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La Ue aggiusta gli obiettivi di efficienza in vista della Brexit

Stop anche alla partecipazione alle piattaforme di bilanciamento europee, all’utilizzo del marchio di energia pulita per l’elettricità prodotta da rinnovabili così come ai marchi Ecolabel ed Emas. Infine gli impianti industriali britannici non potranno più partecipare all’Emission Trading Scheme e al trattato Euroatom

La Brexit sta costringendo la Ue a rivedere le norme europee in materia di efficienza energetica. Mancano ormai una manciata di settimane alla data del 30 marzo che segnerà la definitiva uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Per questo motivo Bruxelles sta aggiornando i dati relativi al consumo energetico nella nuova direttiva sull’efficienza energetica per tener conto della novità.

SI TRATTA DI UN SEMPLICE ADEGUAMENTO TECNICO

Questo adeguamento tecnico, che riguarda il consumo energetico previsto nell’Ue nel 2030, è stato approvato dai diplomatici degli Stati membri europei, aprendo la strada ad una rapida adozione. L’aggiornamento consentirà all’Ue di misurare i progressi compiuti verso i suoi obiettivi di efficienza energetica e climatici e di fornire certezza giuridica sia agli Stati membri che alle imprese in un’Unione a 27 Stati membri.

SI RIVEDONO GLI OBIETTIVI DI EFFICIENZA ENERGETICA

La direttiva riveduta sull’efficienza energetica fissa un obiettivo principale dell’Ue di almeno il 32,5% per il 2030, che si traduce in valori assoluti in non più di 1.273 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) di energia primaria e non più di 956 Mtep di consumo finale di energia per un’Ue di 28 Stati membri. Le proiezioni equivalenti per l’Ue a 27, escluso dunque il Regno Unito, portano a livelli di consumo energetico a una quota non superiore a 1.128 Mtep di consumo di energia primaria e non superiore a 846 Mtep di consumo finale di energia nel 2030. Un aggiornamento analogo è stato fatto per i dati di consumo energetico previsti dal regolamento sulla governance dell’unione energetica. Secondo la direttiva sull’efficienza energetica e il regolamento sulla governance, gli Stati membri devono tenere conto del consumo totale di energia previsto al momento di fissare il loro contributo indicativo nazionale all’efficienza energetica per il raggiungimento degli obiettivi principali dell’Ue. I dati relativi al consumo energetico sono rilevanti anche per la valutazione della Commissione dei progressi compiuti verso gli obiettivi di efficienza energetica.

LA DECISIONE FINALE ENTRO LA FINE DI MARZO

Il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione il 14 gennaio. Il Comitato dei Rappresentanti Permanenti del Consiglio ha approvato invece in queste ore la relazione del Parlamento europeo, il che significa che non saranno necessari negoziati tra i co-legislatori, se il Parlamento europeo confermerà la sua posizione in plenaria. Sia il Parlamento europeo sia il Consiglio dovrebbero adottare la decisione entro la fine di marzo.

LA POSIZIONE DEL RELATORE UE

Il relatore ha accolto con favore la proposta della Commissione Ue di unadattamento tecnico delle cifre del consumo energetico dell’Unione per il 2030, resosi necessario per effetto dell’imminente recesso del Regno Unito dall’Unione europea. Trattandosi di un adeguamento tecnico, basato direttamente sulla modellizzazione utilizzata come base per il calcolo originale dei livelli assoluti di consumo energetico degli obiettivi principali dell’Unione, il relatore non ha proposto alcuna modifica alle cifre indicate dalla Commissione. Ha però inserito un numero limitato di emendamenti tecnici, con lo scopo generale di chiarire alcune delle disposizioni proposte dalla Commissione. Innanzitutto un chiarimento tecnico sulla formulazione utilizzata nei “considerando” in relazione agli obiettivi di efficienza energetica dell’Unione per il 2030, “al fine di rispecchiare in modo più accurato la terminologia utilizzata nella revisione recentemente approvata della direttiva sull’efficienza energetica”. Poi ha chiesto la “modifica della data di entrata in vigore della decisione (terzo giorno invece del ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea), per garantire che possa entrare in vigore prima del giorno in cui il diritto dell’Unione non sarà più applicabile al Regno Unito”. Tale modifica, ha spiegato, “appare necessaria a causa dei vincoli temporali per il completamento della procedura legislativa entro il 29 marzo 2019”.

LE ALTRE CONSEGUENZE DELLA BREXIT

Ma non si tratta degli unici effetti attesi nel momento in cui il Regno Unito si “staccherà” dall’Europa. In un recente documento stilato da Bruxelles sulle “Preparedness notice” riguardanti le conseguenze di un “no deal” – per tutti i settori compresi energia e clima – la Commissione Ue ha chiarito nella sezione riguardante il mercato interno dell’energia che “gli operatori basati nel Regno Unito cesseranno di partecipare alla piattaforma unica di allocazione delle capacità a termine di interconnessione, alle piattaforme di bilanciamento europee e al coupling unico del giorno prima e infragiornaliero dei mercati”. Inoltre, gli operatori inglesi dell’energia “diventeranno operatori di un paese terzo” e se vorranno continuare a commercializzare i loro prodotti nell’Ue “dovranno registrarsi presso l’autorità nazionale di regolamentazione dell’energia di uno Stato membro in cui svolgano attività”. Non solo: nei casi di import o export di elettricità saranno applicati dei pagamenti per il diritto di utilizzare il sistema di trasmissione. Mentre nel caso ci siano soggetti inglesi controllori di operatori di trasmissioni europei, dovrà essere richiesta la certificazione prevista dalle direttive 2009/72 e 2009/73, certificazione che potrebbe essere negata dagli Stati membri in caso di rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Infine potrà essere negata loro la possibilità di svolgere attività di ricerca e/o coltivazione di petrolio e gas nell’Ue “per motivi di sicurezza nazionale” e non sarà più riconosciuta l’etichetta di energia pulita per l’elettricità prodotta da rinnovabili così come i marchi Ecolabel ed Emas. Infine gli impianti industriali britannici non potranno più partecipare all’Emission Trading Scheme e al trattato Euroatom.

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