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L’automotive è a un bivio: soccombere a Cina e Stati Uniti o evolversi

Le politiche europee sui traguardi green per l’automotive sono insufficienti e non realistiche, al contrario del pragmatismo di Cina e Usa . Il 2035 è la data che segna il fallimento di un settore che non ha saputo raggiungere e convincere gli stakeholder a meno che le case automobilistiche riescano a modificare le vecchie pratiche

Il quadro industriale dell’automotive è sconfortante e necessita di misure urgenti. Dopo un -9,7% nel 2024, la produzione europea è scesa del 2,6% nel 2025; gli impianti lavorano al 55% della capacità, in Italia al 35%. Come scrive Il Foglio, il mercato crescerà appena dello 0,2% annuo fino al 2030. Il tutto mentre la  quota di mercato dei veicoli elettrici cinesi in Europa è passata dal 5% al 15% in cinque anni. Nello stesso periodo quella europea è crollata dall’80% al 60%.

LE PAROLE DI STELLANTIS

Intervistato da Bruno Vespa, l’ad di Stellantis Filosa ha evidenziato quali sono i reali problemi del settore automotive: le regole europee non realistiche di Bruxelles e il costo dell’energia, il doppio rispetto alla Spagna. «Il problema (non è l’avanzata cinese) sono le regolamentazioni che partono da Bruxelles, che non sono realistiche e che stanno indebolendo quello che di meglio abbiamo, ovvero l’industria automobilistica europea ed italiana», si legge su Repubblica. Filosa poi rassicura sul grosso investimento americano di 13 miliardi e sul ruolo dell’Italia, eliminando i timori di eventuali riduzioni del personale. «Investiamo 2 miliardi di euro in un anno solo in Italia. Acquistiamo 6 miliardi in componenti e servizi da fornitori italiani. Ora abbiamo bisogno di un’urgente revisione delle regolamentazioni a Bruxelles».

LE DIFFERENZE TRA USA E ITALIA

Ci sono differenze di vedute tra Stati Uniti e Italia nel mercato dell’automotive. Gli Usa hanno usato il pragmatismo, restituendo agli americani la scelta di comprare la vettura che vogliono. Secondo l’ad di Stellantis occorre rinnovare il parco circolante, cambiare le regole sulle piccole vetture, rivedere i target sui veicoli commerciali perché irraggiungibili. E, infine, il problema del costo dell’energia che in Italia «costa più del doppio che in Spagna. Stiamo parlando di questo con il governo italiano, speriamo di arrivare a conclusioni favorevoli», conclude Filosa.

TROPPA INGEGNERIA E POCA COMPETIZIONE

Secondo quanto riporta Il Foglio, l’industria ha un forte gap tra l’eccellenza ingegneristica/capacità produttiva che restano le migliori al mondo delle case automobilistiche e la mancanza di efficaci politiche competitive. Per valutare queste è stato utilizzato il voto IRG (Influence, Relevance & Growth) che riconosce il divario di competenze tra industria e decisori politici: le sette grandi case del continente (BMW, Mercedes, Volkswagen, Renault, Stellantis, Porsche e Ferrari) si fermano a 12,2 punti IRG su 30, appena il 47% della forza potenziale necessaria per incidere davvero sulle regole che determineranno il futuro della mobilità. Per essere “IRG fit” occorrono almeno 20 punti e nessuna ci arriva. Eccelle la tecnologica mentre la governance, capitale umano e potere mediatico restano sotto la soglia minima. Il vero problema è che la maggior parte delle aziende non metabolizza questo cambiamento strutturale e continua con i processi radicati.

L’ELETTRICO HA PERSO

Il tanto decantato elettrico ha perso la sua sfida, è un’ammissione che l’Ue dovrà fare prima o poi. Secondo Repubblica, da quando nel 2021 la commissione Europea propose lo stop al motore termico dal 2035, ha raccontato ai consumatori solo mezza verità: cioè che si passava all’elettrico per inquinare di meno e non per creare la domanda sufficiente a dare la spinta alla nostra industria per affrontare una transizione imposta dal mercato. Spostare gli obiettivi dal 2035 al 2040, lasciare spazio a e-fuel e biocarburanti, non sarà la soluzione di tutto. I problemi dell’industria italiana si possono affrontare solo aumentandone la competitività nel mondo nuovo. Eliminando il problema delle emissioni, ci si dovrà sempre confrontare con la sfida del mercato.

UN EUROPEAN AUTOMOTIVE ALLIANCE 2030

Al contrario, Cina e Stati Uniti hanno saputo usare politiche industriali integrate per plasmare filiere, standard e mercati. Come scrive Fernando Napolitano, CEO IRG Enhanced Intelligence, su Il Foglio l’Europa potrebbe dotarsi di una “European Automotive Alliance 2030”, dotata di un ufficio di lobbying unificato e di piattaforme di dialogo strutturato a Bruxelles che servirebbe a creare un’unità di intenti, una leadership diffusa e una narrativa nuova, che trasformi le competenze industriali in influenza politica e pubblica. Il rischio, se questo passaggio non avverrà, è più preoccupante di qualsiasi politica fallimentare: anche i giganti più solidi resteranno spettatori. La partita più difficile non si gioca sulle linee di montaggio, ma sui tavoli dove si scrivono le norme, si decidono gli incentivi, si disegnano i mercati del futuro.

 

 

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