Al Green & Net Zero Talk di RCS Academy si è discusso delle politiche e le strategie di investimento da adottare a livello internazionale per la sostenibilità economica, ambientale e sociale, oltre che di progetti di innovazione e investimenti in economia circolare
Sono sempre più evidenti gli effetti e le interrelazioni della governance verde e delle politiche di finanza verde sullo sviluppo sostenibile nei Paesi e nei diversi sistemi industriali. Nel 2022, gli investimenti nel settore green hanno raggiunto per la prima volta la parità con gli investimenti in altri settori. Ad esempio, gli investimenti nelle fonti rinnovabili hanno uguagliato quello dei combustibili. Un passaggio tanto atteso verso flussi finanziari rispettosi del clima.
La governance e finanza verde è un motore essenziale per la ristrutturazione dello sviluppo economico e la realizzazione di una rivoluzione tecnologica per lo sviluppo sostenibile e le sue implicazioni per ogni sistema.
Oggi, durante il terzo appuntamento dei Green & Net Zero Talk di RCS Academy dal titolo “Investimenti verdi ed economia circolare”, si è discusso sulle politiche e le strategie di investimento da adottare a livello internazionale per la sostenibilità economica, ambientale e sociale, così come sulle svolte per le imprese e le aziende nel “diventare verdi”. Progetti di innovazione e investimenti in economia circolare che portano verso un’economia che rispetti i principi ESG.
Urso: dobbiamo lavorare sul net zero, altrimenti rischiamo deindustrializzazione dell’Europa
Intervistato dal direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana , il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha spiegato che, “quando fu disegnato il Green Deal era un altro mondo: non c’era stata la pandemia Covid – che ha spezzato le catene di approvvigionamento -, non c’era ancora la guerra in Ucraina, che ha rotto le catene energetiche, e non c’era l’escalation dei conflitti in Medio Oriente, che ha reso più difficile l’approvvigionamento dal Canale di Suez”.
Secondo Urso, “dobbiamo prendere atto del mondo di oggi, ragionando su come raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione perché altrimenti, anziché raggiungere l’obiettivo sfidante di un’industria net zero, giungiamo all’appuntamento con zero industria, con un’Europa deindustrializzata, in crisi sociale e che non regge la competitività globale”.
Urso: quasi tutti i 17 mld euro ricontrattati con l’Ue sono andati alle imprese
“Noi – ha proseguito Urso – siamo riusciti ad ottenere un surplus di risorse rispetto a quelle destinate al nostro dicastero grazie alla ricontrattazione con l’Unione europea fatta dal ministro Fitto e conclusasi nel dicembre 2023. Si tratta di 17 miliardi di euro – ha spiegato Urso – che sono stati spostati da alcuni capitoli ad altri. Di questi 17 miliardi, quasi tutti sono finiti alle imprese: 2,8 mld al Ministero dell’Agricoltura per le imprese agricole, 2,5 mld per le imprese che realizzano le grandi reti del nostro Paese (quella del gas ed elettrica) e la maggior parte – 9,7 mld – al Mimit. Di questi, 6,3 mld li abbiamo destinati a sollecitare la domanda, e quindi Transizione 5.0, innovazione green delle nostre imprese per renderle più efficienti. Il resto delle risorse lo abbiamo destinato alle industrie net zero, con dei bandi che sono già in gran parte attivi e in cui vengono destinati quasi 3 mld a contratti di sviluppo per imprese che vogliono realizzare nel nostro Paese batterie elettriche, impianti fotovoltaici, eolici e tecnologie green. In questo modo – ha proseguito Urso – noi utilizziamo tutte le risorse in più che abbiamo ottenuto per consentire alle nostre imprese di acquisire, attraverso crediti fiscali, gli impianti di cui hanno bisogno per l’innovazione digitale e green e, al contempo, permettiamo agli imprenditori di investire nelle tecnologie green per fare dell’Italia un Paese leader nel settore”.
Urso: 10 aziende italiane hanno presentato progetti all’Ue su materie prime critiche
“Quando nel giugno 2023 mi ritrovai a Berlino nel primo vertice trilaterale con Francia e Germania decidemmo insieme come indirizzare la Commissione europea sul regolamento sulle materie prime critiche. Il regolamento è stato approvato e oggi è esecutivo. Nel frattempo – ha aggiunto– abbiamo fatto una legge nazionale attraverso un decreto legge per creare il contesto nazionale per estrarre le materie prime critiche che si trovano nel nostro sottosuolo – ne abbiamo contate 34 -, lavorarle in Italia ed Europa e poi anche riciclarle. Il primo bando della Commissione europea – che dovrà definire quali progetti nazionali siano definiti progetti strategici europei – è in corso e ci giunge notizia che 10 aziende italiane hanno presentato progetti. Ci auguriamo che siano tutti definiti progetti strategici europei, e vogliamo dar loro una fast track autorizzativa in modo che siano realizzati in poco tempo, com’è necessario per iniziare ad avviarci sulla strada dell’autonomia strategica”.
“Stiamo lavorando su questi temi – ha detto ancora il titolare del Mimit – nella piena consapevolezza che le due transizioni green e digitale debbano essere coniugate con la transizione geopolitica, alla luce di quello che sta accadendo intorno all’Europa. Su questo vogliamo indirizzare tutta l’Unione europea, e certamente l’Italia. È una sfida che si può vincere senza paraocchi ideologici, ma con la consapevolezza della realtà che dobbiamo affrontare. In questo modo, insieme, possiamo raggiungere l’obiettivo di rendere la nostra Europa più competitiva nell’appuntamento del domani, cioè il continente che lasceremo ai nostri figli”.
Ravazzolo: vogliamo rendere il Green Deal un volano per gli investimenti
“Il Green Deal persegue obiettivi condivisibili. Il tema non è sugli obiettivi, ma su come raggiungerli. È sempre importante considerare 3 aspetti: gli obiettivi ambientali – che devono essere ambiziosi -, ma anche la competitività e la sicurezza dei Paese europei”. Così Marco Ravazzolo, direttore Politiche per l’Ambiente, l’Energia e la Mobilità di Confindustria.
Secondo Ravazzolo, “per come è stato disegnato il Green Deal, sicuramente questi 3 aspetti non sono stati portati sempre avanti tutti insieme. L’Italia è un Paese che ha saputo fare della sostenibilità anche un driver di politica industriale. Questo è particolarmente vero sull’economia circolare: essendo un Paese povero di materie prime, abbiamo saputo fare tanto con poco, e questo vale tanto per il recupero dei materiali che per l’efficientamento energetico. Noi lavoriamo su questi temi da almeno 30 anni, quindi abbiamo il desiderio e l’ambizione di contribuire alla revisione del Green Deal, affinché diventi una grande opportunità di innovazione e un volano per gli investimenti”.
Brunori (Enea): promuoviamo transizione a modelli più sostenibili
“In Enea – ha spiegato Claudia Brunori, direttrice Dipartimento Sostenibilità, Circolarità e Adattamento al Cambiamento Climatico SSPT di ENEA – lavoriamo sull’economia circolare da molti anni, da quando si chiamava ‘uso efficiente delle risorse’, in linea con quella che era la flagship europea di oltre 20 anni fa. Noi lavoriamo per sviluppare tecnologie e metodologie utili per promuovere la transizione verso un modello economico più sostenibile. Questi strumenti sono di supporto alle imprese ma anche alla pubblica amministrazione sia a livello locale che nazionale, perché la transizione di un sistema economico deve coinvolgere diverse tipologie di attori, sia quelli istituzionali che le imprese e la società civile”.
Per Brunori, “parlando di innovazione tecnologica, noi ci occupiamo dell’innovazione del business plan delle aziende in un’ottica di circolarità. Stiamo quindi lavorando per efficientare i processi partendo da una diagnosi delle risorse, mutuando quello che già avviene nell’energia con le diagnosi energetiche, analizzando il processo a tutto tondo anche nell’utilizzo delle materie prime, riducendo l’utilizzo delle risorse e cercando di riutilizzare gli scarti”.
Starace (EQT): transizione attrarrà 9 trilioni di dollari l’anno
Francesco Starace, partner di EQT, ha sottolineato il fatto che “l’intera transizione industriale, non solo quella energetica dovrebbe attrarre circa 280 trilioni di dollari nei prossimi 30 anni, cioè circa 9 trilioni di dollari all’anno. È una cifra enorme. Non sarà tutta finanza sostenibile, ma sono soldi che cambieranno l’intera struttura industriale e in parte economica del mondo, in virtù di quello che la tecnologia sta mettendo in campo”.
“Sono numeri che sembrano molto grandi – ha spiegato Starace – ma che, se vediamo quanto ogni anno spendiamo per comprare combustibili fossili, si tratta di circa 8 trilioni di dollari l’anno. Il mondo è abituato a queste cifre. La capacità c’è, ed è una combinazione di fondi nazionali, istituzionali e anche privati. Per l’accelerazione che sarà necessaria, il capitale privato diventa essenziale, e infatti, anno su anno, si nota un aumento della partecipazione dei fondi privati nella transizione dell’economia”.
Brianza (Edison): bene i sussidi per l’idrogeno, ma bisogna costruire la filiera a monte
“In Puglia – ha dichiarato Giovanni Brianza, amministratore delegato di Edison Next – stiamo sviluppando una hydrogen valley con 160 MW di elettrolizzatori, e in questo un elemento fondamentale è l’acqua. Parliamo dell’acqua depurata dall’Acquedotto Pugliese, che viene utilizzata per la produzione di idrogeno. Siamo ancora in una fase di progettazione dell’iniziativa, ma questo progetto ha già vinto i fondi IPCEI per un ammontare di 370 milioni di euro”.
“Stiamo lavorando anche sui trasporti – ha aggiunto Brianza – con delle stazioni di rifornimento, e anche sull’aeroporto di Milano Malpensa, per dotarlo di una fornitura di idrogeno verde. Oggi in Italia si producono tante parti dell’elettrolizzatore, ma dobbiamo evitare di commettere lo stesso errore che abbiamo commesso sul fotovoltaico: non dobbiamo allocare dei sussidi cospicui su una nuova tecnologia dimenticandoci di costruire la filiera a monte. Qui siamo ancora in tempo, ma non dobbiamo far passare troppo tempo, perché ad esempio la Cina si è già mossa. Noi abbiamo il know-how e le competenze, si tratta di mettercisi e di farlo”.
Fontana (Conai): in Italia nel 2023 riciclati oltre il 75% dei materiali degli imballaggi
Di imballaggi, rifiuti e riciclo ha parlato invece Simona Fontana, direttore generale del Conai, che ha spiegato: “insieme ai consorzi di filiera – uno per ogni materiale d’imballaggio, che si occupano di preservare la materia d cui sono fatti gli imballaggi e trasformarli in input per nuovi cicli produttivi – il Conai è frutto di una normativa europea. Noi nasciamo per rispondere a degli obblighi dell’Europa, e quello degli imballaggi è stato il primo settore in cui si è applicata l’economia circolare, quando ancora non si chiamava così”.
“Le imprese che producono e utilizzano gli imballaggi – ha aggiunto Fontana – sono diventate responsabili non solo di produrre un imballaggio che rispetti le sue funzioni di preservare il contenuto, ma anche di occuparsi di quando quell’imballaggio finisce la sua vita utile, diventa rifiuto e deve essere valorizzato perché fatto di materia, e quella materia è preziosa. Oggi l’Italia è un Pae leader in Europa nel raggiungimento degli obiettivi sul riciclo: nel 2023 abbiamo raggiunto oltre il 75% di riciclo effettivo dai materiali di cui sono fatti tutti gli imballaggi che vengono utilizzati in un anno nel nostro Paese. Questo è un risultato molto importante, perché significa che sono oltre 10 milioni le tonnellate di materiali che hanno trovato una seconda vita, che si sono trasformati in altri prodotti o in altri imballaggi”.