Il pressing delle imprese sul governo per ottenere sconti sul caro bollette è costante e si fa più insistente a ridosso della legge di Bilancio. Eppure, guardando i numeri, la realtà è diversa: a pesare maggiormente sono una serie di falle del sistema che da sempre hanno caratterizzato il mercato nonostante il prezzo di luce e gas sia sceso ai livelli del 2021
I sussidi energetici per le imprese sono aumentati, arrivando a oltre due miliardi di euro l’anno. Ma non sembra bastare alle aziende, che chiedono maggiori sconti contro il caro bollette. Gli indicatori che pesano maggiormente sono la rete, gli oneri di sistema e le imposte. Quali sono le criticità del settore e perché le rinnovabili, che potrebbero aiutare, stentano a prendere piede?
IL PREZZO DEL GAS È SCESO
Le imprese presssano il governo per il caro bolletta ma, guardando i numeri, la realtà è diversa. Secondo quanto riporta La Stampa, dall’inizio dell’anno il prezzo all’ingrosso di luce e gas è sceso sensibilmente: a fine ottobre era tornato ai livelli dell’estate 2021, post covid e pre guerra in Ucraina. Proprio questo ritorno alla normalità e il prezzo calmierato, mettono a nudo le fragilità del sistema Paese in questo settore.
SUSSIDI ENERGETICI, UN SALASSO DA 20 MILIARDI
Negli ultimi 15 anni le grandi imprese italiane hanno ricevuto sussidi energetici per circa 20 miliardi di euro da parte della collettività generale, attraverso un prelievo in bolletta. Questo denaro è servito a tenere sotto controllo la spesa e ha contribuito a irrobustire gli utili delle aziende. Alcuni anche inutilmente: esistono finanziamenti in vigore da quasi 20 anni come l’interrompibilità (dal 2008) che permette alle aziende di incassare soldi in cambio della possibilità che si interrompa la fornitura di energia in casi d’emergenza. Ma in 17 anni, gli stop alle forniture sono stati pochissimi, e il sistema ha comunque incassato 500 milioni l’anno (saranno 9 miliardi a fine 2025). Anche perché la rete italiana ha costi inferiori ai grandi Paesi Ue: i cittadini italiani spendono in media 11 euro al mese contro una media europea di 17 euro e i 23 euro della Germania.
RETE, ONERI DI SISTEMA E IMPOSTE AUMENTANO LE BOLLETTE
Il prezzo all’ingrosso dell’energia non è quello che arriva in bolletta. Tra la materia prima e il prezzo finale sono le voci intermedie quelle che incidono maggiormente sul prezzo: la rete, gli oneri di sistema, le imposte. Eurostat ha però precisato che per i consumatori domestici, il prezzo dell’energia incide solo sul 57% del prezzo finale e che in media un consumatore tipo italiano paga 61,6 euro al mese contro i 56,4 euro dell’Eurozona. Inoltre paghiamo meno della Germania, ma più della Spagna e della Francia, che possono contare su un mix energetico più ricco di rinnovabili e, nel caso francese, sul nucleare.
DIPENDENZA DAL GAS E POCHE RINNOVABILI
Il nodo che la politica dovrebbe sciogliere è quello che va all’origine dei problemi. Tra questi la dipendenza dell’Italia dal gas e la bassa quota di rinnovabili del Belpaese, attestata sotto il 30%, con il paradosso che la Germania produce più energia solare della Penisola. Come scritto su La Stampa, la produzione di energia rinnovabile permetterebbe di calmierare in maniera sensibile la spesa. Ma produttori e investitori che hanno presentato progetti per 150 Gigawatt di energia verde sono bloccati dalla burocrazia e dagli iter autorizzativi. In Italia in media servono tre anni per far partire un impianto fotovoltaico e cinque per l’eolico, mentre a Madrid si impiega la metà del tempo. Ed è quello che emerge anche dalla fotografia scattata nella Relazione presentata a Rimini all’apertura degli Stati generali della Green economy da Edoardo Ronchi, presidente della Fondazione sviluppo sostenibile: gli impianti nel nostro paese rallentano.
PERCHÉ RALLENTANO LE RINNOVABILI IN ITALIA
Nonostante nel 2024 la produzione di elettricità da fonti rinnovabili in Italia abbia superato i 130 miliardi di chilowattora, un report della società di consulenza Deloitte riporta un rallentamento delle nuove installazioni nel primo semestre del 2025. La relazione addebita questa frenata alla fine dell’ecobonus al 110% e a un atteggiamento reticente da parte di alcune regioni.


