuta dopo l’ingresso della Cina — che oggi è il più grande acquirente al mondo — nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Ma oggi sono sempre più frequenti le oscillazioni legate ad eventi climatici estremi».

Le quotazioni del caffè sono condizionate dalle forti piogge in Brasile e dalla siccità in Vietnam. Il prezzo della qualità Robusta è cresciuto del 90% in sei mesi. La tazzina del caffé si avvia a 1,5 euro, qualcuno ipotizza che arriverà a 2”, continua il giornale.

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