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Pil Prezzi Petrolio

Perché il mercato del petrolio non influenzerà la crescita europea

Con un aumento del 40% dei prezzi del petrolio nei prossimi quattro anni, il Pil dell’area Euro si ridurrebbe solo dello 0,8%

Secondo una previsione formulata dalla Banca centrale europea, il picco dei prezzi del petrolio non graverà più di tanto sulla produttività dell’Unione. Infatti, riporta Reuters, la riduzione del Pil in quattro anni sarà inferiore all’1%.

COME I PREZZI DEL PETROLIO (NON) AGIRANNO SUL PIL

La produttività europea, in sintesi, non soffrirà molto delle bizze sul mercato dei prezzi del petrolio. Sono stime, previsioni, è chiaro. Ma il senso dei calcoli della Bce sono altrettanto indicativi.

Infatti, la Banca dell’Unione ha rilevato che un aumento dell’1% dei prezzi del petrolio ridurrebbe il potenziale di crescita dell’area dell’euro di circa lo 0,02% nel medio termine. Mentre con un aumento del 40% dei prezzi del petrolio nei prossimi quattro anni rispetto al quadriennio precedente, la Banca ha concluso che la produzione potenziale nell’area dell’euro sarebbe stata ridotta solo dello 0,8%.

La base di questi calcoli sono i prezzi del mese di giugno, quando è stato previsto che un barile di greggio Brent venga scambiato a 105,8 dollari di media per il 2022 prima di scendere a 84,3 dollari entro il 2024. Oscillazioni, appunto. Che però è bene maneggiare con cura, senza catastrofismi.

Economisti del calibro di Julien Le Roux, Bela Szörfi e Marco Weißler lo hanno definito uno shock limitato, “nel contesto dell’aumento cumulativo della produzione potenziale, stimato dalla Commissione europea intorno al 5,2% per i prossimi quattro anni”.

LA TEORIA ECONOMICA E L’ORIZZONTE EUROPEO

A togliere qualche dubbio può aiutare la teoria economica mista a qualche esperienza del passato. Secondo la prima, infatti, i prezzi del petrolio tenuti costantemente alti portano a ridurre la produttività e la capacità di crescita dell’economia. Cioè, producono inflazione.

Ma la ricerca empirica sullo shock petrolifero del 1970, allo stesso tempo, dimostra una capacità di adattamento non da poco delle economie. Come? Anche, se non soprattutto, allontanandosi dalle fonti di approvvigionamento energetico tradizionali. Abbandonare le fossili è la via maestra, lunga da percorrere ma altrettanto fondamentale per scrivere un futuro diverso.

E d’altronde, come pubblichiamo stamani su Energia Oltre, uno studio di Rystad Energy dice che la tassonomia Ue porterà a nuovi progetti nucleari e gas più costosi e quindi (anche) economicamente impraticabili. “Nonostante le ambizioni della tassonomia, i paesi europei dovrebbero dare la priorità alla sicurezza energetica a breve termine. A lungo termine, tuttavia, prevediamo che le energie rinnovabili e lo stoccaggio diventino la base del sistema energetico europeo”, ha affermato Lars Nitter Havro, analista senior della società di consulenza.

Tradotto: nucleare e gas possono anche servire per tamponare l’emergenza del momento ma all’orizzonte c’è altro. “In particolare, per i trasporti e il consumo di energia delle famiglie, esistono valide alternative verdi che dipendono molto meno dal petrolio”, ha detto in proposito la Bce.

L’IMPEGNO DEGLI STATI MEMBRI

Ovviamente, l’impegno a concretizzare questa svolta dovrà passare anche dagli Stati membri oltre che dalla strategia comunitaria. Ma anche su questo fronte, al netto delle difficoltà istituzionali dei governi occidentali, c’è da essere moderatamente ottimisti.

Nel caso Italia, le cifre diffuse dal Mef venerdì scorso parlano chiaro. Crescita congiunturale del PIL pari all’1,0 per cento e aumento del 4,6 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2021. La crescita annuale acquisita (ovvero l’evoluzione che si registrerebbe se il PIL restasse invariato nella seconda metà dell’anno) è pari al 3,4 per cento – superiore al 3,1 per cento previsto nel DEF, ha comunicato il Ministero. Tutto ciò, “in un contesto di grande difficoltà”.

Contesto nel quale ormai abbiamo imparato a vivere, a conoscerne le componenti con cui andare avanti e concretizzare il non catastrofismo confermato anche dalle prospettive della Banca centrale europea.

 

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