Dai sondaggi emerge che la maggioranza degli elettori europei vuole un’azione sul cambiamento climatico, ma è riluttante a sostenere il costo del passaggio alle tecnologie meno inquinanti
Il costo della vita costantemente più elevato ha aggravato la spaccatura tra – e all’interno – dei membri dell’Unione europea sulla lotta al cambiamento climatico e sull’abbandono del petrolio, del gas e del carbone. Del resto, i costi energetici più elevati hanno costretto milioni di europei a faticare ad arrivare a fine mese. Eppure, Bruxelles resta fermamente convinta che la transizione dovrà avvenire come previsto. O quasi.
IL DDL DELLA GERMANIA SULLE POMPE DI CALORE
Questa primavera la coalizione di governo in Germania ha proposto un disegno di legge volto ad eliminare gradualmente i sistemi di riscaldamento a gas e sostituirli con quelli elettrici, che traggono energia da fonti come l’eolico e il solare. La proposta ha causato dele proteste in alcune parti della Germania, perché le persone si rifiutano di sostenere i costi di ristrutturazione di case ed edifici residenziali con le pompe di calore. Alla fine, la scorsa settimana il parlamento tedesco ha approvato una versione modificata della proposta, nel tentativo di calmare l’opinione pubblica.
LA CAUSA DELLA POLONIA SULLE POLITICHE CLIMATICHE UE
Nel frattempo, all’inizio di quest’anno la Polonia ha intentato una causa contro l’Ue riguardo alcune politiche climatiche di Bruxelles, sostenendo che avrebbero avuto un peso insopportabile sui suoi cittadini. Una di queste politiche è stata il divieto di vendita delle nuove auto con motore a combustione interna a partire dal 2035, che secondo la Commissione europea rappresenterà un passo importante verso un futuro a basse emissioni di carbonio. “Il regolamento impugnato – ha affermato la Polonia – impone degli oneri eccessivi legati alla transizione verso una mobilità a zero emissioni sui cittadini europei, soprattutto su quelli meno abbienti, oltre che sul settore automobilistico europeo”.
Varsavia si è scagliata anche contro gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni, affermando che minerebbero la sua sicurezza energetica. Il Paese dipende in larga misura dal carbone per la sua produzione di energia.
La Germania, nonostante tutti gli sforzi per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi, di recente ha aumentato anche la sua dipendenza dal carbone: l’utility RWE ha iniziato a smantellare un parco eolico per espandere una miniera di lignite, dopo che il governo ha chiuso gli ultimi 3 reattori nucleari del Paese.
L’OPPOSIZIONE DI 8 PAESI UE ALLE NORME SUI GAS DI SCARICO
Anche la Francia è contraria ad alcune nuove politiche climatiche promosse da Bruxelles, in particolare alle norme relative ai livelli di emissioni dei gas di scarico, insieme ad altri 7 Stati membri. Tra questi figurano Polonia, Bulgaria, Ungheria, Italia, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia. Secondo questi Paesi, “le nuove regole distoglierebbero gli investimenti del settore sul percorso della transizione verso il net zero”.
Il problema principale che hanno questi Paesi è che i loro cittadini stanno già iniziando a sentire il costo della transizione verso il net zero. Poiché nessun governo razionale rischierebbe le sue possibilità di rielezione facendo arrabbiare la maggioranza degli elettori, ora stanno cercando dei modi per rallentare queste politiche climatiche, o per eliminarle del tutto.
LA POSIZIONE DEI CITTADINI EUROPEI SULLA TRANSIZIONE ENERGETICA
Come ha affermato Bloomberg in un recente rapporto, “I sondaggi mostrano che la maggior parte degli elettori europei vuole un’azione sul cambiamento climatico, poiché le ondate di caldo, gli incendi e le inondazioni rendono l’impatto delle emissioni sempre più evidente; gli elettori però sono riluttanti a sostenere il costo del passaggio a tecnologie meno inquinanti”. Nonostante la crescente opposizione popolare, il Parlamento europeo questa settimana ha votato per aumentare gli obiettivi energetici a basse emissioni di carbonio, puntando a generare oltre il 42% della sua elettricità da fonti eoliche, solari e altre fonti di energia a basse emissioni di carbonio.
Per facilitare la crescita, il Parlamento europeo ha anche approvato dei processi di autorizzazione più rapidi per i nuovi impianti eolici e solari. Il voto è arrivato tra gli avvertimenti degli sviluppatori eolici e solari europei che l’aumento dei costi delle materie prime e dei prestiti stanno mettendo a repentaglio i loro progetti. La danese Orsted ha lanciato l’allarme all’inizio di quest’anno, anche se si è concentrata sul Regno Unito, chiedendo maggiori sussidi statali.
Diversi sviluppatori solari dell’Ue hanno avvertito che i pannelli cinesi a basso costo stanno minando la loro stessa redditività, grazie ai generosi sussidi di Pechino e alla manodopera più economica. L’Unione europea ha l’ambizione di produrre 30 GW di energia solare in casa entro il 2030.
IL DISCORSO DI VON DER LEYEN SULLE ENERGIE RINNOVABILI E LA CINA
Ieri, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ribadito le ambizioni di transizione, criticando la Cina per le sue “pratiche commerciali sleali, che hanno colpito la nostra industria solare”. Von der Leyen ha poi sottolineato i piani dell’Ue di agire a livello locale in termini di transizione delle catene di approvvigionamento, affermando che “dall’energia eolica all’acciaio, dalle batterie ai veicoli elettrici, la nostra ambizione è chiarissima: il futuro della nostra industria della tecnologia pulita dev’essere realizzato in Europa”.
Il problema di questa idea – come dimostrato dal problema cinese degli sviluppatori solari – è che il costo dello sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio in Europa è molto più alto che in Cina. Questo, a sua volta, significa che anche il prezzo della transizione sarà più alto, se l’Ue continuerà sulla strada della produzione locale. Sebbene l’idea di produzione locale abbia sicuramente molto senso, non c’è quasi alcun dubbio che l’Ue sia disperatamente in ritardo nel settore, con la Cina che attualmente controlla le catene di approvvigionamento a basse emissioni di carbonio a livello globale.
LA DELICATA POSIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA SULLE POLITICHE CLIMATICHE
Questo non è di buon auspicio per le ambizioni climatiche di Bruxelles. La produzione locale e l’eliminazione delle materie prime e dei componenti cinesi ritarderanno la transizione oltre gli obiettivi attualmente favorevoli. Rinunciare e affidarsi alla Cina, d’altro canto, sarebbe un’ipotesi sgradevole per la maggior parte dei membri Ue e per la Commissione europea. Ciò mette l’Unione europea in una posizione delicata, poiché dovrà destreggiarsi tra gli interessi di troppe parti e versare più sussidi nella transizione, anche se la crisi energetica sta intaccando le entrate fiscali e le imprese stanno riducendo le loro operazioni.