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Israele

Le previsioni sull’impatto della guerra tra Israele e Hamas sul mercato petrolifero

Secondo gli analisti e gli addetti ai lavori del settore la situazione è diversa rispetto alla crisi petrolifera del 1973, quando l’Arabia Saudita decise un embargo mirato ai Paesi che avevano sostenuto Israele durante la guerra dello Yom Kippur, facendo salire i prezzi alle stelle

La guerra tra il gruppo islamico Hamas ed Israele pone uno dei rischi geopolitici più significativi per i mercati petroliferi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia dello scorso anno. Sebbene i flussi di petrolio non siano stati ancora influenzati, gli analisti e gli osservatori di mercato sottolineano due importanti implicazioni nel caso in cui il conflitto dovesse intensificarsi.

In primo luogo, gli Stati Uniti potrebbero inasprire o intensificare l’applicazione delle sanzioni contro l’Iran, qualora fosse implicato nell’attacco di Hamas ad Israele, il che potrebbe mettere ulteriormente a dura prova un mercato petrolifero già carente. In secondo luogo, un accordo mediato da Washington per normalizzare le relazioni tra Arabia Saudita e Israele – che potrebbe vedere Riyadh aumentare la produzione di petrolio – potrebbe venir meno.

COME HA REAGITO FINORA IL MERCATO DEL PETROLIO

Lunedì 9 ottobre – il primo giorno di negoziazione dopo che Hamas, domenica 8, ha lanciato un attacco a sorpresa contro Israele – il Brent è balzato di circa 3,50 dollari, toccando gli 89 dollari al barile. Successivamente ha invertito la maggior parte di questi guadagni, prima di salire ad oltre 88 dollari al barile, venerdì, mentre gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni ai caricatori che trasportavano petrolio russo in violazione del tetto massimo imposto dal G7.

Gli analisti e gli addetti ai lavori del settore – che si aspettavano un rally più forte – hanno riconosciuto che la situazione è diversa rispetto alla crisi petrolifera del 1973, quando l’Arabia Saudita decise un embargo mirato ai Paesi che avevano sostenuto Israele durante la guerra dello Yom Kippur, facendo salire i prezzi alle stelle. L’Arabia Saudita e la Russia hanno già annunciato dei tagli volontari all’offerta fino alla fine del 2023, spingendo i prezzi del petrolio ai massimi di 10 mesi, a fine settembre, prima che le preoccupazioni macroeconomiche la scorsa settimana li spingessero di nuovo drasticamente al ribasso.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia giovedì scorso ha affermato che il conflitto non ha avuto un impatto diretto sulle forniture di petrolio, mentre David Goldwyn, ex inviato speciale per gli affari energetici internazionali del Dipartimento di Stato americano, ha detto che i fondamentali rimarranno un fattore trainante dei prezzi.

Secondo Rob Thummel, senior portfolio manager di Tortoise Capital, è improbabile che i prezzi del petrolio aumentino sostanzialmente, a meno che non vi sia un’interruzione nello Stretto di Hormuz – l’arteria petrolifera più importante del mondo, che trasporta un quinto dell’offerta globale – causata dall’Iran o da qualsiasi altro Paese.

COSA POTREBBE COMPORTARE IL CONFLITTO PER LE ESPORTAZIONI DI PETROLIO IRANIANE

Nonostante le sanzioni statunitensi, le esportazioni di greggio iraniano quest’anno sono cresciute in modo significativo, compensando parte del taglio volontario di 1,3 milioni di barili al giorno di Riyadh e Mosca. L’Iran, sostenitore di Hamas, ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco del gruppo contro Israele. Mercoledì scorso il segretario al Tesoro americano, Janet Yellen, ha detto di non avere ancora nulla da annunciare sull’eventualità che gli USA impongano delle nuove sanzioni all’Iran, se emergessero prove del coinvolgimento del Paese nell’attacco. “Questo è qualcosa di cui teniamo costantemente conto e utilizziamo le informazioni disponibili per inasprire le sanzioni”.

Delle sanzioni più severe degli Stati Uniti contro Teheran minaccerebbero le forniture di greggio e farebbero aumentare i prezzi dell’energia sia a livello globale che nazionale, un’eventualità che il presidente Biden vorrà evitare in vista delle elezioni del 2024.

L’analista di RBC Capital Markets Helima Croft ha affermato che “probabilmente per l’amministrazione Biden sarà difficile continuare con il suo regime di sanzioni permissive”, che ha consentito alla produzione di petrolio iraniana di avvicinarsi ai livelli precedenti al 2018.

Altri analisti, tuttavia, non si aspettano che gli USA rischieranno delle interruzioni dell’offerta. “Dato che gli obiettivi politici non hanno colpito i flussi di petrolio russo nemmeno al culmine del conflitto Russia-Ucraina, non ci aspettiamo nemmeno che le esportazioni di petrolio iraniano subiscano delle limitazioni”, hanno commentato gli analisti di Macquarie. Secondo gli analisti di FGE è improbabile che gli Stati Uniti inaspriscano le sanzioni, senza che l’Arabia Saudita accetti di sostituire i barili iraniani perduti, cosa che hanno aggiunto che non prevedono avverrà.

LE CONSEGUENZE SULL’ACCORDO TRA ISRAELE E ARABIA SAUDITA

Gli Stati Uniti stanno tentando di mediare un riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele, in cui Riyadh normalizzerebbe i legami con Israele in cambio di un accordo di difesa con Washington. La scorso settimana il Wall Street Journal ha riportato che l’Arabia Saudita ha dichiarato alla Casa Bianca di essere disposta ad aumentare la produzione di petrolio all’inizio del prossimo anno per contribuire a garantire l’accordo.

Washington ha affermato che gli sforzi dovranno continuare, ma Ben Cahill, del think tank Center for Strategic and International Studies, ha detto che i colloqui ora potrebbero essere sospesi, chiudendo un’importante via di cooperazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita.

LA REAZIONE DELL’OPEC+

Il ministro dell’Energia saudita, Prince Abdulaziz, ha dichiarato alla CNBC che “la coesione dell’OPEC+ non dovrà essere messa in discussione. Abbiamo attraversato il peggio, non credo che dovremo affrontare nessuna situazione terribile”. Il portavoce del ministero del Petrolio iracheno giovedì scorso ha affermato che l’OPEC+ non reagisce istintivamente alle sfide del mercato.

Il vice primo ministro russo, Alexander Novak ha aggiunto, che gli attuali prezzi del petrolio sono un fattore determinante nel conflitto e che riflettono la convinzione del mercato che i rischi posti dagli scontri non siano così elevati. Mercoledì la Russia e l’Arabia Saudita si sono incontrate a Mosca, ed il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che il coordinamento dell’OPEC+ “continuerà a garantire la prevedibilità del mercato petrolifero”.

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