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USA

La strategia dell’Arabia Saudita per far alzare i prezzi del petrolio

Pur tagliando l’export, Riad ha rimescolato le carte in tavola puntando non più sugli Stati Uniti ma sulla Cina come destinazione privilegiata delle sue esportazioni di greggio

Pur essendo il primo esportatore mondiale di petrolio, l’Arabia Saudita, taglia da quasi due anni la produzione e le forniture, in virtù dell’accordo stretto tra l’Opec e altri paesi facenti parti del cosiddetto Opec+. Come maggior produttore di greggio, Riad deve dare il buon esempio. E infatti i sauditi hanno tenuto sotto controllo le loro esportazioni quest’anno – al di sotto dei 7 milioni di barili al giorno negli ultimi mesi – per evitare che un eccesso di produzione petrolifera potesse ripercuotersi nuovamente sui prezzi del greggio, abbassandoli.

PIU’ CINA E MENO USA

All’interno dei più bassi livelli di esportazione, tuttavia, l’Arabia Saudita ha drasticamente rimescolato le destinazioni prioritarie delle sue esportazioni di petrolio, aumentando le vendite a quello che è il primo importatore mondiale, la Cina e riducendo le spedizioni verso gli Stati Uniti, almeno stando ai dati di monitoraggio delle navi, i dati doganali cinesi e le stime dell’EIA riferite da OilPrice.com.

LA VERA RAGIONE DEL RIMPASTO SAUDITA

Attraverso il calo dei volumi di esportazione e il “rimpasto” delle destinazioni, i sauditi cercano di prendere due piccioni con una fava: “Un obiettivo è quello di ridurre le esportazioni di petrolio verso il mercato più trasparente, gli Stati Uniti, con l’obiettivo a breve termine di avere scorte globali in calo a livelli mediamente adeguati, riequilibrare il mercato, e di conseguenza, auspicano i sauditi, far salire i prezzi del petrolio”. L’altro obiettivo, a più lungo termine, “è quello di incrementare le vendite di petrolio alla Cina, che è non solo il primo importatore di greggio al mondo, ma anche uno dei mercati notoriamente più opachi quando si tratta di segnalare le scorte petrolifere”. Infatti, mentre Opec, Eia, Ocse e tutti gli altri partecipanti al mercato guardano i rapporti sulle scorte petrolifere Usa per le loro previsioni, non si può fare altrettanto con la Cina che non ha mai diffuso un reporting trasparente sui dati delle scorte. Con questa mossa, dunque, scrive ancora OilPrice, “l’Arabia Saudita sta prosciugando il mercato più trasparente, e aumentando quote di mercato in Cina, approfittando anche delle sanzioni degli Stati Uniti sull’Iran per incrementare le vendite di petrolio saudita al primo importatore mondiale di greggio”.

IMPORT DI PETROLIO SAUDITA DA PARTE DEGLI USA AL LIVELLO PIU’ BASSO DAL 2010

Lo spostamento delle esportazioni saudite dagli Stati Uniti alla Cina è in parte anche il risultato di cambiamenti strutturali nel lungo termine del mercato, con la crescita della produzione petrolifera interna degli Stati Uniti e le minori importazioni statunitensi da un lato, e la continua crescita della domanda di petrolio cinese dall’altro, come ha evidenziato l’EIA in un’analisi il mese scorso. “Negli ultimi mesi, tuttavia, è stato evidente che le vendite di petrolio saudita negli Stati Uniti sono drasticamente diminuite. La valutazione settimanale dell’Eia delle importazioni statunitensi dall’Arabia Saudita mostra che gli Stati Uniti stanno attualmente importando petrolio saudita ai livelli più bassi dal 2010”, scrive Oilprice.

I NUMERI DI CINA E USA

Le importazioni statunitensi di petrolio saudita nel luglio 2019 sono crollate del 62% dall’agosto 2018, a soli 262.053 barili di petrolio giornalieri, secondo i dati di TankerTrackers.com, citati da Cnbc. Allo stesso tempo, TankerTrackers.com stima le esportazioni saudite in Cina a poco più di 1,8 milioni di barili al giorno, quasi il doppio rispetto alle vendite saudite in Cina nell’agosto 2018. Questa stima è appena sotto il record di 1,89 milioni di barili di petrolio giornalieri di importazioni cinesi dai saudita nel mese di giugno, balzata del 64% rispetto a maggio. Stesso discorso se si osservano i dati di monitoraggio delle petroliere compilati da Bloomberg: 1,74 milioni di bpd di esportazioni saudite verso la Cina nel mese di luglio, e 161.000 bpd verso gli Usa, il valore più basso da quando Bloomberg ha iniziato a monitorare le spedizioni petrolifere nel gennaio 2017. Arabia Saudita

SAUDITA A CACCIA DI ACCORDI CON I CINESI E GLI INDIANI

Mentre l’Arabia Saudita taglia le esportazioni verso gli Stati Uniti, guarda ad Est per costruire un rapporto a lungo termine sul pregiato mercato asiatico del petrolio e per bloccare la futura domanda di petrolio nella regione, che dovrebbe mostrare l’unica crescita solida nei prossimi anni e decenni. All’inizio di quest’anno, il colosso petrolifero saudita Saudi Aramco ha firmato un accordo di joint venture per un complesso petrolchimico e di raffinazione completamente integrato da 10 miliardi di dollari in Cina, che sarà rifornito di greggio fornito dall’Arabia Saudita. Questo è solo uno degli accordi che Aramco ha recentemente firmato in Cina e in India per detenere partecipazioni nel settore downstream in Asia, vincolato da impegni di fornitura di greggio a lungo termine.

L’ARABIA SAUDITA STA GETTANDO LE BASI PER AUMENTARE LA SUA QUOTA DI MERCATO IN ASIA E IN CINA

“Non sorprende quindi che l’Arabia Saudita stia cercando di trarre vantaggio dall’assenza dell’Iran dal mercato petrolifero asiatico, aumentando le vendite in Cina. Questa mossa saudita nel lungo termine va a scapito delle esportazioni verso l’Occidente, in particolare verso gli Stati Uniti, nel breve termine. Considerato lo stato attuale del mercato petrolifero, dei prezzi del petrolio e delle scorte petrolifere nei paesi che li segnalano in modo trasparente, l’Arabia Saudita sta cercando di cancellare la sovrabbondanza proprio ora, gettando le basi per aumentare la sua quota di mercato in Asia e in Cina”, ha osservato Oilprice.

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