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Petrolio Russia

Non è ancora tempo di dire addio alle forniture di Mosca

In calo la produzione di petrolio russo ma i prezzi alti garantiscono ancora entrate più che soddisfacenti

La crisi ucraina continua. Sono molteplici i fronti della guerra scatenata ormai oltre tre mesi fa da Vladimir Putin. Quello energetico è tra i più caldi, sul quale però si fatica a registrare progressi. Progressi che dovrebbero vedere i paesi occidentali maggiormente dipendenti dalle forniture russe spezzare il legame con il Cremlino.

Un legame che per l’Unione europea significa entrate di gas e che per Mosca è sinonimo di vitali entrate economiche.

BRUXELLES E LA FATICA DI STACCARE LA SPINA

Dal lato europeo, quello nostro insomma, il tira e molla oltre che con lo zar è tra i vari Stati membri. Dall’embargo al petrolio ex-sovietico alla fissazione di un price-cap per chiudere definitivamente la storia del “stiamo finanziando la guerra di Putin pagandogli il gas”, l’unanimità rimane il problema principe di un’Unione che vuole farsi politica e non ci riesce. Di certo tra i paesi reticenti non c’è il nostro: anzi, Draghi proseguirà i viaggi alla ricerca di nuovi fornitori andando in Israele e Turchia nelle prossime settimane.

IL PETROLIO RUSSO E LE PROSPETTIVE DI MOSCA

Dal lato russo, invece, la dipendenza è – come detto – economica. Le sanzioni stanno gradualmente incidendo sul sistema produttivo moscovita. Infatti, la produzione interna ed esterna sta rallentando in forme sempre più evidenti. E’ chiaro come anche sull’energia incida una propaganda nazionale e nazionalistica che può infastidire. Ma i dati sono dati. Come sottolinea Oilprice in base ai numeri di Bloomberg, “gli analisti ritengono che la produzione petrolifera della Russia potrebbe perdere 3 milioni di barili al giorno (bpd) nella seconda metà del 2022, e la sua produzione è destinata a essere influenzata per anni dalle sanzioni che il suo più grande mercato, l’Europa, sta imponendo. Alcuni pozzi che sono stati chiusi dall’invasione dell’Ucraina alla fine di febbraio potrebbero non tornare mai più a produrre petrolio, erodendo in modo permanente parte della capacità produttiva di riserva della Russia”.

Nelle prime due settimane del mese in corso, “la produzione di petrolio della Russia è stata inferiore di 830.000 barili al giorno rispetto a febbraio”. Rosneft, che è il principale produttore e il principale raffinatore in Russia, ha prodotto 560.000 barili al giorno del totale. “Inoltre, la quota dei pozzi inattivi di Rosneft è passata dal 17% di tutti i pozzi all’inizio dell’anno al 30% ad aprile”. E, dice ancora Bloomberg, “anche la produttività della raffineria di Rosneft è crollata, di circa il 28% all’inizio di maggio rispetto a prima della guerra in Ucraina”.

I PROFITTI E L’EMBARGO EUROPEO CHE NON ARRIVA

In termini percentuali, il greggio russo è crollato di nove punti ad aprile. Segno che sono già settimane che si sta assestando questa situazione di arretramento produttivo. Che però, per ora, non ha inciso sulle esportazioni. “Finora, le esportazioni di petrolio russo hanno in gran parte resistito. Tuttavia, a partire dal 15 maggio, le principali case commerciali internazionali hanno dovuto interrompere tutte le transazioni con Rosneft, Gazprom Neft e Transneft controllate dallo stato in base alle sanzioni dell’UE imposte alla Russia”, sottolinea ancora Oilprice. Non resta che chiudere gli occhi e immaginare un’Europa unita nell’imporre finalmente l’embargo totale. A quel punto sì che verrebbe da ridere nel vedere Mosca girarsi verso Cina e India per recuperare quanto perduto.

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