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Murano nuovo presidente di Unem: “Puntare sulla neutralità tecnologica per governare la transizione”

La stima per il 2023 è di 77-78 miliardi di euro per la fattura energetica energetica complessiva e di 24-25 miliardi per quella petrolifera.

Cambio della guardia ai vertici di unem, l’Unione Energie per la Mobilità derivata da Unione Petrolifera.
L’Assemblea privata tenutasi ieri presso la sede di Piazzale Luigi Sturzo, ha deliberato all’unanimità, su proposta del Consiglio, la nomina dell’Ing. Gianni Murano alla carica di Presidente dell’Associazione per il quadriennio 2023-2027.

MURANO SUCCEDE A SPINACI

Gianni Murano, che già rivestiva la carica di Vicepresidente di unem, succede all’Ing. Claudio Spinaci, in carica dal settembre 2015, al quale l’Assemblea e il Consiglio hanno rivolto un apprezzamento unanime per l’impegno e la dedizione mostrata in questi anni, ringraziandolo per il lavoro svolto. L’Assemblea e il Consiglio hanno poi rivolto un caloroso augurio di buon lavoro al nuovo Presidente.

CHI SONO I NUOVI VICEPRESIDENTI DI UNEM

L’Assemblea ha altresì nominato i quattro Vice Presidenti che affiancheranno il nuovo Presidente, nelle persone di: Raffaele Iollo (Q8); Giovanni Maffei (eni); Rosario Pistorio (Sonatrach Raffineria Italiana); Guido Ottolenghi (PIR).

CHI È MURANO

Nato a Roma, Giovanni (Gianni) Murano si laurea in Ingegneria Meccanica presso l’Università “La Sapienza” di Roma. È sposato e ha due figli. Viene assunto alla Esso Italiana nel 1990 come Project Engineer e, nel corso della sua carriera nel gruppo ExxonMobil, ricopre varie posizioni di crescente responsabilità, sia in Italia che all’estero – in Inghilterra e a Bruxelles – maturando esperienze in ambito tecnico e manageriale in diversi settori di business come la rete, la distribuzione, il supply, la programmazione petrolifera e la raffinazione.

In particolare, è stato: Project Engineer nel settore Rete della Esso Italiana, a Roma; Budget Coordinator nella Direzione Programmazione Petrolifera della Esso Italiana, a Roma; Distribution Manager della Esso Italiana per l’area Nord, a Venezia; Retail Strategy Advisor per lo European Planning Centre della ExxonMobil, a Leatherhead, nel Regno Unito; Supply Products Coordination Manager della Esso Italiana, a Roma; Mechanical Manager della Raffineria Esso Italiana ad Augusta (SR); Direttore della Raffineria SARPOM a Trecate (NO); Regional Operations Advisor della ExxonMobil per l’Europa, a Bruxelles.

Dal 1° Giugno 2014 è Presidente, Amministratore Delegato e Direttore Generale della Esso Italiana S.r.l. e Presidente della ExxonMobil Italiana Gas S.r.l. Murano è anche Presidente della SARPOM S.r.l., membro del Consiglio di Amministrazione di Terminale GNL Adriatico S.r.l. e membro del Board dell’American Chamber of Commerce in Italy.

LA PAROLA CHIAVE È GRADUALITA’

“Gradualità – che non vuol dire prorogare o dilazionare – è la parola chiave per il raggiungimento di obiettivi accettati e condivisi, perché le criticità di questi ultimi anni, non solo energetiche, hanno dimostrato la necessità e il valore della diversificazione delle fonti, senza la quale viene meno la sicurezza energetica che è alla base della sostenibilità, da intendere nella più ampia accezione del termine: ambientale, economica e sociale”, ha detto Murano durante il suo intervento. “Concetti su cui Unem insiste da anni e che oggi sono evidenti e sottolineati da più parti come essenziali per il successo della transizione – ha aggiunto -. Ne abbiamo avuto ampia prova lo scorso anno in Europa, con prezzi del petrolio e del gas arrivati a livelli inusitati e pesanti ricadute su consumatori e imprese, mitigate in parte da un sostanzioso sostegno pubblico”.

TRA IL 2021 E IL 2023 STANZIATI 650 MLD DI EURO IN EUROPA PER PROTEGGERE I CONSUMATORI UE DAI RINCARI ENERGETICI: 93 MLD IN ITALIA

Complessivamente, nel periodo settembre 2021-febbraio 2023, i Paesi UE hanno stanziato quasi 650 miliardi di euro per proteggere i consumatori europei dai rincari energetici: l’Italia con circa 93 miliardi di euro (il 5,2% del Pil) è risultata seconda solo alla Germania che ha contato per circa il 40% del totale allocato.

“Misure che hanno aiutato a tamponare il problema ma non a risolverlo e sicuramente non sostenibili a lungo dal punto di vista economico”, ha spiegato Murano.

“TASSA SUGLI EXTRA PROFITTI HA PENALIZZATO IL SETTORE”

“In questo ambito la tassa sugli extra profitti, che nel 2022 complessivamente ha generato un gettito pari a circa 2,8 miliardi di euro di cui poco meno della metà arrivato dal solo settore petrolifero, applicata peraltro due volte nel nostro Paese, unico caso in Europa e con percentuali ben maggiori della media europea, è andata a penalizzare il nostro settore proprio in un momento in cui ci sarebbe stato bisogno di più risorse da investire nella decarbonizzazione”, ha ammesso il presidente di unem. Che ha aggiunto: “Ci auguriamo che la strada legale intrapresa dai nostri Associati possa rendere giustizia e non finisca come l’ennesima “vittoria di Pirro” come fu nel caso della Robin Hood tax. Ciò dovrebbe fare riflettere su scelte politiche che in qualche modo sono alla base della crisi energetica, dal momento che si sono limitate a introdurre obblighi e divieti, senza una visione strategica di lungo termine”.

A RISCHIO LA DOMANDA PETROLIFERA

Murano ha puntato l’indice anche sulla “iperproduzione” normativa e regolatoria, “di cui il pacchetto ‘Fit for 55’ è solo l’ultima espressione che ha vietato, di fatto, i motori a combustione interna dal 2035, a meno di successive possibili deroghe”.

A suo giudizio, intervenendo in questo modo si è reso “sempre meno interessante per gli operatori investire sullo sviluppo delle fonti di energia tradizionali, che invece si sono rivelate essenziali per affrontare la crisi, e tanto meno su quelle candidate a sostituirle in ottica futura data l’incertezza del quadro”.

“Ciò vale in particolare per il petrolio che dal 2015 ad oggi ha visto dimezzarsi gli investimenti in nuova capacità, mettendo a rischio l’offerta futura e dunque la copertura della domanda”, ha spiegato Murano.

E infatti, un recente studio dell’International Energy Forum (IEF), un’organizzazione sovranazionale che raccoglie i Ministri dell’energia di 72 Paesi sia produttori che consumatori, ha stimato che per prevenire tale rischio servirebbero investimenti annuali pari ad almeno 640 miliardi di dollari, il che equivale ad una spesa cumulata di circa 5.000 miliardi di dollari al 2030, ha ricordato il presidente di Unem.

Lo scorso anno, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), tale spesa è stata pari a 465 miliardi di dollari, l’11% in più rispetto al 2021, mentre quest’anno è stimata intorno ai 500 miliardi, cioè circa il 30% in meno di quanto servirebbe stando alle stime dell’IEF.

“Le prospettive non sono dunque rosee se si considera altresì che nell’ultimo quinquennio il tasso di sostituzione delle riserve (RRR), cioè quanto nuovo petrolio va sostituire quello già estratto, è stato in media del 50% rispetto al 100% di dieci anni fa”, ha evidenziato Murano.

IL PETROLIO AL 2030-2035 SARÀ ANCORA LA PRIMA FONTE DI ENERGIA

“Eppure, gli scenari dell’Aie ci dicono che il petrolio al 2030-2035 sarà ancora la prima fonte di energia, sopravanzata dalle rinnovabili solo nel 2040, anche se, sempre secondo un recente rapporto dell’Aie, potrebbe raggiungere il picco di domanda nel 2028 per poi mantenere un profilo sostanzialmente piatto”, ha proseguito il presidente di unem. “Stando a questi scenari, complessivamente al 2040 le fonti fossili copriranno ancora poco meno del 70%, rispetto al 79% attuale, di una domanda che nello stesso arco di tempo ammonterà a circa 17,5 miliardi/tep, il 17% in più rispetto ad oggi. Gli stessi scenari ci dicono anche che i carburanti liquidi di origine petrolifera, per quanto con una quota crescente di origine biogenica o sintetica (stimata tra il 7 e il 10%), al 2040 soddisferanno circa l’85-90% della domanda del trasporti rispetto al 94% attuale”.

“Uno degli aspetti critici è che gli investimenti nella raffinazione tradizionale nei prossimi anni sono destinati a diminuire dati gli ingenti capitali necessari e la persistente incertezza sulle prospettive a lungo termine per il petrolio, cosa che, a detta dell’Aie, evidenzia il rischio di un potenziale inasprimento nelle forniture di prodotti raffinati a medio termine”, ha puntualizzato Murano.

L’EUROPA DI FRONTE ALLA SFIDA DELLA RAFFINAZIONE

Capitolo raffinazione: Negli ultimi 10 anni in Europa la capacità di raffinazione complessivamente si è ridotta di oltre il 18% rispetto ad un aumento del 25% in Estremo Oriente e Medio Oriente; nello stesso periodo la domanda di prodotti petroliferi in Europa è diminuita dell’11%, mentre in Asia è aumentata del 36%, ha ricordato il presidente di unem che ha sottolineato come “un ulteriore spostamento verso Oriente si avrà nell’arco dei prossimi cinque anni perché si stima che oltre il 70% della nuova capacità netta attesa a quella data, pari a 4,5 milioni barili/giorno, sarà concentrata nelle regioni ad Est di Suez”.

“Un ‘corto’ nella disponibilità di prodotti raffinati è qualcosa che noi europei abbiamo sperimentato lo scorso anno con l’embargo ai prodotti russi, in particolare gasolio, anche se con effetti diversi da Paese a Paese.
In Italia tutto sommato abbiamo limitato i danni grazie ad un’industria dalla raffinazione ancora in grado di soddisfare ampiamente la domanda interna e minimizzare gli impatti sui prezzi”, ha spiegato Murano secondo cui il processo di decarbonizzazione in atto “non sarà immediato, ma richiederà anni. Anni in cui dovremo preoccuparci di continuare ad alimentare non solo il parco veicoli leggeri circolante che attualmente a livello europeo conta 250 milioni di unità – di cui solo l’1,5% elettriche – con un’età media di 12 anni, ma anche i mezzi pesanti, gli aerei e le navi”.

“Essendo la raffinazione un’industria capital intensive chiamata ad investire anche duranti i cicli economici negativi e viste le incertezze legate al suo futuro, la prima preoccupazione dell’Europa dovrebbe perciò essere quella di rendere questo passaggio il più sicuro possibile, con politiche che creino le giuste condizioni per stimolare gli investimenti necessari a riconvertire progressivamente le produzioni verso i nuovi prodotti decarbonizzati a cui ha parzialmente aperto le porte, anche grazie al lavoro del Governo italiano”, ha ammesso Murano.

NUOVI EQUILIBRI SUI MERCATI PETROLIFERI INTERNAZIONALI

“L’Opec Plus, guidata da Arabia Saudita e Russia, ha progressivamente riguadagnato la scena in un contesto di crescente politicizzazione della questione energetica, tornando a sfidare i Paesi consumatori con l’obiettivo di sostenere prezzi del petrolio estremamente volatili”, ha proseguito Murano. “Il Brent, a partire dallo scorso agosto, ha progressivamente perso terreno oscillando in un range di 80-90 dollari/barile rispetto ai 115-120 dollari del trimestre precedente, chiudendo il 2022 con una media di circa 99 dollari/barile – ha continuato il presidente di Unem -. Un valore che è più alto del 40% rispetto al 2021, segno delle difficoltà dell’offerta nel rispondere ad una domanda che, nonostante i timori, nel terzo e quarto trimestre dell’anno ha abbondantemente superato i 100 milioni barili/giorno”.

“La stessa che, stando alle previsioni dell’Aie, quest’anno dovrebbe raggiungere il livello record di 102 milioni barili/giorno, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno (+1,6 milioni vs 2019), superando i 103 milioni nel terzo e quarto trimestre e i 104 nel 2024 – ha spiegato ancora Murano -. Ciò è anche effetto delle scelte dell’Opec Plus che ha deciso, un po’ a sorpresa, di invertire la rotta rispetto al recente passato adottando, dal novembre dello scorso anno ad oggi, politiche di riduzione dell’offerta per un totale circa 4,7 milioni barili/giorno (pari al 5% della capacità totale).Tutto sommato i prezzi sembrano avere reagito in modo piuttosto composto a questi nuovi annunci oscillando nella forchetta di 70-80 dollari/barile, ma l’offerta rischia diventare rapidamente insufficiente nella seconda parte dell’anno, vista la scarsa spare capacity mondiale, stimata nel 2-3% della domanda, legata alle difficoltà produttive non solo dei Paesi Opec”.

“Ciò che accadrà sul fronte dei prezzi nel prosieguo dell’anno è perciò difficile da dire viste le molte incertezze che ancora ci sono, sia dal punto di vista macroeconomico che geopolitico. A meno di un inasprimento delle tensioni con la Russia, possibili anche a seguito del nuovo pacchetto di sanzioni europee, l’undicesimo, adottato pochi giorni fa, che potrebbe spingere le quotazioni oltre la soglia dei 100 dollari/barile, dato il contesto al momento le stime per il 2023 sono di un prezzo del petrolio abbastanza stabile intorno agli 80 dollari/barile”, ha detto Murano.

UNO SGUARDO AL MERCATO ITALIANO

Per quanto riguarda l’Italia “gli alti prezzi che hanno caratterizzato il 2022 non solo hanno determinato un deciso calo della domanda di energia stimato nel 4,5% rispetto al 2021, ma hanno anche generato un fenomeno inflattivo che nei primi cinque mesi di quest’anno ha avuto ripercussioni sul sistema produttivo determinando un’ulteriore riduzione della domanda di circa il 6%”, ha detto Murano.

“Nella copertura della domanda si è tuttavia assistito, in questa prima parte dell’anno, ad un progressivo recupero del peso del petrolio che è tornato ad essere la prima fonte di energia con una incidenza sul totale del 38% rispetto al 34% del gas che ha risentito delle molteplici misure di risparmio adottate per fare fronte alla crisi delle forniture russe, nonché della debolezza della domanda industriale e delle temperature eccezionalmente miti”.

“La fonte petrolifera, principalmente utilizzata per il trasporto e dunque meno interessata dalle misure di risparmio, si è dimostrata essere anche un valido sostituto del gas nella termoelettrica, con consumi che nel 2022 sono praticamente raddoppiati rispetto all’anno precedente (da 1,8 a 3,5 Mtep), data la possibilità per gli impianti industriali, introdotta nel febbraio dello scorso e operativa fino a marzo 2024, di massimizzare l’uso di combustibili diversi dal gas naturale”, ha aggiunto il presidente di Unem.

Per quanto riguarda invece i consumi petroliferi totali nei trasporti, va rilevato che l’Italia è stato l’unico Paese europeo che già nel 2022 “ha più che recuperato i volumi pre-pandemia toccando i massimi degli ultimi dieci anni, con la benzina, divenuta più conveniente del metano, che ha rosicchiato qualche punto percentuale anche al gasolio grazie all’affermarsi delle motorizzazioni ibride che lo scorso anno hanno rappresentato circa il 35% delle nuove immatricolazioni, dato confermato nei primi sei mesi di quest’anno”.

Il gasolio rimane tuttavia il prodotto autotrazione principe, rappresentando circa il 75% dei volumi dei carburanti venduti, di cui il 35% sul canale extra-rete dove si riforniscono perlopiù i mezzi pesanti, ha rilevato Murano.

Dal punto di vista della provenienza si è invece registrata una diversificazione delle aree di arrivo del greggio lavorato, nessuna delle quali supera la quota del 18%: “sintomo di grande elasticità e garanzia di sicurezza negli approvvigionamenti”, ha chiosato Murano.

IMPORTATI 82 TIPI DI GREGGIO DA 28 PAESI

Complessivamente nel 2022 le raffinerie italiane hanno importato 82 tipi di greggi provenienti da 28 Paesi diversi, per un totale di 62,5 milioni di tonnellate (+9,6% rispetto al 2021). La flessibilità e resilienza del settore è stata confermata anche in questo avvio di 2023, con lavorazioni che nei primi quattro mesi sono ammontate ad oltre 22 milioni di tonnellate di greggio e semilavorati, in progresso del 7,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e superiori di oltre il 3% rispetto all’ultimo anno pre-pandemico.

POSITIVO L’EXPORT

Positivo anche l’andamento delle esportazioni che lo scorso anno sono ammontate a 28,3 milioni di tonnellate (+3,7% vs 2021) per un controvalore di circa 25 miliardi di euro in termini di contributo alla bilancia commerciale.
Nei primi quattro mesi di quest’anno sono già cresciute di quasi il 14% pari a circa 6 miliardi di euro sempre in termini di contributo alla bilancia commerciale.

“Data la crisi e la conseguente esplosione del costo dell’energia, nel 2022 la fattura energetica con 114 miliardi di euro, cioè 64 miliardi in più del 2021 di cui oltre il 61% imputabile alla crescita dei prezzi gas, ha superato ogni record storico”, ha evidenziato il presidente di Unem.

FATTURA ENERGETICA A 77-78 MLD DI EURO PER IL 2023

Quanto alla fattura petrolifera, sempre nel 2022, è stata pari a circa 33 miliardi di euro, 13 miliardi in più del 2021, con un’incidenza di circa il 29% su quella energetica. La stima per il 2023 è di 77-78 miliardi di euro per quella energetica e di 24-25 miliardi per quella petrolifera.

“NON CONDIVIDIAMO I NUOVI CARTELLONI PER I DISTRIBUTORI”

“Rispetto all’area euro, nei primi 6 mesi di quest’anno lo ‘stacco industriale’, ossia il confronto tra prezzo industriale in Italia e la media di quello dell’area euro, è stato negativo per 3-4 centesimi a fronte di uno ‘stacco fiscale’ positivo di 10-13 centesimi. Il dibattito che si è sviluppato nei mesi successivi al ripristino dell’accisa piena ha determinato una nuova misura di obbligo per il nostro settore e cioè l’introduzione, dal prossimo 1° agosto, di un nuovo cartellone sui punti vendita indicante il prezzo medio regionale per la rete stradale e nazionale per quella autostradale. Una misura che non ci sentiamo di condividere che, oltre a rappresentare un nuovo onere per gli operatori, rischia di generare confusione nel consumatore”, ha affermato Murano.

SUI SAD USCIRE DALL’EQUIVOCO DEI BENEFICIARI

Per quanto riguarda l’eliminazione dei “sussidi ambientalmente dannosi” (SAD) “occorre ricordare che, restando ai fossili, i ‘sussidi’ non operano a favore delle società produttrici e distributrici dei carburanti, ma a favore di particolari categorie di consumatori in forma sgravi fiscali e agevolazioni, con finalità di sostegno alla competitività e all’occupazione: il ‘sussidio’ va dunque al consumatore e non al produttore del bene.
Se l’obiettivo, come si legge nel ‘Catalogo’, è quello di eliminare entro il 2025 i ‘sussidi’ ai fossili, in cui rientra impropriamente la differenza di accisa tra benzina e gasolio, oltre alla riduzione dell’accisa sul gasolio per gli autotrasportatori con i mezzi più efficienti (euro V e VI), per l’agricoltura, per la navigazione e per l’aviazione, ma anche per i carburanti utilizzati da taxi, ambulanze e Forze armate, misure che tutte insieme valgono oltre 6 miliardi di euro, dovrebbe essere detto altrettanto chiaramente che ciò si tradurrebbe in aumento automatico della fiscalità su questi prodotti a discapito della competitività delle categorie economiche che ne usufruiscono ovvero nell’individuazione, non impossibile, di misure fiscali alternative per mitigarne l’impatto su quelle stesse categorie”, ha affermato il presidente di Unem.

“Solo uscendo da questo equivoco potremo affrontare seriamente il tema complessivo del riassetto della fiscalità sull’energia in chiave strutturale e prospettica, come previsto dalla stessa proposta della Commissione UE nell’ambito del pacchetto ‘Fit for 55’”, ha precisato.

RAZIONALIZZARE LA RETE CARBURANTI

“Con una prospettiva in cui prevarrà una pluralità di carburanti con una componente fossile sempre minore, così come si affermerà una pluralità di offerta, appaiono evidenti i limiti di una rete distribuzione carburanti che oggi in Italia conta 21.700 punti vendita, certamente capillare ma anche sovradimensionata e inefficiente, che dovrà razionalizzarsi nel numero ed ammodernarsi per rispondere alla sfida della decarbonizzazione ed erogare tutte le diverse energie e servizi per la mobilità”, ha chiarito ancora Murano. “Da questo punto di vista è assolutamente da condividere l’iniziativa del Mimit di avviare a inizio anno un tavolo di confronto proprio sui temi della ristrutturazione e ammodernamento della rete, che è poi l’oggetto della seconda tavola rotonda della giornata”.

“Per quanto ci riguarda – ha aggiunto il presidente di Unem -, siamo assolutamente favorevoli a strumenti che si fondano sulla modernizzazione, digitalizzazione e conversione verso la decarbonizzazione.
Uno dei combinati disposti della razionalizzazione della rete deve poi essere la lotta all’illegalità, piaga che colpisce questo settore, penalizza i più onesti e dà spazio alla malavita organizzata che appare evidentemente ben attrezzata per infiltrarsi non solo nel settore dei carburanti ma anche dei biocarburanti.
L’intervento legislativo è quindi cruciale per recuperare gettito fiscale ma anche una sana competitività del settore”.

NON ESISTE UNA SOLUZIONE VINCENTE PER LA TRANSIZIONE, OCCORRE PUNTARE SULLA NEUTRALITÀ TECNOLOGICA

“Ciò che è ormai evidente a tutti è il fatto che non esiste al momento la soluzione vincente per la transizione energetica, ma esistono più opportunità e più soluzioni. La transizione energetica si conferma ancora una volta un problema complesso, fluido e con una molteplicità di sbocchi”, ha concluso Murano. “Nei nostri studi degli ultimi anni abbiamo dimostrato come già esistono prodotti, tra cui i biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuels, che permetterebbero di ottenere un immediato abbattimento della CO2 su tutto il parco circolante e sul trasporto aereo e marittimo, garantendo soluzioni accessibili a tutti i cittadini. Prodotti che, tra l’altro, hanno pienamente soddisfatto, superandolo, il contributo di energia rinnovabile nei trasporti a loro attribuito dal Pniec 2019”.

“Per raggiungere l’obiettivo al 2030 di 6,6 milioni di auto elettriche (4,3 BEV e 2,3 di Plug-in indicati nel nuovo Pniec), bisognerebbe immatricolare per i prossimi 7 anni oltre 940.000 auto elettriche rispetto alle 117.000 dello scorso anno e alle 59.000 dei primi 5 mesi del 2023, cioè oltre il 70% di tutto l’immatricolato dello scorso anno.
Sarà perciò essenziale mettere in campo misure concrete di incentivi sia alla produzione, con la progressiva trasformazione delle materie prime lavorate dalle raffinerie, sia alla domanda per favorire la penetrazione dei LCF, come chiede anche la UE, senza però creare parallelamente obblighi che penalizzano il settore e ostacolano la ricerca e lo sviluppo”, ha continuato il presidente di Unem.

“Da parte nostra abbiamo previsto 8-9 miliardi di euro di investimenti addizionali per la trasformazione dell’intera filiera, volti appunto a potenziare la nostra capacità produttiva sui biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuels, per lo sviluppo dell’idrogeno verde e degli e-fuels, su cui è stato introdotto un obbligo specifico essendo una tecnologia già riconosciuta dalla UE anche per i nuovi veicoli post 2035, nonché per la gestione delle emissioni all’interno delle raffinerie e la realizzazione di impianti per la cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2 (CCS, CCSU): serve però una prospettiva che vada oltre il 2035”, ha ammesso Murano. “Per raggiungere l’obiettivo, dunque, non basta disegnare scenari virtuosi e fare ipotesi poco realistiche alla luce di una non chiara e possibile evoluzione tecnologica di alcune opzioni. Occorre pragmatismo e neutralità tecnologica, cosa che è mancata sinora. Servono politiche e interventi che permettano di valorizzare al meglio il contributo delle infrastrutture produttive e distributive attualmente dedicate ai carburanti tradizionali e alle loro possibili evoluzioni. Sono necessari una serie di fattori abilitanti che oggi evidentemente non ci sono a causa di una normativa comunitaria che tende ad escludere piuttosto che includere”.

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