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Energia Norvegia

Norvegia “ignorata” dalle Big Oil del petrolio

Per il settore gas il 2017 della Norvegia verrà ricordato invece come un anno record con un +7% rispetto all’anno precedente. Il secondo maggiore fornitore di gas in Europa dopo la Russia ha esportato 116 miliardi di metri cubi verso i terminali di Gran Bretagna, Germania, Francia e Belgio.

 

A rischio il ruolo da protagonista della Norvegia come maggior produttore petrolifero dell’Europa occidentale e terzo principale esportatore a livello mondiale. Oslo si sta rendendo conto, infatti, che in futuro dovrà fare a meno degli investimenti delle grandi compagnie petrolifere mondiali se vorrà avere una speranza di prolungare un’epoca che l’ha resa uno dei paesi più ricchi del mondo. La “botta” più recente alle ambizioni scandinave, la Norvegia l’ha ricevuta quando all’esplorazione dei nuovi blocchi del Mare di Barents nella zona artica, una delle aree più promettenti per la ricerca di nuovi giacimenti, si sono presentate solo undici aziende petrolifere. Tra queste però Chevron e ConocoPhillips erano assenti mentre Exxon Mobil e Total sono rimaste fuori dalla gara. Delle cinque major più importanti a livello globale, insomma, solo Royal Dutch Shell è in corsa. “È un avvertimento e un motivo di riflessione – ha detto Stale Kyllingstad, amministratore delegato di IKM Gruppen AS, uno dei maggiori fornitori dell’industria petrolifera scandinava -. La piattaforma norvegese non è più così popolare e questo è motivo di preoccupazione”. Il crollo delle quotazioni petrolifere degli ultimi tre anni ha visto Exxon e Bp rinunciare di fatto al loro ruolo di operatori di settore nei territori del più grande produttore dell’Europa occidentale. Il panorama, insomma, sta cambiando velocemente, un po’ per l’invecchiamento dei bacini del Mare del Nord sia in Norvegia sia nel Regno Unito, un po’ per il fatto che le aziende sono alla ricerca di margini sempre più elevati in progetti nel gas naturale liquefatto o nello shale americano. E questa sta facendo entrare in gioco in Norvegia le aziende più piccole e specializzate, parte delle quali sostenute dal private equity.

L’Artico norvegese rimane una zona molto promettente per le scoperte petrolifere

L’indifferenza che sta dilagando sull’Artico norvegese però potrebbe essere una batosta per quanti hanno deciso di non puntarci sopra. Alcuni ricercatori ritengono che l’area contenga la metà del petrolio e del gas non ancora scoperti nel paese per un ammontare di quasi 9 miliardi di barili. Per questo il successo delle esplorazioni nell’area del Mare di Barents potrebbe essere la chiave per arrestare l’ulteriore declino della produzione nel paese attesa dal 2020. Anche se saranno necessarie solide coperture finanziarie per sviluppare la produzione in una regione difficile da sfruttare e povera di infrastrutture.

L’Associazione norvegese per il petrolio e il gas mostra “preoccupazione” per la fuga delle major

Secondo i dati forniti dal Direttorio norvegese per il petrolio, nel 2016 la Statoil, era ancora l’operatore principale, realizzando i due terzi della produzione del paese e dominando l’esplorazione assieme alla svedese Lundin Petroleum AB e recentemente alla Aker BP ASA, la società norvegese che ha inghiottito l’unità locale di BP. Il mese scorso l’amministratore delegato di Statoil Eldar Saetre ha ammesso che il ritiro delle aziende internazionali non è “uno sviluppo auspicabile”. Persino l’Associazione norvegese per il petrolio e il gas, un gruppo di pressione che annovera tra i suoi membri varie major petrolifere, ha mostrato una “certa preoccupazione”. Il numero di aziende, e “non da ultimo la loro varietà” sono la chiave del successo, ha detto il portavoce Tommy Hansen. Al contrario, da un’analisi approfondita effettuata nel gennaio 2017, emerge un certo predominio norvegese: Statoil e Aker BP hanno vinto, infatti, oltre il 50 per cento delle concessioni, la concentrazione più alta dal 2003, secondo i calcoli di Bloomberg. In un’intervista di dicembre, il ministro del Petrolio e dell’Energia Terje Soviknes ha ammesso che vorrebbe che le major rimanessero, ma ha anche sottolineato che alcune aziende più piccole potrebbero essere maggiormente adatte ad ottenere più valore dai vecchi campi. Tanto che, ha aggiunto, si è registrato un interesse record di queste ultime per le licenze su una serie di aree mature.

Il disimpegno delle Big Oil arriva in un momento difficile

Il disimpegno delle Big Oil arriva in un momento difficile per l’industria norvegese che si sta appena riprendendo da una crisi economica che ha visto la perdita di 50mila posti di lavoro. Ed è in sintonia anche con la crescente insofferenza del tessuto produttivo norvegese, che discute sempre più spesso dei meriti morali e finanziari del petrolio mentre il mondo intensifica la lotta contro il cambiamento climatico. Un tribunale dovrebbe decidere questo mese su una causa senza precedenti contro il governo riguardante le licenze artiche. Mentre il fondo sovrano del Tesoro norvegese che ha disponibilità per un 1 trilione di dollari, grazie ai proventi petroliferi, ha chiesto l’autorizzazione a uscire dagli investimenti nel settore citando ragioni finanziarie.

Produzione petrolifera dimezzata, si impenna il gas

La produzione petrolifera norvegese si è dimezzata rispetto al picco del 2000 mentre la produzione di gas naturale ha subito un’impennata. Le previsioni sono per un calo della produzione verso la metà del prossimo decennio esito anche di una raffica di decisioni d’investimento sbagliate come la scelta di Statoil di investire 6 miliardi di dollari nel poco redditizio giacimento petrolifero di Johan Castberg nel Barents che dovrebbe iniziare la produzione nel 2022. Il governo ha spinto per ulteriori esplorazioni nella zona ma le aziende non hanno ancora trovato campi in grado di sviluppare le stesse quantità miliardarie in termini di barili del Mare del Nord. “I risultati deludenti nella campagna di trivellazione record 2017, è una delle ragioni dello scarso interesse per il ciclo di licenze”, ha detto Neivan Boroujerdi, un analista consulente di Wood Mackenzie.

Ma quest’anno potrebbe esserci la svolta per il Mare di Barents: Statoil, Lundin e Aker BP contano di mantenere il ritmo record di perforazione, ha detto Boroujerdi. Lundin e OMV AG stanno compiendo passi decisivi per far avanzare i progetti di Alta e Wisting, con la promessa di realizzare nuove infrastrutture che, alla fine, susciteranno l’interesse delle imprese più piccole, che di solito si concentrano sui cicli di lavoro in area matura. “Non tutto è una condanna – ha detto Boroujerdi -. Non credo che riusciremo a raggiungere un punto in cui l’esplorazione di Barents morirà completamente”.

Intanto per il gas è record di esportazione

gasPer il settore gas intanto il 2017 verrà ricordato come un anno di successo: le esportazioni attraverso i gasdotti verso l’Europa hanno raggiunto il record superando il risultato dell’anno precedente di quasi il 7 per cento, secondo quanto emerge dai dati preliminari di Gassco la società che gestisce il sistema gas nel paese. Il secondo maggiore fornitore di gas in Europa dopo la Russia ha esportato 116 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale verso i terminali riceventi in Gran Bretagna, Germania, Francia e Belgio lo scorso anno, in aumento rispetto al precedente record di 108,6 miliardi di metri cubi nel 2016. Le esportazioni norvegesi soddisfano circa un quarto della domanda europea. Gli analisti hanno affermato che i livelli di esportazione della Norvegia nel 2017 sono stati stimolati dalla bassa manutenzione estiva nei giacimenti di gas offshore e dalla maggiore produzione del suo campo più grande, quello di Troll. Più del 40 per cento di tutte le esportazioni è andato verso la Germania, e più del 30 per cento verso la Gran Bretagna, con il resto ripartito tra Francia e Belgio. Le consegne giornaliere più elevate nel 2017 si sono attestate a 365,3 milioni di metri cubi, come evidenziato dai dati preliminari. Le autorità norvegesi hanno aumentato la quota di produzione dal campo di Troll a 36 miliardi di metri cubi dal 1 ottobre 2017 al 30 settembre 2018, rispetto ai 33 miliardi di metri cubi dei 12 mesi precedenti, ha dichiarato l’operatore Statoil. L’esportazione annuale di gas in Europa da parte della Norvegia ha superato per la prima volta i 100 miliardi di metri cubi nel 2012, come risulta dai dati di Gassco.

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