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CBAM

Perché con la tassa sulla CO2 (CBAM) Ue si rischia una strada a doppio senso sul clima

Secondo il nuovo rapporto del think tank Sandbag sono in arrivo costi per 11,3 miliardi per i Paesi terzi, ma l’impatto si può quasi azzerare

Il nuovo Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera (CBAM) dell’Unione Europea potrebbe costare ai partner commerciali extra-UE fino a 11,3 miliardi di euro all’anno in commissioni. Tuttavia, questo onere economico può essere drasticamente ridotto, scendendo a soli 715 milioni di euro, se i Paesi esportatori adotteranno strategie climatiche adeguate, come l’introduzione di un prezzo nazionale sul carbonio. A livello interno, la misura è destinata a rivoluzionare l’industria europea, eliminando un sistema di sussidi da 35 miliardi di euro annui per le aziende inquinanti e spingendo la decarbonizzazione.

Queste le principali conclusioni che emergono da un nuovo rapporto del think tank Sandbag, sostenuto dalla Fondazione Konrad-Adenauer. L’analisi si concentra sull’impatto del CBAM e sulla contemporanea eliminazione delle quote di emissione gratuite per le industrie europee, valutandone le conseguenze per gli esportatori dei paesi terzi e le implicazioni per la politica climatica e il commercio globale.

UNA POLITICA CLIMATICA E NON COMMERCIALE

Il rapporto chiarisce che il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera (CBAM) deve essere inteso come una politica climatica dell’UE, piuttosto che come una misura commerciale. Il suo obiettivo primario è smantellare l’attuale sistema di assegnazione gratuita di quote di emissione ai produttori europei, un meccanismo che, secondo l’analisi, rappresenta oggi un importante ostacolo alla decarbonizzazione industriale del continente. La sua sostituzione è quindi un elemento essenziale per raggiungere le accresciute ambizioni climatiche dell’UE. In termini pratici, il CBAM potrebbe consentire di eliminare fino a 432 milioni di quote di emissione gratuite ogni anno, un valore stimato in 35 miliardi di euro che non verrebbero più assegnati alle fabbriche dell’Unione.

L’IMPATTO SUI COSTI E SUI PREZZI

L’implementazione combinata del CBAM e la fine delle quote gratuite sono destinate ad avere un effetto diretto sui costi di produzione, che aumenteranno sia per i produttori europei sia per quelli dei Paesi terzi. Di conseguenza, il prezzo di vendita dei beni interessati dal meccanismo (come acciaio, cemento e fertilizzanti) è destinato a salire sui mercati dell’UE.

Di fronte a questo scenario, i produttori extra-UE hanno la possibilità di adottare strategie per ridurre al minimo i costi del CBAM. Una di queste è il cosiddetto “rimescolamento delle risorse” (resource shuffling), che consiste nel selezionare e destinare all’esportazione verso l’Europa solo i beni prodotti con processi a minore intensità di emissioni. In questo modo, alcuni esportatori potrebbero non solo ridurre le tasse, ma persino aumentare i profitti derivanti dalle loro vendite.

DUE STRATEGIE A CONFRONTO: COSTI E RISCHI

Se i Paesi terzi continuassero a commerciare con l’UE “come di consueto”, senza adattamenti, il CBAM, nel suo ambito di applicazione attuale, potrebbe riscuotere 11,3 miliardi di euro di commissioni all’anno.

Tuttavia, il costo reale per le economie extra-UE deve tenere conto anche dei maggiori ricavi derivanti dalla vendita di beni a prezzi più alti in Europa. Una volta fattorizzato questo elemento, il costo netto del CBAM si ridurrebbe a 5,0 miliardi di euro per tutti i Paesi.

Se i produttori ricorressero al “rimescolamento delle risorse”, le commissioni totali scenderebbero a 7,3 miliardi di euro e il costo netto crollerebbe a 995 milioni. Se, invece, le autorità nazionali istituissero un proprio sistema di tariffazione del carbonio (carbon pricing), le commissioni si ridurrebbero a 7,0 miliardi di euro, portando il costo netto finale a soli 715 milioni di euro, una cifra pari a circa lo 0,07% del valore delle importazioni.

Nonostante i vantaggi apparenti, il “rimescolamento delle risorse” è una pratica che non riduce le emissioni globali e potrebbe ostacolare gli sforzi dell’UE per eliminare le quote gratuite nel suo sistema ETS. Questo, avverte il rapporto, potrebbe spingere Bruxelles a modificare le regole per neutralizzare i guadagni ottenibili con tale pratica.

Di conseguenza, per i partner commerciali dell’UE non è preferibile basare le proprie strategie a lungo termine su questo meccanismo. Al contrario, l’implementazione di un prezzo nazionale sul carbonio permette ai Paesi terzi non solo di ridurre drasticamente i costi del CBAM, ma persino di trarne beneficio, creando reali incentivi alla riduzione delle emissioni. Questa scelta, conclude l’analisi, renderebbe inoltre i produttori dei Paesi terzi indifferenti a future modifiche delle normative UE, riducendo l’incertezza.

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