I prezzi del petrolio hanno subito il duro colpo dovuto alla reazione della Cina ai dazi imposti dagli Stati Uniti del presidente Donald Trump, che lo scorso 10 aprile ha introdotto delle tariffe dell’84% sui prodotti provenienti dagli USA
I prezzi del petrolio si sono più che dimezzati rispetto ai picchi di inizio 2022: dagli oltre 120 dollari al barile il Brent è sceso sotto i 60 d/b. Le ragioni sono molteplici. La caduta dei prezzi è avvenuta dopo la reazione della Cina ai forti dazi imposti dagli Stati Uniti del presidente Donald Trump, che lo scorso 10 aprile ha introdotto delle tariffe dell’84% sui prodotti provenienti dagli USA.
LA GUERRA COMMERCIALE USA-CINA E IL PREZZO DEL PETROLIO
Si è così scatenata una guerra commerciale tra i due Paesi che pesa sulle aspettative della domanda globale di greggio. Altre materie prime, inclusi i metalli di base come il rame crollano. Secondo l’esperto di Rystad Energy Ye Lin, la crescita prevista della domanda di petrolio della Cina, fino a 100.000 barili al giorno, “è a rischio, se la guerra commerciale dovesse prolungarsi; tuttavia, uno stimolo più forte per aumentare i consumi interni potrebbe mitigare le perdite”.
Secondo l’analista senior di ActivTrades Saverio Berlinzani, “quasi sicuramente gli acquirenti cinesi interromperanno gli acquisti di greggio dagli Stati Uniti e si orienteranno verso le forniture da Russia, Medio Oriente e Africa”.
Nel frattempo, l’OPEC+ ha aggiunto pressione annunciando un aumento della produzione maggiore del previsto e indebolendo le speranze di equilibrio del mercato petrolifero.
SOCIÉTÉ GÉNÉRALE IPOTIZZA UN CROLLO FINO A 50 DOLLARI
Il team di economisti in Cina di Société Générale ha stimato che i dazi potrebbero sottrarre 2 punti percentuali al Pil cinese del 2025, anche se la previsione non include gli effetti di un potenziale stimolo fiscale. Dal momento che Pechino, negli ultimi 20 anni, è stata la fonte più affidabile di crescita della domanda di petrolio, gli effetti della contrazione della domanda dovuta ai dazi sono particolarmente rilevanti.
“Rivediamo il nostro target sul prezzo del Brent alla fine del 2025 a 60 dollari al barile e quello per il WTI a 57 d/b. Non consideriamo una recessione nel nostro scenario base ma, se dovesse avvenire, dovremmo rivedere ulteriormente al ribasso le previsioni, probabilmente intorno ai 50 dollari al barile”, hanno spiegato gli analisti di Société Générale.
STAGNARO: “I PRODUTTORI DI PETROLIO NON CONVENZIONALE SARANNO I PIÙ COLPITI”
Come ha scritto qualche giorno su X il direttore ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro, “diversi osservatori hanno notato che saranno soprattutto i produttori di petrolio non convenzionale attivi negli Stati Uniti a farne le spese, tagliando produzione e investimenti, perché con questi prezzi non riescono a coprire i costi. I produttori di petrolio, inoltre, sono quelli che hanno i costi marginali maggiori. Gran parte dei greggi globali ha costi di produzione marginali ben inferiori agli 80 o 100 dollari di pochi mesi fa e persino ai 65 dollari di oggi”.
I PREZZI DEL PETROLIO RIFLETTONO I COSTI MARGINALI
“Perché, allora – si domanda Stagnaro – paghiamo prezzi generalmente superiori? Perché, in un mercato concorrenziale, i prezzi riflettono i costi marginali. Quando diciamo che “il barile costa 80 dollari” intendiamo che il barile più costoso necessario a soddisfare la domanda in quel momento ha un costo di produzione di 80 dollari. E quello è il prezzo che riconosciamo all’intera produzione. Quindi, paghiamo 80 dollari anche per i greggi mediorientali, che hanno costi di produzione che sono una frazione di quella cifra. E questo non solo è normale e accettato da tutti, è fisiologico in un mercato ben funzionante”.