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Acqua

Nel 2022 perdite idriche elevate, soddisferebbero esigenze di 43 mln di persone. Il report Istat

Le reti comunali di distribuzione erogano ogni giorno, nel 2022, per gli usi autorizzati, 214 litri di acqua potabile per abitante (36 litri in meno del 1999)

Nel 2022 l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno. L’Italia è comunque terza in Europa, nel 2022, per il prelievo di acqua potabile per abitante. E le reti comunali di distribuzione erogano ogni giorno, nel 2022, per gli usi autorizzati, 214 litri di acqua potabile per abitante (36 litri in meno del 1999). È quanto emerge dal focus Istat per la Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo.

ELEVATI I PRELIEVI DI ACQUA PER USO POTABILE RISPETTO AI PAESI UE

Nel 2022, il volume di acqua prelevata per uso potabile in Italia è pari a 9,14 miliardi di metri cubi, impiegati per assicurare gli usi idrici quotidiani della popolazione, ma anche di piccole imprese, alberghi, servizi, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegati direttamente alla rete urbana, nonché le richieste pubbliche (scuole, uffici pubblici, ospedali, fontanili, ecc.).
Il prelievo giornaliero di 25,0 milioni di metri cubi, pari a 424 litri per abitante, è reso possibile da una fitta rete di approvvigionamento, sviluppata in base all’ubicazione dei corpi idrici, alle esigenze idriche locali, alla performance del servizio e alle condizioni delle infrastrutture di trasporto dell’acqua. Sul territorio ci sono circa 37.400 fonti di approvvigionamento attive per gli usi idropotabili, mediamente 12 ogni 100 km2.

Un volume molto contenuto di acqua (circa lo 0,1% del totale) viene prelevato da fonti ubicate sul territorio italiano ma è destinato all’approvvigionamento di località estere (Francia, Repubblica di San Marino). Ugualmente, una parte dell’approvvigionamento è garantito da fonti localizzate oltre confine: è il caso del comune di Campione d’Italia (unica exclave, essendo completamente circondato da territorio svizzero) che, nel 2022, ha attinto a fonti situate in Svizzera per garantire una parte della richiesta annua idropotabile.

CONTINUA IL CALO, SEPPUR MODESTO, DEI PRELIEVI DI ACQUA PER USO POTABILE

Nel 2022, prosegue la lenta e modesta contrazione dei volumi prelevati registrata a partire dal 2018. Nonostante il volume prelevato si sia ridotto dello 0,5% rispetto al 2020 (-4% rispetto al 2015), l’Italia si riconferma – da oltre un ventennio – al primo posto nell’Unione europea per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei (escludendo quindi i prelievi da acque marine). Tra i Paesi Ue27 dell’area mediterranea, l’Italia è tra quelli che utilizzano maggiormente acque sotterranee, prelevate da pozzi e sorgenti, per soddisfare le richieste idropotabili della popolazione.

In termini pro capite, il divario tra i Paesi Ue27 è ampio e l’Italia – con 155 metri cubi annui per abitante – si colloca in terza posizione, preceduta solo da Irlanda (200) e Grecia (159), e seguita a netta distanza da Bulgaria (118) e Croazia (111). La maggior parte degli Stati membri (20 su 27) ha prelevato tra 45 e 90 metri cubi di acqua dolce per persona per l’approvvigionamento pubblico. Nella parte bassa della graduatoria si colloca la maggioranza dei Paesi dell’Europa dell’Est. Malta chiude la classifica con 27 metri cubi annui a persona.

Sebbene il 2022 sia stato l’anno più caldo e il meno piovoso dal 1961, come riportato sul Rapporto SNPA (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) “Il clima in Italia nel 2022”, il prelievo ad uso potabile non sembra aver subito, nel complesso, variazioni significative, nonostante a livello locale si siano, in alcuni casi, registrate importanti criticità in determinati periodi dell’anno.
La lieve contrazione dei volumi è piuttosto generalizzata a livello regionale, con l’eccezione di Liguria, Lombardia, Calabria e Sardegna, dove si registra un aumento della risorsa prelevata. Occorre segnalare che Liguria e Lombardia sono tra i casi più evidenti in cui il passaggio al servizio idrico integrato, avvenuto per alcuni comuni nel biennio 2021-2022, ha prodotto variazioni significative rispetto alle stime effettuate precedentemente dai gestori in economia.

NEL DISTRETTO IDROGRAFICO DEL FIUME PO IL MAGGIORE PRELIEVO DI ACQUA POTABILE

Nel 2022, il maggiore prelievo di acqua per uso potabile avviene nel distretto idrografico del Fiume Po: 2,80 miliardi di metri cubi (30,7% del totale nazionale), segue il distretto idrografico dell’Appennino meridionale (2,32 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile, 25,4% del volume nazionale).

Si conferma il consueto assetto tra le regioni, che vede la Lombardia con il volume maggiore di acqua prelevata per uso potabile (1,48 miliardi di metri cubi; 16,2% del totale nazionale). Quantitativi consistenti sono captati anche nel Lazio (1,12 miliardi di metri cubi; 12,2%) e in Campania (0,90; 9,8%).

I volumi regionali pro capite, strettamente legati alla disponibilità della risorsa, presentano un range molto ampio: dai 110 litri per abitante al giorno della Puglia ai 2.160 del Molise. Gli scambi idrici interregionali sono presenti soprattutto nel Sud: i prelievi di Basilicata e Molise, al netto delle dispersioni in adduzione e di eventuali usi locali all’ingrosso per industria e agricoltura, confluiscono in parte nelle regioni confinanti per approvvigionare i territori in cui la disponibilità idrica locale è insufficiente.

ACQUE SOTTERRANEE, RISORSA PREZIOSA PER L’USO IDROPOTABILE DELLE NOSTRE CITTÀ

Nel 2022, l’84,7% del prelievo deriva da acque sotterranee (48,5% da pozzo e 36,2% da sorgente) e il 15,2% da acque superficiali (bacino artificiale, corso d’acqua superficiale e lago naturale). A integrazione delle fonti di acqua dolce, per sopperire alle carenze idriche, una piccola parte del prelievo è derivata da acque marine o salmastre (lo 0,1% del totale), concentrata soprattutto in Sicilia per approvvigionare le isole minori, e in minima parte anche in Toscana e Lazio.

Le fonti sotterranee sono la modalità di approvvigionamento prevalente in Italia, con quote superiori al 75% in tutti i distretti idrografici, ad eccezione della Sardegna in cui lo sfruttamento di sorgenti e pozzi è piuttosto contenuto e incide sul 21% circa del prelievo. L’uso di fonti sotterranee è preponderante nei distretti Appennino centrale e Alpi orientali, dove rappresenta oltre il 94% del prelevato.

Lo sfruttamento di sorgenti a scopo idropotabile prevale nel distretto Appennino centrale (70% circa del volume complessivo), seguito dal distretto dell’Appennino meridionale (48% circa). L’utilizzo di pozzi è peculiare del distretto del Fiume Po, soprattutto nell’area della pianura padana, che concorre al 42,1% del volume complessivamente prelevato a livello nazionale da questo tipo di fonte.

L’uso idropotabile di acque superficiali è prevalente nel distretto della Sardegna, soprattutto per i prelievi da bacino artificiale che incidono sul 78,6% del volume complessivo. Rispetto al volume prelevato, il ricorso ad acque superficiali è massimo nel distretto Appennino meridionale (oltre 436 milioni di metri cubi, pari al 31,4% del rispettivo volume nazionale).

IN CALO I VOLUMI EROGATI NELLE RETI DI DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA POTABILE

Il volume di acqua prelevato per uso potabile si riduce all’ingresso del sistema di distribuzione per le perdite di processo nel trattamento di potabilizzazione, per le dispersioni nella rete di adduzione e per i volumi addotti all’ingrosso per usi non civili (agricoltura e industria).

Nel 2022, sono immessi nelle reti comunali 8,0 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile (371 litri per abitante al giorno). I volumi immessi giornalieri pro capite variano molto a livello regionale: dai 262 litri giornalieri per abitante in Puglia ai 596 della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Il volume immesso in rete si riduce dell’1,4% rispetto al 2020. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,6 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati (214 litri per abitante al giorno), comprensivi sia dei volumi fatturati sia di quelli non fatturati.

Il volume erogato si riduce dell’1,6% rispetto al 2020, prosegue così la lenta contrazione dei consumi di acqua che si osserva ormai da oltre vent’anni correlata alla maggiore attenzione all’utilizzo efficiente della risorsa idrica e ai relativi costi, promosso anche dalle campagne di contenimento dei consumi di molti gestori, nonché al contingentamento della risorsa che si è reso necessario in alcuni territori per l’emergenza idrica e a un miglior monitoraggio dei consumi. Rispetto al 1999 il volume erogato registra una diminuzione del 13% in volume e di 36 litri del pro capite giornaliero.

EROGAZIONE PIÙ ELEVATA NEI COMUNI DEL NORD E NEI CAPOLUOGHI

L’erogazione giornaliera pro capite di acqua potabile è mediamente più elevata nei comuni del Nord e massima nel Nord-ovest (251 litri per abitante al giorno), che presenta un significativo differenziale regionale (dai 232 litri per abitante al giorno del Piemonte ai 419 della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, regione con il valore più elevato). La presenza di fontanili nei centri urbani, soprattutto nelle zone di montagna, può dar luogo a erogazioni considerevoli, sebbene nel 2022 alcuni gestori abbiano dichiarato di averli tenuti chiusi per una parte dell’anno a causa dell’emergenza idrica in atto.
Le Isole si confermano, anche in questa tornata censuaria, come la ripartizione geografica con il minore volume di acqua erogato pro capite (186 litri per abitante al giorno), nonostante a livello regionale i valori dell’indicatore più bassi si osservino in Puglia (156) e Umbria (167).

Nel 2022, nei 109 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana sono erogati 1,5 miliardi di metri cubi per gli usi autorizzati, pari a 236 litri per abitante al giorno, 22 litri giornalieri in più del dato nazionale, a causa della maggiore attrattività di queste città per turismo, lavoro, salute e studio.

ANCORA PERSISTENTI LE PERDITE IDRICHE NELLE RETI COMUNALI DI DISTRIBUZIONE

Nel 2022, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua è pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,4% dell’acqua immessa in rete. L’indicatore è in leggerissima risalita rispetto al 2020 (quando era al 42,2%), a conferma del persistente stato d’inefficienza di molte reti di distribuzione.

Nonostante negli ultimi anni molti gestori del servizio idrico abbiano avviato iniziative per garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi e il contenimento delle perdite di rete, la quantità di acqua dispersa in distribuzione continua a rappresentare un volume considerevole, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2022 soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno (che corrisponde a circa il 75% della popolazione italiana).

Le perdite totali di rete sono da attribuire a: fattori fisiologici, presenti in tutte le infrastrutture idriche in quanto non esiste un sistema a perdite zero; rotture nelle condotte e vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio; fattori amministrativi, dovuti a errori di misura dei contatori e usi non autorizzati (allacci abusivi).

Sebbene le perdite abbiano un andamento molto variabile, le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono il consolidato gradiente Nord-Sud, con le situazioni più critiche nelle aree del Centro e Mezzogiorno, ricadenti nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare.

Nel 2022, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8%), la Sicilia (51,6%) e l’Appennino meridionale (50,4%), seguito dall’Appennino centrale (45,5%). L’indicatore raggiunge, invece, il valore minimo nel distretto del Fiume Po (32,5%) e risulta di poco inferiore al dato nazionale nei distretti delle Alpi orientali (40,9%) e Appennino settentrionale (40,6%).

PERDITE IDRICHE IN AUMENTO IN PIÙ DELLA METÀ DELLE REGIONI

In nove regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al dato nazionale, con i valori più alti in Basilicata (65,5%), Abruzzo (62,5%), Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno un livello di perdite inferiore, con Veneto (42,2%) e Friuli-Venezia Giulia (42,3%) in linea col dato nazionale. Nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen (28,8%), in Emilia-Romagna (29,7%) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (29,8%) si registrano le perdite minori.

In 13 regioni e province autonome su 21 e in tre distretti idrografici su sette aumentano le perdite idriche totali in distribuzione. Occorre considerare che le variazioni rilevate possono dipendere non solo dallo stato delle reti, ma anche da variazioni nelle modalità di calcolo dei volumi consumati ma non misurati al contatore, dalla crescente diffusione di strumenti di misura, che sono più efficaci nell’evidenziare le situazioni critiche, da situazioni contingenti e cambiamenti gestionali che possono modificare il sistema di contabilizzazione dei volumi.

PERDITE IDRICHE IN DISTRIBUZIONE IN CALO NEI CAPOLUOGHI DI PROVINCIA

Nel 2022, nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile dei 109 comuni capoluoghi di provincia e città metropolitana, a fronte dei 2,3 miliardi di metri cubi di acqua immessa in rete (364 litri per abitante al giorno), sono andati dispersi 0,8 miliardi di metri cubi, il 35,2% del volume immesso.

Proseguendo la tendenza già segnata a partire dal 2018, le perdite totali in distribuzione nei capoluoghi si riducono di un punto percentuale rispetto al 2020 (quando erano al 36,2%) e sono più basse di circa 10 punti percentuali rispetto agli altri comuni, a conferma del fatto che in queste città sono più concentrati gli investimenti dei gestori del servizio idrico (a livello nazionale, invece, le perdite continuano ad aumentare, anche se di poco). Le dispersioni, proporzionali alla lunghezza dell’infrastruttura e al numero degli allacci, hanno determinato una perdita giornaliera per chilometro di rete di distribuzione (con l’esclusione delle condotte di allaccio) pari a circa 40 metri cubi (41 nel 2020).

In più di un capoluogo su tre si registrano perdite totali in distribuzione superiori al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori pari ad almeno il 65%, sono a Potenza (71,0%), Chieti (70,4%), L’Aquila (68,9%), Latina (67,7%), Cosenza (66,5%), Campobasso (66,4%), Massa (65,3%), Siracusa (65,2%) e Vibo Valentia (65,0%). Una situazione infrastrutturale più favorevole, con perdite inferiori al 25%, si verifica in circa un capoluogo su quattro. Perdite inferiori al 15% si rilevano in sette città: Como (9,2%), Pavia (9,4%), Monza (11,0%), Lecce (12,0%), Pordenone (12,1%), Milano (13,4%) e Macerata (13,9%).

Nei capoluoghi in cui la performance del servizio peggiora rispetto al 2020, il gestore attribuisce in molti casi il risultato a una più corretta registrazione dei volumi (Cosenza, Imperia, L’Aquila e Sondrio, tra gli altri). Di contro, dove registrata, la riduzione delle perdite è dovuta principalmente alle attività di riorganizzazione della rete di distribuzione in microaree omogenee (distrettualizzazione), che hanno consentito di ridurre le pressioni di esercizio e di rilevare le perdite occulte (tra gli altri, Roma e Como).

L’ACQUA DEPURATA È NETTAMENTE SUPERIORE ALL’ACQUA POTABILE EROGATA

Le acque trattate provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue urbane possono rappresentare una fonte di approvvigionamento di acqua “non convenzionale” utile per integrare i volumi utilizzati per diverse finalità, escluso l’uso potabile, quali: l’irrigazione, alcuni processi industriali particolarmente idroesigenti, diversi usi civili (quali, lavaggio strade, antincendio, fontane ornamentali) e servizi ambientali (quali, alimentazione aree umide). In tal senso possono contribuire a ridurre il prelievo di risorsa primaria e a fare fronte alla maggiore frequenza di periodi di scarsità idrica, risultato dei cambiamenti climatici in atto e del perdurare di storiche inefficienze di molte infrastrutture idriche.

Nel 2020, sul territorio nazionale risultano in esercizio 18.042 impianti di depurazione delle acque reflue urbane: il 56,3% è costituito da vasche Imhoff e impianti di tipo primario, il 32,5% da impianti con trattamento di tipo secondario e l’11,1% di tipo avanzato. Questi impianti sono stati progettati per trattare complessivamente un carico massimo di inquinanti organici biodegradabili pari a 107 milioni di abitanti equivalenti. Il relativo carico inquinante medio effettivo confluito negli impianti corrisponde a circa 67 milioni di abitanti equivalenti totali, del quale il 29,2% è depurato con trattamento di tipo secondario e il 65,2% di tipo avanzato.

Il volume totale di acqua reflua confluito in tutti gli impianti di depurazione in esercizio è pari a 6,7 miliardi di metri cubi; tale valore è nettamente superiore (il 43% in più) a quello dell’acqua potabile erogata agli utenti finali (4,7 miliardi di metri cubi) e scaricato, nella maggior parte dei casi, nella rete fognaria pubblica. Ciò è dovuto al fatto che nella fognatura comunale confluiscono anche una parte degli scarichi industriali, diversi corsi d’acqua tombati nelle aree urbane e le acque parassite.

DAI DEPURATORI AVANZATI UN QUARTO DELL’ACQUA PER AGRICOLTURA E INDUSTRIA

Il 70% del volume confluito negli impianti di depurazione, corrispondente complessivamente a 4,7 miliardi di metri cubi (poco meno del volume del lago di Bracciano), subisce un trattamento di tipo avanzato, producendo delle acque di scarico con un miglior livello di qualità rispetto agli altri tipi di trattamento, per il maggiore abbattimento dei carichi inquinanti. Tale volume può essere considerato una risorsa potenzialmente disponibile per successivi riutilizzi ed equivale a poco meno di un quarto (22%) dei prelievi complessivi effettuati in media nel periodo 2015-2019 per gli usi irrigui e industriali.

La quota maggiore di volume (38%) è generata dai depuratori di tipo avanzato presenti nel Nord-ovest, il 24% nel Nord-est e il 21% nel Centro. Nelle Isole viene trattato il 4% dei volumi nazionale. Gli impianti avanzati della sola regione Lombardia trattano il 27% del volume complessivo di acqua
(1,3 miliardi di metri cubi); tutte le altre regioni contribuiscono con quantità inferiori al 12%: il Lazio con l’11% e 529 milioni di metri cubi, e il Piemonte con il 10% e 476 milioni di metri cubi. La Lombardia conta il maggior numero di depuratori con trattamento avanzato, il 19% del totale, mentre nel Lazio sono il 9% e in Piemonte il 4%. Il Veneto e l’Emilia-Romagna, con più impianti rispetto a Lazio e Piemonte, trattano all’incirca le stesse quantità di reflui: rispettivamente il 10% e il 9%.

IRRIGATO MENO DI UN QUINTO DELLA SUPERFICIE AGRICOLA UTILIZZATA

L’acqua svolge un ruolo cruciale in agricoltura, in particolare per l’irrigazione che rappresenta la maggiore pressione sulla risorsa idrica, soprattutto nei territori in cui precipitazioni e umidità del suolo non sono sufficienti a garantire il fabbisogno idrico delle colture.

Nell’annata agraria 2019-2020 la superficie irrigabile delle aziende agricole italiane, ovvero la superficie attrezzata per l’irrigazione, è pari a 3.808 migliaia di ettari (il 30,6% della superficie agricola utilizzata – SAU), distribuiti su circa 484 mila aziende, il 42,8% del totale delle aziende agricole.

A fronte della superficie potenzialmente irrigabile, la superficie effettivamente irrigata può variare notevolmente, di anno in anno e sul territorio, a seconda delle condizioni meteoclimatiche e delle colture praticate. Nell’annata agraria 2019-2020 l’irrigazione è effettuata dal 34,1% delle aziende agricole: quasi 386 mila le aziende che irrigano una superficie di 2.358 migliaia di ettari.
Rispetto al 1990 la superficie irrigata registra un decremento del 12,7%, associato a una riduzione della SAU del 17,3%, da cui consegue una, seppur modesta, maggiore propensione all’irrigazione. Il numero di aziende che ha praticato l’irrigazione si riduce del 58%, per effetto di un decremento del numero complessivo di aziende del 60,2% e del relativo aumento della dimensione media aziendale, complice anche la crisi economica degli ultimi anni.

Nel complesso, nel 2020, la tendenza all’utilizzo delle potenzialità irrigue, misurata dal rapporto percentuale tra la superficie irrigata e la superficie irrigabile, è pari al 61,9% a livello nazionale, mentre la propensione all’irrigazione, valutabile rapportando la superficie irrigata al totale della SAU, è pari al 19,0%.

L’analisi a livello regionale evidenzia che in Lombardia si concentra il 22,4% della superficie irrigata nazionale; seguono Piemonte (14,0%) e Veneto (13,6%). La propensione regionale all’irrigazione è più elevata in Lombardia (54,3%), seguono – con valori superiori al 25% – Veneto (39,7%), Piemonte (35,9%), Friuli-Venezia Giulia (35,5%), Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (26,0%) ed Emilia-Romagna (25,4%). Nelle Marche, di contro, si registra la minore propensione all’irrigazione, con solo il 2,4% della SAU irrigata; valori inferiori al 10% si rilevano anche in Toscana, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna.

NEL MEZZOGIORNO LE MAGGIORI LAMENTELE PER IRREGOLARITÀ NELL’EROGAZIONE DELL’ACQUA

Nel 2023, la quota di famiglie che lamentano irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle loro abitazioni è pari all’8,9% ed è in lieve diminuzione rispetto al 2022 (9,7%). Il disservizio investe le regioni in percentuali molto diverse e interessa circa 2 milioni 300mila famiglie; tra queste, oltre i due terzi è residente nel Mezzogiorno (1,6 milioni di famiglie). Calabria (38,7% di famiglie) e Sicilia (29,5%) sono le regioni più esposte ai problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni. Diametralmente opposta la situazione nel Nord-ovest (3,1%) e nel Nord-est (2,6%), mentre nel Centro meno di una famiglia su 10 denuncia irregolarità nel servizio di erogazione.

L’irregolarità nell’erogazione dell’acqua è avvertita durante tutto l’anno dal 37,6% delle famiglie, durante il periodo estivo dal 31,3%, mentre è considerato un evento sporadico dal 30,1%.

Oltre la metà delle famiglie (55,7%) valuta adeguati i costi sostenuti per l’erogazione dell’acqua, mentre oltre una su tre (il 37,2%) li giudica elevati. L’insoddisfazione per l’entità della spesa è più diffusa nelle Isole (53,3%), nel Sud (41,2%) e nel Centro (41,1%); più contenuta nel Nord-ovest (31,8%) e nel Nord-est (27,8%).

ANCORA POCA FIDUCIA NELL’ACQUA DI RUBINETTO

Nel 2023, le famiglie che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto sono il 28,8%. Il dato è stabile rispetto al 2022, anche se riflette una preoccupazione decisamente minore rispetto a 20 anni fa (erano il 40,1% nel 2002). Permangono invece notevoli differenze sul piano territoriale: si passa dal 18,9% nel Nord-est al 53,4% nelle Isole. A livello regionale, le percentuali più alte si riscontrano in Sicilia (56,3%), Sardegna (45,3%), Calabria (41,4%) e Abruzzo (35,1%).

UMBRIA SEMPRE IN TESTA PER IL CONSUMO DI ACQUA MINERALE

Nel 2023, la quota di persone di 11 anni e più che consuma almeno mezzo litro di acqua minerale al giorno è pari all’81,8% ed è sostanzialmente invariata rispetto al 2022. Il maggiore consumo di acqua minerale si registra nel Nord-ovest (87,2%) e nelle Isole (84,8%), quello minore nel Sud (74,3 %). In particolare, a livello regionale, l’Umbria mantiene il primato nel consumo di acqua minerale (90,3%), mentre nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen si registra il valore minimo (59,3%).

NELLE ISOLE LA MAGGIOR INSODDISFAZIONE PER IL SERVIZIO IDRICO

Nel 2023, l’86,4% delle famiglie allacciate alla rete idrica comunale si ritiene molto o abbastanza soddisfatto del servizio idrico. Il livello di soddisfazione varia però in misura piuttosto marcata sul territorio: sono molto o abbastanza soddisfatte oltre il 90% delle famiglie residenti al Nord, l’86,2% di quelle del Centro e l’81,8% nel Sud; nelle Isole la percentuale raggiunge il minimo (69,8%).

Oltre due famiglie su tre (il 67,1%) dichiarano di essere soddisfatte (molto o abbastanza) della comprensibilità delle bollette. Nel Mezzogiorno si rileva un livello di insoddisfazione (poco o per niente soddisfatte) sensibilmente al di sopra della media nazionale (43,6% nelle Isole e 38,4% nel Sud), con valori più alti in Sicilia (46,1%), Abruzzo (42,1%) e Basilicata (42,0%).

La frequenza di lettura dei contatori è molto o abbastanza soddisfacente per circa otto famiglie su 10 (77,6%). Tra le famiglie poco o per niente soddisfatte (il 22,5% in media nazionale) si riscontra un forte divario territoriale, con elevate percentuali di bassa soddisfazione soprattutto in Sicilia (41,6%), Calabria (38,8%) e Abruzzo (36,7%).

Rispetto al giudizio sulla frequenza della fatturazione, la percentuale di famiglie molto o abbastanza soddisfatte è l’81,7% del totale, con un forte differenziale territoriale. In Calabria la percentuale di famiglie poco o per niente soddisfatte raggiunge il 38,9%, in Sicilia il 37,5% e in Abruzzo il 30,6%.

ALTA PREOCCUPAZIONE PER I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Gli effetti dei cambiamenti climatici e/o dell’effetto serra rientrano tra i cinque problemi ambientali che preoccupano di più le persone con almeno 14 anni, come riferito dal 70,8% degli intervistati nel 2023 (quota stabile rispetto al 2022). Il livello massimo di preoccupazione è nel Nord-ovest (72,7%), minimo al Sud (67,8%).

Nel 2023, quasi quattro persone di 14 anni e più su 10 si dichiarano preoccupate per l’inquinamento delle acque (38%), valore che sale al 40,9% al Nord mentre nel Centro e nel Sud si attesta, rispettivamente, al 37,8% e al 34,7%. Una maggiore sensibilità sul tema viene espressa dai giovani tra i 14 e i 24 anni (39,3%) rispetto a un 33,1% dichiarato da parte degli over 75enni.

Il dissesto idrogeologico (frane e alluvioni) preoccupa il 26,5% delle persone di 14 anni e più, dato in crescita di 4,2 punti percentuali rispetto al 2022; la percentuale più elevata si osserva tra i 60 e i 64 anni (31,4%). Tra le regioni del Centro-nord si rileva un aumento di quasi 11 punti percentuali nelle Marche, di circa sei in Umbria, Emilia-Romagna e Toscana. Nel Mezzogiorno si registra un aumento di quasi otto punti percentuali in Basilicata, sette in Puglia e sei in Calabria.

Nel 2023 quasi il 70% delle persone di almeno 14 anni dichiara di prestare attenzione a non sprecare acqua, a conferma della crescente consapevolezza della necessità di una corretta gestione delle risorse naturali. Permangono però differenze regionali significative, con quote che assumono il valore minimo in Calabria (65%) e massimo in Liguria (77,4%).

IN LIEVE CALO I PRELIEVI DI ACQUE MINERALI NATURALI

Nel 2021, i prelievi nazionali di acque minerali naturali a fini di produzione si attestano sui 19,1 milioni di metri cubi, con un calo del -3,4% rispetto al 2020, interrompendo la tendenza all’aumento delle estrazioni complessive che si era registrata dal 2015 (primo anno rilevato dall’Istat), con un tasso medio annuo pari al +4% circa.
Sono 318 le concessioni minerarie rilasciate dalle istituzioni pubbliche locali competenti in materia estrattiva vigenti nel Paese e 212 i comuni che nel proprio territorio ospitano almeno un’attività di prelievo di acque minerali.

I prelievi nazionali si concentrano per oltre la metà al Nord (52,9%) con circa 10,1 milioni di metri cubi (di cui 7,5 nel Nord-ovest) e al Sud (23,1%). La Lombardia si colloca in testa con quasi 3,9 milioni di metri cubi, seguita dal Piemonte (3,3), regioni che insieme contano il 37,5% delle quantità estratte in Italia. Molto rappresentative anche la Campania con circa 2,4 milioni di metri cubi prelevati, Veneto (1,9) e Umbria (poco meno di 1,3).

Nel 2021, la diminuzione dei volumi di acque minerali prelevati rispetto all’anno precedente interessa in particolare il Nord-est (-21,9%, equivalente a 735,6 mila metri cubi in meno), seguito dalle Isole (-5%). Alle minori estrazioni contribuiscono 11 regioni, in particolare Basilicata (-40,8%) ed Emilia-Romagna (-29,5%), dove sono stati prelevati rispettivamente 388 e 137 mila metri cubi in meno rispetto al 2020, seguite dalla Puglia (-29,5%, circa -44 mila metri cubi estratti). In controtendenza, la Campania con un aumento dei prelievi del 18,5% (vale a dire 372,4 mila metri cubi estratti in più), Marche (+9,6%) e Lombardia (+8%).

L’indicatore di pressione ambientale Intensità di estrazione (IE), calcolato come rapporto fra volumi prelevati e superficie territoriale di riferimento, a livello nazionale raggiunge i 63 metri cubi estratti per chilometro quadrato (-3,1% sul 2020). Tale indicatore segna il valore più alto nel Nord-ovest, con 129 metri cubi per chilometro quadrato, soprattutto per la significativa intensità di estrazione registrata per Lombardia (163 metri cubi/km2) e Piemonte (129), mentre il valore più basso afferisce alle Isole (26).

Nel 2021 i prelievi di acque minerali naturali si concentrano nel distretto idrografico del Fiume Po per il 40,7% del totale nazionale (circa 7,8 milioni di metri cubi), seguito dal distretto dell’Appennino meridionale, con quasi 4 milioni di metri cubi (20,8% del totale nazionale). Contando rispettivamente il 12% e il 14,5% dei prelievi nazionali, nei distretti delle Alpi orientali e Appennino centrale complessivamente sono prelevati quasi 5 milioni di metri cubi di acque minerali. I distretti idrografici Sicilia e Appenino settentrionale assicurano circa un milione di metri cubi ciascuno e, insieme alla Sardegna (354 mila metri cubi), rappresentano il 12% dei prelievi nel Paese. L’indicatore Intensità di Estrazione è più alto nel distretto idrografico del Fiume Po (94 metri cubi/km2), seguono i distretti Alpi orientali e Appennino centrale (66) e Appennino meridionale (58).

IN AUMENTO IL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE E DELL’ACQUA

Nel 2021 la produzione ai prezzi base di beni e servizi finalizzati alla gestione delle acque reflue e alla gestione dell’acqua (Classe 2 della Cepa, classe 10 della CreMA) si è attestata a 10,7 miliardi di euro (a prezzi correnti) e il valore aggiunto a 4,7 miliardi di euro, con un incremento rispettivamente dell’1,2% e del 5,8% rispetto all’anno precedente. Il comparto rappresenta il 5,9% in termini di produzione e il 7,1% in termini di valore aggiunto dell’intero settore delle ecoindustrie (Conto dei beni e servizi ambientali).

Questi dati includono la produzione realizzata da tutti gli operatori economici (market e non market) e le attività svolte in proprio dai comparti produttivi.

La gestione delle acque reflue assorbe il 96,5% della produzione con un valore di 10,2 miliardi di euro di beni e servizi prodotti e il 96,9% del valore aggiunto con un valore di 4,6 miliardi di euro. La quota più consistente di questi importi è costituita dalla fornitura di servizi di fognatura e depurazione che, incluse le manutenzioni e installazioni di impianti, si attesta a 8,1 miliardi di euro di produzione. La realizzazione di reti di fognatura e di impianti di trattamento delle acque reflue ammonta a 784 milioni di euro.

I servizi di consulenza, di ingegneria, di architettura e di R&S raggiungono i 400 milioni di euro di produzione, mentre 409 milioni di euro è il valore della produzione dei servizi di amministrazione e controllo svolti dalla Pubblica Amministrazione. Infine, la produzione di apparecchi e strumenti utili allo svolgimento delle attività di depurazione delle acque reflue (quali, macchinari e apparati per l’analisi e il filtraggio degli inquinanti, veicoli, carboni attivi) ammonta a 543 milioni di euro.

Dei 10,7 miliardi di euro di produzione complessiva, il 3,5% (pari a 372,3 milioni di euro) è destinato alla gestione delle risorse idriche, cioè alle attività che hanno lo scopo di efficientare il prelievo di acqua, ridurre le perdite nella distribuzione, sostituire l’uso della risorsa idrica con altre risorse alternative, riusare e risparmiare l’acqua. Il 78,3% di questa produzione è destinata alla manutenzione e riparazione delle reti di distribuzione.

AUMENTA LA SPESA PER SERVIZI DI GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE

Nel 2021, l’economia italiana ha speso 10,1 miliardi di euro (a prezzi correnti) per servizi di gestione delle acque reflue, con un incremento rispetto al 2020 del 7%.
Tale ammontare rappresenta il 21,8% delle risorse complessive (46,6 miliardi) destinate alla protezione dell’ambiente e cioè alla prevenzione, riduzione ed eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale. Oltre alla gestione dei reflui la spesa complessiva per la protezione ambientale comprende le risorse spese per la tutela dell’aria e del clima, del suolo e delle acque del sottosuolo, della biodiversità e del paesaggio, la gestione dei rifiuti e l’abbattimento del rumore e delle vibrazioni.
Nel 2021, oltre 8 miliardi, pari all’80% della spesa totale per la gestione delle acque reflue (era l’82% nel 2020), sono stati spesi da famiglie, società e amministrazioni pubbliche per consumi intermedi o finali, ossia per l’utilizzo dei servizi di gestione delle acque reflue. Di questi, 4,7 miliardi (pari al 47% della spesa, in aumento rispetto al 45% dell’anno precedente) sono spese per consumi intermedi di servizi di depurazione da parte di produttori privati e pubblici che operano in settori diversi dalla protezione dell’ambiente.
Si tratta per la maggior parte (98% circa) dell’acquisto di servizi di depurazione da terzi e, per la parte restante, di spese correnti (per l’acquisto di beni e servizi e per il pagamento di salari e stipendi) sostenute per realizzare in proprio la depurazione dei reflui generati dal processo produttivo. I consumi finali delle famiglie e delle amministrazioni pubbliche ammontano a 3,4 miliardi (il 33% della spesa complessiva nel 2021, in calo rispetto al 37% dell’anno precedente).
Sono le famiglie a contribuire per oltre il 75% alla spesa per consumi finali, come utenti dei servizi di depurazione. La parte restante dei consumi finali è rappresentata dai consumi collettivi delle Amministrazioni Pubbliche, che sostengono spese per fornire servizi di amministrazione, regolamentazione, formazione, informazione e comunicazione connessi alla gestione delle acque reflue a beneficio della collettività.
Le spese per investimenti sostenute nel 2021 dagli operatori economici pubblici e privati per la gestione delle acque reflue ammontano a oltre 2 miliardi (il 20% della spesa complessiva, in aumento rispetto al 18% circa del 2020). Si tratta per l’81% di investimenti di società private che producono servizi di depurazione venduti a terzi, per il 7% di investimenti di operatori appartenenti alle amministrazioni pubbliche e, per la parte restante (250 milioni circa), delle spese sostenute dalle imprese industriali per apparecchi e macchinari che riducono l’inquinamento delle acque reflue generato dal proprio processo produttivo.
La spesa nazionale per la tutela ambientale è calcolata al netto dei finanziamenti ricevuti dall’estero (pari a meno di 100 milioni nel 2021).

ITALIA TRA I PRIMI 10 PAESI UE27 PER ACQUE DI BALNEAZIONE ECCELLENTI

Le acque di balneazione sono aree nelle quali le autorità competenti prevedono che un congruo numero di persone pratichi la balneazione e non vi sono divieti permanenti per la “presenza di contaminazione microbiologica o di altri organismi o di rifiuti che influiscono sulla qualità delle acque e comportano un rischio per la salute dei bagnanti”. Comprendono tutte le acque dove è possibile effettuare la balneazione: acque marino-costiere, acque interne (laghi e fiumi) e acque di transizione (lagune e laghi costieri).
Nel 2022, tra i Paesi Ue27 la quota di acque di balneazione di qualità eccellente è l’85,7%; l’Italia si colloca al decimo posto, con l’89,6% dei siti totali.
L’Italia detiene il maggior numero di siti con balneabilità eccellente (4.952 siti), pari al 26,7% delle aree con tale livello di qualità dell’intera Ue27 (18.571), seguita da Francia (2.558), Germania (2.068), Spagna (2.000) e Grecia (1.624).

QUASI RAGGIUNTO IL TRAGUARDO PREVISTO DALLA “DIRETTIVA BALNEAZIONE”

Il nostro Paese ha ormai quasi realizzato gli obiettivi posti dalla “Direttiva Balneazione”, che stabilisce che le acque di balneazione siano almeno di classe sufficiente e che ogni acqua migliori il proprio status qualitativo o lo mantenga nel caso risultasse già eccellente; infatti, il 97,8% è almeno sufficiente, anche se sono ancora presenti acque di qualità scarsa (1,5%) e non classificabili per campionamenti insufficienti (0,7%). Del resto, l’instabilità delle condizioni climatiche e gli eventi estremi di pioggia possono comportare difficoltà di gestione dei monitoraggi e delle azioni di mitigazione delle pressioni sulla qualità delle acque.
Rispetto al 2021 la quota delle acque con qualità eccellente è complessivamente aumentata (da 87,9% a 89,6%) e l’incremento è stato registrato in quasi tutte le regioni, ad eccezione di Emilia-Romagna e Toscana, dove la quota è diminuita rispettivamente di 9,1 e 0,8 punti percentuali (nel dettaglio, una riduzione di otto e una unità).
Nel 2022, tra le 15 regioni bagnate dal mare, la Puglia presenta la percentuale maggiore di acque di balneazione eccellenti (99,4%), seguita a breve distanza dalla Sardegna (97,7%); l’Abruzzo conta la quota più bassa (79,3%), anche se in trend crescente. Basilicata, Molise e Puglia hanno raggiunto l’obiettivo della “Direttiva”. Anche Emilia-Romagna e Toscana hanno acque di qualità almeno sufficiente, a meno di una quota minima di acque non classificate; mentre minime percentuali di acque con qualità scarsa o non classificata sono ancora presenti nelle altre regioni.

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